IL DISSIDENTE DI TIENANMEN: QUESTA CINA SCOPPIERA'
IL LEADER DELLA RIVOLTA DELL'89, ESPULSO UNA SETTIMANA FA E DEPORTATO NEGLI STATI UNITI, RACCONTA LA PRIGIONIA E LA NUOVA LOTTA DALL'ESILIO
IL DISSIDENTE: "ANCHE NOI SBAGLIAMMO SULLA TIENANMEN, NON ERAVAMO ANCORA MATURI"
Il Corriere della Sera (prima pagina e pag. 8), Mercoledì 29 aprile 1998
Di Gianni Riotta
New York- Wang Dan è finalmente libero. Condannato a 11 anni di galera per la rivolta di Tienanmen, finita in strage, il leader ventinovenne degli studenti è stato espulso una settimana fa dalla Cina e deportato negli Stati Uniti. "L'Occidente deve ricordarsi che la politica, l'economia, non possono dimenticare i principii morali. Non è giusto e non conviene", dice al Corriere ella sua prima intervista europea. E ancora: "L'Occidente si illude di commerciare con i cinesi, senza promuovere la democrazia. La Cina si sta trasformando, c'è il rischio grave di instabilità. E l'instabilità intralcerà il mercato, in Cina e in Asia".
Rivela poi che non ha mai avuto una ragazza: "Ho sempre pensato alla politica".
Wang Dan guarda dalla finestra dell'Empire State Building, le avenues di Manhattan, il fiume Hudson con le sue chiatte, l'America, la libertà. La libertà? 29 anni, una condanna a 11 di galera, leader degli studenti nella rivolta del 1989, finita con la strage di piazza Tienanmen, Wang Dan è stato espulso una settimana fa dalla Cina e deportato negli Stati Uniti. "L'occidente deve ricordarsi che la politica, l'economia, non possono dimenticare i principi morali. Non è giusto e non conviene" dice al Corriere nella sua prima intervista europea.
E' stanco Wang Dan. "In carcere, a Jinzhou, mi trattavano meglio degli altri detenuti politici, migliaia, molti di più dei duemila censiti dal governo. Coltivavamo meloni. Per non sfigurare con il mondo, non me la passavo male rispetto agli altri. n mio pensiero era ai miei genitori. Dieci ore di treno solo per vedermi, sono anziani, una tortura. Quando mi hanno espulso non c'è stato tempo per salutarci. Mio padre mi ha passato il suo orologio. Questo". Il polso di Wang Dan è sottile, il volto da ragazzo. Come chi è stato a lungo in cella ed è da poco libero, si muove a tentoni, cauto, misurando passi e parole. Non ha un lavoro, un paese, un centesimo. "Spero adesso di ricominciare a studiare. Storia. Non ho mai avuto molto tempo per me, mai". Confiderà trepido alla collega Lena Sun: "Solo politica nella mia vita. Non ho mai avuto una ragazza. Sono vergine". Il ragazzo triste Wang è cosciente della sfida terribile che l'attende in esilio: come cambiare il più grande Paese del mondo, nel corso di una rivo
luzione economica straordinaria, mentre tutto il mondo vuol fare affari con la Cina più che curarsi di pochi, nobili ma solitari dissidenti? "L'opposizione tra mercato e diritti civili è falsa. In cella ho meditato a lungo. Se l'Occidente si illude di commerciare con i cinesi, senza promuovere le riforme politiche e la democrazia, avrà un brutto risveglio. La Cina si sta trasformando, c'è il rischio grave di instabilità. E l'instabilità intralcerà il mercato, in Cina e in Asia".
