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Partito Radicale Roma - 23 aprile 1998
IL DISSIDENTE CINESE WEI SFERZA L'ITALIA E L'EUROPA

Schermaglie con la Farnesina per un incontro mancato

Il Corriere della Sera (Pag. 10), Giovedì 23 aprile 1998

Di Marco Del Corona

ROMA- "Il regime di Pechino ha infiltrato il movimento democratico all'estero. Ci sono spie tra i dissidenti che hanno lasciato la Cina e non sempre siamo in grado di smascherarle. Anche per questo, soprattutto in passato, tra gli ex prigionieri politici sono sorti rivalità e contrasti dannosi". E' uno dei costi della libertà, un rischio che Wei Jingsheng ha messo in conto. Classe 1950, scarcerato nel novembre '97, 18 anni di galera, Wei è una delle figure - simbolo del dissenso cinese, anche per la generazione più giovane, quella di Tienanmen. Conosce il senso di inutilità che colpisce gli esuli: "Li comprendo. All'estero perdi i rapporti diretti con la realtà e la popolazione. Ma si può essere utili lo stesso". In carcere, denuncia Wei, ci sono tra 10 e 20 mila detenuti politici, una stima difficile "perché molti sono internati con altri capi d'imputazione". Le loro condizioni "sono più dure di quelle dei criminali comuni": Wei racconta dei capelli rasati, di anni in celle di isolamento, di pasti a base de

gli avanzi avariati. Di torture: botte, mani ammanettate dietro la schiena per giorni, "fino a perdere la sensibilità". Eppure dai carcerati comuni gli attivisti arrestati ricevono solidarietà: "Sanno che combattiamo per l'interesse di tutti". Non meno terribile la sfida della sopravvivenza intellettuale. "Ho dovuto lottare anni per poter leggere e scrivere. I libri che poi ti concedono sono testi ideologici del Partito. E se vuoi carta e penna devi ottenere il permesso dalla direzione del carcere". Difficilissimo avere informazioni sul mondo esterno. "Ma capita che anche le guardie, a volte, raccontino qualcosa". Come quando un secondino lo avvicinò dicendogli: "Alla radio ho sentito la Voice of America parlare di te". I prigionieri politici, spiega il dissidente, imparano a leggere gli avvenimenti e gli umori della società attraverso i media controllati dal Partito. "Non ci sbagliamo quasi mai. Le idee che mi ero fatto sull'Occidente sono state in larga parte confermate". Dopo la sua liberazione, in una se

rie di visite tese a sensibilizzare i governi sul tema dei diritti umani in Cina, ha incontrato il presidente americano Bill Clinton, il premier francese Lionel Jospin, i ministri degli Esteri britannico e tedesco, Robin Cook e Klaus Kinkel. In Italia, ospite del Partito radicale, ha visto faccia a faccia solo dirigenti di partito e sindacali ed è stato ascoltato dalla commissione Esteri della Camera. Nessun contatto a livello governativo. Wei commenta con sarcasmo: "Il governo italiano è molto coraggioso perché è l'unico in Occidente ad ammettere di non essere particolarmente interessato ai diritti umani in Cina". In serata, dopo un imbarazzato silenzio, la Farnesina ha fatto sapere che il sottosegretario Patrizia Toia aveva dato ieri "la sua disponibilità", ma che "l'incontro non si è potuto svolgere per problemi organizzativi non imputabili alla Farnesina".

I toni della denuncia di Wei sono duri: "L'Unione Europea è molto attiva nei rapporti commerciali con Pechino. Il modo in cui gli imprenditori blandiscono i dirigenti cinesi per strappare dei contratti getta discredito su tutta la UE". Il governo comunista ha annunciato l'intenzione di firmare la carta dell'OU sui diritti politici e civili. "Ma, se non ci sarà pressione da parte dell'Occidente, la Cina non onorerà questo patto. Molti dei punti della carta sono già espressi nella costituzione della Repubblica Popolare, ma il Partito non rispetta neppure le sue leggi. Occorre un organismo di controllo che incalzi i dirigenti cinesi. E serve una doppia pressione internazionale: politica, con una condanna della Cina per le sue violazioni dei diritti civili ed economica, con la minaccia di rottura del rapporti commerciali". Wei è invece fiducioso nella capacità del movimento in Cina: "E' una rete efficiente. I democratici di Hong Kong, poi, costituiscono un centro anche ora che, dopo il ritorno alla madrepatria,

sono in territorio cinese. Inoltre, con alcuni membri del Partito, abbiamo scambi utili, ma non ne posso parlare. Non è vero che in Cina si pensi solo ad arricchirsi: c'è voglia di democrazia. Spero che la si raggiunga gradualmente. Ma se il popolo perde la pazienza non posso escludere una rivolta".

 
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