Piccola posta
di Adriano Sofri
(Il Foglio, 29 aprile 1998)
Caro Wei Jingsheng, mi dispiace molto che, fra le tante persone che hanno mancato di vederla durante la sua visita italiana, ci sia anch'io. I miei cari amici radicali avrebbero dovuto pensarci. Io sono destituito di ogni autorità, però almeno so chi è lei, e quanto valga la pena di rallegrarsi che lei sia libero e possa visitare l'Italia.
Durante una puntata di "Porta a porta" Bruno vespa, che pure ha una redazione attenta e preparata, l'ha interpellata sommariamente chiamandola oltretutto "Shang": chissà perché. Lui almeno l'ha infilata, la storia più illustre di resistenza di una persona all'immane potere dello Stato cinese, fra tristi racconti di ergastoli di Porto Azzurro. Per il resto, niente. Eppure un giorno dei suoi 18 anni di carcere terribile una guardia le si avvicinò per sussurrarle: "Ho sentito alla radio la Voice of America che parlava di te".
Vedo che, a bilancio della sua visita, sommessa, le ha dichiarato: "il governo italiano è molto coraggioso, perché è l'unico in Occidente ad ammettere di non essere particolarmente interessato ai diritti umani in Cina". Mi viene da piangere. Lei ha anche spiegato che "non è vero che in Cina si pensi solo ad arricchirsi: c'è voglia di democrazia". Ci credo. Vorrei poter dire lo stesso dell'Italia.