Intervento/ Il ministro degli Esteri Dini
"Dalla pena di morte alla corte penale internazionale, ecco le nostre battaglie. Ma un mondo più equo richiede tempi lunghi"
Dal Corriere della sera (pag. 11), Lunedì 11 maggio 1998
Di Lamberto Dini
Gianni Riotta evoca giustamente (Corriere della Sera, venerdì 8 maggio) i diritti dell'uomo e il loro rapporto con gli interessi specifici, soprattutto economici, degli Stati. Affronta tuttavia, mi sembra, uno dei nodi del nostro tempo trascurandone l'enorme complessità nelle molteplici interdipendenze del mondo contemporaneo. Il dibattito sui diritti diviene sempre più ampio, sempre più intenso. In un secolo che si chiude lasciando dietro di sé il ricordo di tanta barbarie questo è certamente un segno incoraggiante. I diritti dell'uomo costituiscono una classe variabile, come la storia mostra a sufficienza. L'elenco dei diritti si è modificato e va modificandosi con il mutare delle condizioni, dei bisogni e degli interessi, dei mezzi disponibili per la loro attuazione. La Dichiarazione universale adottata dalle Nazioni Unite cinquant'anni fa costituisce un passaggio cruciale: dalla teoria alla pratica, dal diritto solamente pensato a quello attuato. Ha messo in moto un processo alla fine del quale i diritti
dovrebbero essere non più proclamati o idealmente riconosciuti, ma effettivamente protetti anche contro il proprio Stato che li ha violati. La questione è ormai di individuare i modi in cui si può e si deve concretamente agire. La crescita morale si misura non dalle parole ma dai fatti. I diritti non basta enunciarli, occorre perseguirli tenacemente. La loro tutela è una delle costanti della politica estera italiana. E' una costante nel senso che ispira molte politiche, dà a esse spessore morale, dall'assistenza allo sviluppo all'integrazione europea, alla revisione delle principali istituzioni internazionali. La diploma zia italiana opera tenendo a mente che sul piano internazionale, così come su quello interno, non c'è pace senza giustizia e non c'è progresso senza pace. Viene a volte lamentata una supposta incongruenza fra scelte umanitarie e scelte politiche, fra le ragioni dell'economia e quelle dell'etica. In realtà occorre, e questa è la linea del governo italiano, tenere fermi valori e principi, ma
anche calarli nella realtà internazionale. Tutelare i diritti dell'uomo significa anche saper fare affidamento sui tempi lunghi, sulle trasformazioni economiche e sociali dalle quali scaturisce inevitabilmente una domanda di libertà. Ho in mente la rivoluzione pacifica in atto in Cina. Altre volte occorre saper cogliere cambiamenti nella politica di un governo, incoraggiarne l'evoluzione, metterla alla prova dei fatti. E' stato, ad esempio il senso del mio viaggio a Teheran all'inizio di marzo. Altre volte, infine, occorre saper dosare minacce e incentivi come nella ex Jugoslavia. In questo secolo le utopie hanno generato tante tragedie. Alla fine prevalso il modello della democrazia e del mercato, ma altre utopie possono riprendere a brillare nel deserto lasciato dalle illusioni cadute. Il governo italiano ha sempre mosso il dialogo e la tolleranza, ad esempio nel rapporto tra le due sponde del Mediterraneo, tra religioni e culture diverse. La tolleranza sceglie il metodo della persuasione rispetto a que
llo della forza o della coazione. Non riposa sulla rinuncia alla propria verità o sulla indifferenza a ogni forma di verità. La tolleranza esprime invece una fiducia nella ragione o ragionevolezza dell'altro. Alle soglie del nuovo secolo, assistiamo a una tendenza inarrestabile alla mondializzazione dei mercati come dei diritti. La globalizzazione, in crescita esponenziale dopo lo sfaldamento del comunismo, se correttamente gestita può costituire uno strumento formidabile del progresso umano. Ai movimenti delle tecnologie, dei capitali e delle merci spesso si accompagna la circolazione e la diffusione delle idee. Già in passato lo scambio commerciale si è reso veicolo non solo del benessere ma anche di quei valori cui corrispondono i nostri più alti ideali. Si tratta di opportunità straordinarie che potranno creare basi di armoniosa convivenza e rendere anche le generazioni future partecipi di un destino comune. La tendenza vorrebbe il diritto di ogni uomo di essere cittadino non solo del proprio Stato ma d
