Titanic
Da IL CORRIERE DELLA SERA, sabato 16 maggio 1998
di Gianni Riotta
Perche' mai un italiano, tra Euro, Berlusconi & Borrelli e frane, dovrebbe preoccuparsi per la rivolta in Indonesia? Perche' la Guerra Fredda e' finita (anche se si son dimenticati di avvisare qualcuno, dalle nostre parti) e la tensione nelle isole che furono di Sandokan e Yanez ci concerne da vicino.
L'Indonesia ha duecento milioni di abitanti, presto quattro volte l'Italia. La popolazione e' composta da indu', coltivatori di riso, musulmani, che vivono lungo le coste, e cinesi, cristiani e residenti da varie generazioni, minoranza che controlla commerci e affari. Colonizzata da portoghesi e olandesi, l'Indonesia diventa indipendente dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1955 ospita la Conferenza di Bandung, orgogliosa assise asiatica e africana che cerca, invano, una piattaforma comune contro occidentali e sovietici.
Il regime di Sukarno prima, e di Suharto poi, controlla facilmente l'arcipelago negli anni della Guerra Fredda, quando il pianeta non puo' muoversi dalle trincee obbligate. Chi si ricorda delle stragi seguite al tentato golpe del 30 settembre 1965, quando vennero massacrati i militanti del Pki, il partito comunista? Quanti? Le stime variano da ottantamila a oltre un milione.
E chi si ricorda della minuscola East Timor? Nel dicembre del 1975 i militari indonesiani l'invadono e l'annettono. Nessuno batte ciglio, gli americani hanno appena perduto il Vietnam e vogliono un bastione in Asia. Secondo il "Book of the year 1996"dell'Enciclopedia Britannica, duecentomila persone, un terzo degli abitanti di East Timor, cadono sotto la repressione di Suharto.
Pur fondata sulla violenza, pero', l'economia dell'Indonesia migliora. La rivoluzione informatica e del mercato globale esporta e crea migliaia di posti di lavoro. Donne che non avevano mai lasciato il clan familiare guadagnano un salario, modesto, che le sottrae al giogo di padri e mariti. Si passa, in certe zone, dall'eta' della pietra al computer nel volgere di una stagione.
Non c'e' democrazia? Solo pochi ci fanno caso, inclusa la giuria che assegna il Nobel per la Pace a due dissidenti di East Timor, il vescovo cattolico Ximenes Belo e l'attivista Ramos-Horta. Ma la democrazia non e' un lusso, una lagna rococo' da lasciare ai petulanti di Amnesty International. No: e' anche il modo piu' efficiente per far funzionare la nuova economia (e qui, vedete?, l'Indonesia parla di noi).
Come accade anche in Cina, la famiglia del dittatore Suharto monopolizza i mercati, in una Tangentopoli smisurata. Suharto domina da 32 anni governo, banche, media, finanza. Sua figlia Siti Hardiyanti Rukmana regge il governo. Senza opinione pubblica e opposizione, Giakarta stampa moneta a volonta', specula con banche fallimentari ma fedeli a Casa Suharto, se ne infischia dell'austerita' prescritta dal Fondo monetario in cambio di un'iniezione di 43 miliardi di dollari (77.000 miliardi di lire).
Scoppia la crisi. La rupia precipita, la nafta rincara, i poveri non riescono piu' a far la spesa nei negozi degli odiati cinesi. Il presidente Clinton avverte, senza riforme politiche niente ripresa, il Fmi concorda. Gli studenti chiedono infine democrazia e la cacciata di Suharto, d'intesa con l'oppositore moderato Amien Rais. La polizia spara e uccide, Giakarta brucia, le multinazionali fanno le valigie, Suharto e il suo complice Habibie preparano l'ultima resistenza. La folla affamata massacra i bottegai cinesi e saccheggia i supermercati.
Ago della bilancia l'esercito, rispettato al contrario della polizia: sara' dell'amletico generale Wiranto il colpo di grazia a Suharto? Nell'attesa, il rogo di Giakarta prova quanto illusoria sia l'idea di mercato libero senza libera politica. Oggi in Indonesia, domani in Cina.