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Partito Radicale Roma - 23 aprile 1998
IL GIGANTE CINESE E I NANI D'ITALIA

Il Giornale (prima pagina), Giovedì 23 aprile 1998

Di Antonio Socci

Tutti i rappresentanti del governo e dello Stato italiano si sono rifiutati di incontrare un piccolo grande uomo che nel mondo è un simbolo della libertà e della lotta per i diritti umani: il

dissidente cinese Wei Jingsheng. Gli hanno chiuso la porta in faccia: il Quirinale, i presidenti delle Camere, il capo

del governo Prodi, il suo vice Veltroni e il ministro degli Esteri Dini. Le più alte cariche dello Stato non ci fanno mai mancare le loro altissime riflessioni sui "valori" e si preparano a intonare i loro inni alla libertà anche in vista del prossimo 25 aprile. Ma evidentemente, nei giorni scorsi, hanno preferito non disturbare i contratti commerciali italo - cinesi con "stupidaggini" come i diritti umani. A dire la verità - se proprio dobbiamo scendere su questo piano (e lo facciamo con un certo disagio) - l'interscambio italiano con la Cina è poca cosa e semmai converrebbe proteggersi dalla concorrenza commerciale sleale di regimi che, come la Cina, usano lavoro schiavistico. Del resto Wei è stato ricevuto da tutti i governi europei e personalmente dal premier francese Jospin e dal presidente americano Clinton, il quale ha da difendere rapporti commerciali ben più cospicui, ma evidentemente lui ha pure una sensibilità umana: O forse è solo questione di mancanza di tempo, come dicono i comunicati ufficiali

. In questo caso bisogna prendere atto che il presidente degli Stati Uniti è un nullafacente in confronto a un personaggio impegnatissimo come il

vicepremier Veltroni che non ha trovato "venti minuti" da dedicare a Wei: tanto bastava, dice Olivier Dupuis, segretario del partito radicale che ha invitato in Italia il dissidente cinese.

Wei è un personaggio leggendario. Il suo viaggio italiano avrebbe meritato ben altra attenzione. La sua storia dovrebbe essere conosciuta da tutti, è un simbolo del XX secolo, ma nello studio

del Novecento che Berlinguer ha imposto a tutte le classi terminali della scuola italiana non troveranno posto gli uomini come lui e le tragedie che testimoniano. Nel 1966, a 16 anni, si illuse come tanti che la rivoluzione culturale fosse davvero una ventata di libertà. Lui, con altri amici, pensava di poter criticare la terribile polizia politica. Ma la "rivoluzione culturale" - dietro cui - stava una guerra per bande nel partito- provocò solo un'immensa carneficina. Wei lo capì e si trovò a solo diciassette anni in galera. Poi fu deportato in campagna, con molti altri, per essere "rieducato". Lì scopre gli immensi orrori di Mao e le carestie provocate dal regime che falciarono milioni di vite umane. Riappare a Pechino nel 1973, trova un posto da elettricista allo zoo. Il 5 aprile 1976 scoppia in piazza Tienanmen la prima contestazione studentesca contro il regime e Wei vi partecipa. Alla fine del 1978, morto Mao, quando Deng Xiaoping autorizza un'apparente apertura (in realtà gli serve per togliere di mez

zo i suoi avversari) sul Muro della democrazia, collocato in uno dei principali incroci di Pechino, appaiono i dazebao del dissenso. Uno dei più famosi è il suo scritto: "La Quinta Modernizzazione". Dove Wei spiega che le quattro modernizzazioni economiche esaltate dal governo avevano bisogno della "democrazia". Wei fonda la rivista Inchieste, distribuita alla "gente del Muro", dove denuncia l'esistenza di detenuti politici, la miseria di milioni di persone, la vendita di bambini per le strade di Pechino, l'origine politica della delinquenza giovanile, il genocidio del popolo tibetano. E infine critica l'attacco cinese al Vietnam e il nuovo despota Deng Xiaoping.

Il 29 mano 1979 è arrestato e condannato a 15 anni con il solito processo farsa. Nel gulag si tenta in ogni modo di distruggerlo. I primi otto mesi fu tenuto in una cella per condannati a morte, poi per più di un anno in una segreta sotterranea priva di luce, senza finestre. Lì si ammalò di cuore, perse tutti i denti, ma rifiutò sempre il "pentimento". I familiari poterono rivedere questo sepolto vivo solo dopo due anni. Poi sparì di nuovo nel gulag. Nel 1989 viene segnalato ai lavori forzati in una miniera di sale presso Tangshan. Intanto continua impavido a chiedere giustizia, fa sei micidiali scioperi della fame e probabilmente subisce anche un "trattamento psichiatrico". Nel 1993 Pechino spera di aggiudicarsi le Olimpiadi del 2000 e come gesto propagandistico libera Wei (sei mesi prima che finisca la sua quindicennale condanna). Wei sfrutta questi mesi di libertà condizionata per far conoscere all'estero la situazione dei diritti umani in Cina e per spedire ancora lettere agli alti papaveri del partito,

da Deng a Zemin, attaccando senza mezzi termini i loro errori e spiegando loro con incredibile coraggio che non si può fare a meno della democrazia, dei diritti umani. Difendendo i diritti del Tibet e di tutti i perseguitati. Ma le Olimpiadi vengono assegnate a Sydney e il primo aprile 1994 Wei viene arrestato di nuovo insieme con la sua compagna Tong Yi. I due vengono inghiottiti dalle tenebre del sistema repressivo. Dopo un anno e mezzo riappaiono per il processo dove Wei viene condannato a 14 anni di carcere. Lì - peraltro - è picchiato da delinquenti comuni che così si guadagnano sconti di pena. Ma "il prigioniero personale di Deng" sta diventando troppo ingombrante per il regime comunista. Amnesty International fa conoscere al mondo la sua storia, dal 1994 è stato candidato al Nobel, gli vengono assegnati il premio Robert Kennedy per i diritti umani e il premio Olof Palme (con questa motivazione: "A un semplice cittadino che sfida un sistema inumano" ). Nel 1996 gli viene assegnato pure il premio Sacha

rov del Parlamento europeo. Così nel 1997 - anche in seguito a pressioni americane ed europee (ma non del governo italiano)- l'ingombrante prigioniero viene liberato ed espulso dalla Repubblica popolare cinese.

Adesso, in esilio, conduce la sua battaglia per i diritti umani in tutto il mondo. Ma a Roma- nonostante abbia fatto cinque giorni di anticamera, con la costernazione dei radicali- le autorità italiane non hanno ritenuto neanche di riceverlo. Bisogna capire le autorità. Per esempio Prodi in queste giornate è stato molto impegnato a insultare i delegati del congresso di Forza Italia e Veltroni pare sia assorbito dal sostegno a Benigni per Cannes: ritiene che il giullare toscano sia un grande testimone dei valori democratici e un glorioso combattente dei diritti umani.

 
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