el mondo intero, e la terra intera come una potenziale città del mondo. Ma l'universalità dei diritti non implica affatto che i fondamenti culturali, il linguaggio e anche i meccanismi istituzionali, nonché il ritmo con cui questi diritti vengono realizzati, debbano essere uniformi nel mondo intero. Per converso, la rivendicazione legittima della specificità delle tradizioni e delle culture non può in alcun caso giustificare il rifiuto di rispettare gli obblighi in materia di diritti. Anche nel sostegno ai processi di democratizzazione, cornice indispensabile per ogni garanzia delI'individuo, possiamo vantare un impegno coerente. Esso si manifesta nelle iniziative di ricostruzione economica abbinate a più ampi disegni politici. Merita menzionare, a questo ultimo riguardo, quanto fatto per la gestione della crisi albanese. Il riconoscimento di diritti deve essere considerato sempre più condizione necessaria per l'appartenenza di uno Stato alle comunità privilegiate dell'ordine internazionale. La loro tutela è
uno dei criteri alla base dell'allargamento sia dell'Unione Europea sia dell'Alleanza Atlantica. I criteri di ammissione sia all'una sia all'altra presuppongono infatti il rigoroso rispetto delle libertà fondamentali, il controllo della società civile sul potere militare, la separazione dei poteri e il loro esercizio secondo regole precise, la costituzionalizzazione dell'opposizione, I'investitura popolare e la sua verifica periodica. Alla luce di questi principi generali, per chiarire maggiormente come e quanto l'Italia sia sensibile all'imperativo dei diritti umani civili, politici, economici e sociali, vorrei citare due esempi. Il governo ha condotto una battaglia per l'abolizione della pena di morte nel mondo, coronata dalI'adozione l'anno scorso a Ginevra di una risoluzione - ribadita quest'anno - della Commissione Diritti Umani delle Nazioni Unite. Lo stesso auspicio contiene una dichiarazione allegata al Trattato di Amsterdam. Crediamo fermamente che la scomparsa totale della pena di morte dal teatro
della storia sia destinata a rappresentare un segno indiscutibile di progresso civile. Il governo italiano ha inoltre assunto l'iniziativa per l'istituzione di una Corte penale internazionale permanente, con l'impegno a ospitare a Roma, dal 15 giugno al 17 luglio prossimi, la Conferenza diplomatica chiamata ad adottarne lo Statuto. E' difficile mettere in atto misure efficaci di garanzia in una comunità come quella internazionale, in cui non è avvenuto ancora il processo di monopolizzazione dell'uso della forza che ha contrassegnato la nascita dello Stato moderno. La Conferenza di Roma costituirà, nei nostri intendimenti, una pietra miliare nella storia della repressione e prevenzione dei crimini internazionali, rimasti fino ad oggi troppo spesso impuniti. Portatrice di una giurisdizione che riesca a imporsi e sovrapporsi alle giurisdizioni nazionali, la Corte consentirà una diretta applicazione agli individui delle norme internazionali e rappresenterà un incentivo per l'adeguamento degli ordinamenti inter
ni. Emerge dunque con chiarezza che l'Italia, attraverso le molteplici e diversificate iniziative avviate dal governo nel complesso universo delle relazioni internazionali, contribuisce alla creazione di un ordine internazionale più equo, rappresentativo, democratico. Oggi più che mai si tratta di saper pensare e prevedere il futuro, ben oltre la dimensione in parte desueta dello Stato nazionale. Il modo migliore di prevedere il futuro è contribuire a edificarlo.