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Orofino Veronica - 26 aprile 1998
L'anniversario della liberazione

25 APRILE, MEMORIA E TRAGEDIE DEL SECOLO

la stampa / 25 / aprile

Barbara Spinelli

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COMMEMORARE il 25 aprile sarà quest'anno un evento non solo importante, ma inconsueto e difficile da pensare con profondità. Si ricorderà la data in cui la nazione rinacque libera, ma fra qualche giorno questa stessa nazione cederà una parte essenziale della propria sovranità, riconoscendosi in una più vasta patria e storia europea. Sarà rievocata la battaglia di partigiani e alleati contro i nazifascisti, ma per la prima volta la celebrazione accomunerà tutti gli italiani: resistenti ed eredi di Salò, vecchio arco costituzionale e postfascisti di Fini. Sta per nascere una comune Banca Centrale, e questo obbligherà le classi politiche a riflettere sull'incompiutezza di ambedue le sovranità: incopiutezza dell'antico sovrano nazionale, la cui legittimità va rimediata oltre che preservata; e incompiutezza del nascente sovrano europeo, la cui legittimità è ancora da fabbricare. Sta per nascere una seconda Costituzione, ed essa sarà sottoscritta da un partito lungamente ostracizzato, non ritenuto maturo per re

digere testi costituzionali democratici.

Ora il partito di Fini è considerato maturo, e il suo vero giorno di sdoganamento è oggi: è questo 25 aprile del '98 che rievoca l'Italia liberata di ieri e al tempo stesso prefigura un'Italia mutante, non più veramente Stato-nazione ma più unita politicamente come nazione: Sicchè non sarà un semplice celebrare, un rammemorare compiaciuto oppure contrito, a seconda. Il 25 aprile avrà significato se sarà un occasione per pensare il secolo che sta finendo, e i mali cui si è resistito o si è ceduto, nelle varie nazioni d'Europa: non solo nelle nazioni attribuite fortunatamente a Ovest, da Yalta, ma anche nelle nazioni che furono svendute al vincitore comunista, e che prossimamente parteciperanno con noi all'edificazione della sovranità europea.

Il 25 aprile avrà significato se sinistre e destre mediteranno sulle rispettive eredità, sulle rispettive complicità col male, e ricorderanno perchè si è combattuto, in ambedue le parti d'Europa: contro quali forme di totalitarismo - nazifascista o comunista - e in nome di quali idee di patria, di libertà, di convivenza cittadina, di dignità della persona privata. Solo così la memoria del passato diventa possibilmente feconda - utile lente per vedere gli obblighi del presente, del futuro - e cessa di essere gabbia che immobilizza, esercizio solipsistico d'inerzia, storia che definitivamente si conclude. Solo così si potrànno comprendere certe indifferenze, certe volontà d'impotenza degli europei, di fronte ai mali che continuano a presentarsi anche dopo la caduta del Muro nell'89. La storia del male non è finita infatti, dopo quella data. Non sono finiti i genocidi, i crimini contro l'umanità - in ex Jugoslavia, Cecenia, Ruanda, Algeria - e se i cedimenti son tanto diffusi vuol dire che c'è qualcosa di clau

dicante e forse di marcio, nelle nostre politiche della memoria. Vuol dire che lo stesso vocabolo Liberazione ha smesso di essere lievito, impegno, e rischia di divenire un monumento di fronte al quale si poggiano sbadate corone.

Probabilmente sono i tanti dialoghi che hanno fatto marcire la politica della memoria e il suo vocabolo Liberazione, in Italia. Sono le tante tavole rotonde colme di sentimentalismi, di reciproche simpatie che assolvono e si autoassolvono, tra eredi del comunismo e del fascismo. Tavole rotonde che le intelligenze italiane prediligono, e che trasformano ogni cosa in opinione, confutabile. Ogni cosa: idee e fatti , verità certificate e falsificazioni del pensiero, con il risultato che nessuno indaga veramente sul proprio passato - per ripensarlo, fare ammenda - e tutti indagano più furbamente sul passato altrui. Accade così che le estreme destre in Europa si concentrino solo sulla guerra stupidamente iniziatae tragicamente perduta dal fascismo, e che coltivino dentro di sé l'idea che il fascismo divenne cosa malvagia solo perchè fu vinto militarmente: applicato in tempo di pace, forse, avrebbe dato ben più brillanti risultati. Non pochi interlocutori di sinistra d'altronde sembrano condividere queste clande

stine convinzioni: Luciano Violante e Claudio Magris, per esempio, non parlano di colpevoli ma piuttosto di "vinti", cui deve andare la nostra pietas, Altri interlocutori evocano la tragedia della sconfitta italiana, le rovine della guerra perduta, l'8 settembre e il buio tracollo della nazione. E' assente la lucida consapevolezza di Thomas Mann, che nel Dottor Faustus giunge sino ad augurarsi - con tremore tragico- la totale sconfitta della propria amata nazione. Non c'è la saggia politica della memoria che ha spinto Kohl, negli ultimi dieci anni, a trasformare l'8 maggio tedesco in giorno non di sconfitta nazionale ma di Liberazione, celebrata solidalmente con europei e americani. In Italia la guerra perduta continua a causare risentimenti.

 
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