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Partito Radicale Roma - 20 aprile 1998
Wang Dan: La Repubblica 20.04.98
Libero l'eroe di Tienanmen Wang Dan in esilio negli Usa per motivi di salute. E' in ospedale a Detroit

di GUIDO RAMPOLDI

MAGRISSIMO, quasi cieco e ufficiosamente con un tumore nella testa, uno dei ragazzi che guidò la rivolta della Tienanmen esce dalle prigioni cinesi, libero di morire negli Stati Uniti ma non di vivere in Cina. Si chiama Wang Dan e a vent'anni, nell'89, quella sua faccia infantile e i grandi occhiali da miope diedero un volto alla generazione in rivolta contro un regime che fiutava nella perestrojka il suicidio. In poche ore è passato dalla cella di Jinzhou, nel nord della Cina, ad una stanza dell'ospedale Ford di Detroit dove ora attende di sapere se quel sospetto tumore al cervello lo abbiano diagnosticato i medici del carcere oppure la diplomazia: se insomma si tratti di un male vero oppure di un pretesto giuridico. In un caso o nell'altro, Pechino ha voluto regalare a Clinton un prigioniero politico e placare l'ira del Congresso americano pagando un prezzo simbolico assai modesto.

PER UN Wang Dan che esce di galera con otto anni di anticipo, altri duemila studenti della Tienanmen restano in prigione, condannati a decenni di carcere per reati comuni, hanno ricordato ieri i dissidenti cinesi che hanno la fortuna di vivere in esilio. Ma Wang Dan era una figura simbolica, e la sua liberazione-deportazione può essere il presagio di un cambiamento. O almeno così preferiscono intenderlo i governi occidentali che hanno una gran voglia di credere ad un nuovo corso (anche perchè faciliterebbe le relazioni commerciali con la Cina, il più grande mercato interno del pianeta). Wang Dan era detenuto da tre anni. Le porte della sua cella si sono schiuse l'altra notte, poche ore dopo era sulla pista dell'aereoporto di Honk Kong. Tossiva, camminava a stento. "Ma era abbastanza calmo", ha raccontato la madre, che ha potuto abbracciarlo sulla pista. Alle nove l'hanno imbarcato sull'aereo che lo conduceva in esilio. Appena sbarcato a Detroit un'ambulanza lo ha portato alla clinica Ford: su richie

sta della Casa Bianca, i medici accerteranno cosa nascondano le sue emicranie e lo terranno al riparo dai microfoni il tempo necessario per dargli consigli e istruzioni. Nei giorni della Tienanmen, non era un leader, un trascinatore, uno stratega, nè lo è diventato in seguito. Ma aveva la faccia giusta per cineprese e mass-media, un volto che raccontava l'innocenza, l'allegria e, si sarebbe potuto dire dopo, l'ingenuità della protesta studentesca. Questa sua sovra-esposizione lo salvò, in seguito, dalla macchina della giustizia cinese. Non ne fu stritolato al contrario di tanti, condannati a morte o a lunghe detenzioni per "vandalismo" (un pugno ad un poliziotto, un bus bruciato, una vetrina infranta). Giudicato per "attività controrivoluzionarie" se la cavò con poco: tre anni e mezzo. Tornò fuori nel '93, un momento sbagliato. Continuava l'interminabile agonia di Deng e il vertice cinese, preparandosi alla guerra di successione, non voleva dare segnali di "debolezzza". Wang Dan tornò rapidamente in car

cere. Pechino avrebbe preferito che si togliesse dai piedi emigrando. Ma il giovane Wang nascondeva un molto coraggio dietro quella sua faccia mite da secchione. "Fuori dal mio Paese divento inutile", disse quasi scusandosi di non scappare. Ovviamente nessuna università cinese accettò i suoi tentativi di iscrizione: allora si iscrisse ad una università americana e studiò per corrispondenza. Pubblicò articoli su un giornale di Hong Kong e, cosa ancora più grave agli occhi delle autorità, allacciò una rete di contatti con le famiglie degli studenti in prigione. Lo arrestarono nel '95, di nuovo per attività controrivoluzionarie, stavolta insieme al dissidente "storico" della Cina, Wei Jingsheng, lo sconsiderato che addirittura dal 1978 chiedeva a Pechino "la quinta modernizzazione", quella impossibile: la democrazia. Deng continuava ad agonizzare, il vertice cinese a tremare al pensiero di sollevazioni etniche, politiche, sociali, e Wang Dan fu condannato ad 11 anni per l'unica colpa di aver raccont

ano ad una delegazione americana che cosa accadeva realmente nel Paese. Ma se tre anni fa le circostanze della storia portarono alla sua condanna, ora hanno determinato il suo rilascio. La Cina attende a giorni Madeleine Albright, il segretario di Stato americano, la cui visita intende preparare quella di Clinton. Sono in gioco interessi economici vitali per la Cina, alle prese con una ristrutturazione dell'economia che secondo vari esperti potrebbe tradursi in altri 50 milioni di disoccupati. E Pechino spera che gli americani non solo confermino la clausola di nazione favorita, ma soprattutto tolgano il veto opposto all'ingresso della Cina nel WTO; l'organizzazione mondiale del commercio, e dunque schiudano le porte alle esportazioni cinesi.

A loro volta gli Stati uniti inseguono vantaggi strategici ed economici meno decisivi ma ugualmente forti. Ma se questi sono ben presenti alla Casa Bianca, non lo sono altrettanto al Congresso, presso il quale pende perfino un progetto di legge per sanzioni contro la Cina per le sistematiche violazioni dei diritti umani. Dunque Pechino doveva mandare un segnale al Congresso, lo sollecitava anche la Casa Bianca.Così il vertice cinese si è ricordato di quel ragazzo malaticcio e delle suppliche inviate dalla sua famiglia. I mal di testa di origine ignota, la vista che si indeboliva: un caso ideale per scarcercare un detenuto politico e contemporaneamente deportarlo con il pretesto di metterlo in grado di curarsi all'estero. "Sarebbe una buona notizia, se la condizione del suo rilascio non fosse l'esilio", commenta Catherine Baber di Amnesty international. La Casa Bianca sorvola su quella condizione e apprezza la risposta di Pechino alle pressanti richieste americane: "Era parecchio tempo che chiedevamo la scarc

erazione, che sia avvenuta è un segno positivo". "E nient'altro che un cambiamento di strategia", ribattono da Honk Kong i dissidenti cinesi. Pura cosmesi, resta il fatto incontestabile che: "se vuoi criticare il regime ha solo questa alternativa: lasciare il Paese oppure finire in galera".

 
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