INTERNAZIONALE, 24 aprile 1998
El Pais, Spagna
LAVORA FINALMENTE A PIENO RITMO IL TRIBUNALE penale internazionale dell'Aja, che giudica i crimini di guerra dell'ex Jugoslavia. Ciò dimostra che la sua creazione era un'idea giusta cui inizialmente sono mancati i mezzi economici e umani, oltre che la volontà politica. Oggi che il tribunale sembra ormai stabile, le prospettive di creare un tribunale penale internazionale non più ad hoc, ma permanente, si affievoliscono di fronte alle reticenze che la proposta suscita fra alcune grandi potenze, soprattutto Stati Uniti e Francia. E' comunque auspicabile che la comunità internazionale riesca a mettere in piedi un'istituzione di questo tipo. Creato nel 1993, il Tribunale dell'Aja - il primo del genere dai tempi dei processi di Norimberga e di Tokyo celebrati dopo la Seconda guerra mondiale - ha cominciato a funzionare quando è stato dotato di maggiori mezzi e ha ricevuto un più forte impulso politico. Quest'anno l'Assemblea generale dell'ONU gli ha assegnato finanziamenti superiori di quasi il 50 per cento a que
lli del 1997. Il tribunale ha emesso tre verdetti di condanna, ha messo sotto accusa 75 persone e ne ha fatte incarcerare 24. Ha beneficiato del fatto che un buon numero di presunti criminali, appartenenti a tutte le parti belligeranti, si sono consegnati volontariamente, ma anche dei maggiori sforzi prodigati dalla Forza di stabilizzazione (Sfor) per perseguire i responsabili di tali crimini, nonché della collaborazione del governo serbobosniaco di Biljana Plavsic. Tuttavia acquisterebbe maggiore credibilità se mettesse sul banco degli imputati criminali come Karadzic.
Da Milosevic al Ruanda
Sebbene costi ammetterlo, la collaborazione del dirigente serbo Milosevic è necessaria perché prosegua l'opera di condanna e incarcerazione dei criminali di guerra, anche se lo stesso Milosevic sa bene che, alla lunga, potrebbe finire lui stesso davanti al tribunale, come responsabile di buona parte degli orrori della guerra. E' già in corso di istruzione un procedimento contro di lui, e ciò può costituire un'ulteriore pressione perché il presidente jugoslavo si pieghi alle pressioni internazionali.
L'altro tribunale penale in funzione è quello del Ruanda(Tpir), i cui risultati sono ancora insoddisfacenti e che opera con lentezza stupefacente. In un caso come nell'altro, da parte dei paesi che hanno partecipato alle operazioni di mantenimento della pace o a guerre, si osserva una certa resistenza a lasciar deporre i propri soldati ufficiali: figuriamoci a vederli seduti sul banco degli imputati dinanzi a quelle assise. E' proprio questa resistenza ha indotto gli Stati Uniti a frapporre ostacoli al progetto di creazione di un Tribunale penale internazionale permanente. Per tre settimane, i rappresentanti di cento paesi e di numerose organizzazioni hanno discusso a New York quest'idea, che verrà nuovamente esaminata prossimo giugno-luglio in una riunione definitiva che dovrebbe tenersi a Roma. Ma ci sono troppi problemi aperti e troppe divergenze sui criteri. Ad esempio, il Senato americano da una parte appoggia il progetto, ma dall'altra rifiuta di creare un'istituzione sulla quale non avrebbe diritto di
veto. La grande linea divisoria corre fra quanti desiderano un tribunale indipendente e quanti vorrebbero che dipendesse dal Consiglio di sicurezza, oppure che si possa ricorrervi solo in caso di fallimento dei procedimenti penali intentati a livello nazionale. Dietro le divergenze attorno al finanziamento, l'obbligatorietà, il ruolo del pubblico ministero o altri aspetti del possibile Tribunale penale internazionale permanente, si cela la difficoltà di conciliare le culture giuridiche e penali di tanti paesi. Con il Tribunale permanente dovrebbe infatti nascere una sorta di codice penale internazionale, non foss'altro che per giudicare l'oggetto principale dell'attività di tale istituzione (se riuscirà a nascere), e cioè crimini di guerra, compresi gli stupri, crimini contro l'umanità e genocidi. Il nuovo ordine internazionale in gestazione esige un codice con queste caratteristiche, e non vuole nascere con una tara insormontabile. (M.A.)