Che riforme politiche ha in mente, il leader dei ragazzi che si illusero di cambiare Chung Kuo, la Cina, occupandone il cuore, piazza Tienanmen a Pechino? "Libertà di espressione. Libertà di associazione. Libertà per i giornali e le tv, anche straniere. Non è una rivoluzione no? Senza questo dibattito, senza questi controlli, come può fiorire il mercato?". Wang Dan non è più lo studente allampanato che, bandana stretta in fronte, arringava la folla degli studenti. Sa che qui, in America, ci sono quelli che credono nella sua battaglia, come Carroll Bogert dell'organizzazione Human Rights Watch, come i ragazzi e le ragazze che da quest'ufficio nel grattacielo più famoso d'America, coccolano il loro eroe offrendogli cioccolatini ("No, grazie"). Ma ci sono anche tanti che, ispirati dall'ex segretario di Stato Henry Kissinger, stimano i dissidenti dei pasticcioni e puntano sul mercato cinese. Come cambiare? E perché? "Non è facile per gli occidentali vedere quel che non funziona in Cina. Ci sono milioni di emigr
anti, che seguono il lavoro dove appare, poi si rimettono in cammino. Ci sono minoranze etniche oppresse, a cui finora è stata negata l'opportunità del benessere. La situazione è pericolosa. Senza la valvola di un dibattito democratico rischia di scoppiare". Wang Dan non ha barba da profeta di Solgenitsin, lo spirito di uno Sharansky o la ragione illuministica di un Sakharov. Sarà capace, questo
giovanotto in maglietta a strisce, di convincere americani ed europei che
si possono fare affari con i cinesi, rispettarne tradizione e cultura, senza abbandonare chi si batte per giustizia e libertà? "Solgenitsin? Io provo a essere me stesso, ognuno di noi ha il suo sentiero e deve seguirlo. Io rispetto e comprendo i Paesi occidentali. Devono curarsi dei loro interessi nazionali, non possono dichiarare un embargo. Ma non devono dimenticare che la mancanza di democrazia genera instabilità e crisi. E non devono dimenticare quello che noi tenevamo a mente in galera: politica ed economia non possono fare a meno di principi. Principi morali ". Wang sa che, in Italia, il dissidente Wei Jingshen s'è lagnato della freddezza del governo Prodi nella battaglia per i diritti civili in Cina, ma fa cenno di non voler commentare. "Ha già parlato Wei". "Seguire il proprio sentiero principi morali": Wang Dan è un lettore di Lao Tsu, un discepolo del Tao, l'antichissima filosofia cinese dell'equilibrio e della saggezza? Finalmente un sorriso, appena accennato, di stupore perché anche nel fragore
di Manhattan arriva l'eco di quei versi remoti: "Sono cresciuto sui testi della tradizione cinese, ma oggi dobbiamo andare avanti. Mi dicono che in Occidente va di moda anche il Feng Shui, l'arte della geomanzia, come costruire le case per ottenere gli influssi positivi della terra. Ognuno fa quel che vuole, ma a noi occorre altro per
cambiare. In cella leggevo il filosofo francese Foucault, per capire come funziona il potere contemporaneo. Studiavo Hayek e i classici del liberalismo. Ho letto Huntington e la sua idea dello scontro di civiltà prossimo venturo. E ho letto Rousseau".
Come tutti gli esiliati, Wang Dan adora il suo Paese, ma è attratto dalla nuova patria: "C'è nella nostra tradizione un eccessivo rispetto dell'autorità, del potere, della famiglia patriarcale. Non dimenticherà mai il 27 di aprile del 1989, quando salli su un ponticello e vidi la piazza piena di studenti cinesi, in coro. Il giorno prima il governo aveva detto "restate a casa". Invece, per la prima volta nella storia millenaria della Cina, i cittadini non ascoltarono il governo. Non credevo ai miei occhi. Eppure anche noi allora sbagliammo, eravamo immaturi. La colpa del massacro è del governo, ma sento la responsabilità morale dei nostri errori".
Quando pronuncia Chung Kuo, la Cina, Wang ha già l'espressione malinconica di chi non sa quando rivedrà la patria, la casa, la famiglia. "Studierò. Ad Harvard o Columbia University spero. Poi vivrò a Washington. L'esilio mi spaventa? E' una sfida, ma è anche un'opportunità. Forse un giorno diventerò presidente dell'Università di Pechino". Forse. Davanti al fiume Hudson comincia la vita d'esiliato del ragazzo triste Wang. Intanto la Cina privatizza milioni di appartamenti, gli inquilini diventano proprietari, nasce un nuovo, enorme ceto medio. Dove non esistono neppure cavi telefonici, trillano i telefonini. Chi sa le cose a Pechino scommette su Hu Jintao, 55 anni come nuovo presidente, ed è scettico sui dissidenti: troppo lontani, troppo soli. La Cina corre per la sua strada, gli esiliati, caparbi e solitari cercano democrazia. "Le case agli inquilini? Per ora creano stabilità, certo. Ma poi? Hu Jintao? Certo, è giovane, ma non sarà un uomo solo a cambiare la Cina, sarano le riforme". Wang Dan, uomo solo che
vuol cambiare la Cina finisce di parlare e su New York cade la sera. A Pechino, invece, è l'alba.