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Orofino Veronica - 28 maggio 1998
Palden Gyatso, il monaco scrittore

MIO TRISTE TIBET TERRA DI TORTURA

da la stampa / M.G.Bruzzone / 27/ 5

Palden Gyatso ha il cranio rasato, braccia esili che spuntano dall'abito giallo e rosso scuro dei monaci tibetani, occhi intensi e pacifici, e il candore tipico degli uomini della sua cultura. Nella saletta del Comune di Roma, racconta senza emozione: << Il giorno più duro fu il 13 ottobre del 1990. L'autorità di Drapchi, la prigione numero uno del Tibet dove ero stato appena riportato, si chiamava Paljor, e mi conosceva bene. Per questo mi aveva subito voluto vedere. Aveva preso un bastone lungo, collegato a un filo, e cominciò a girarmi intorno > Così continui a sostenere la libertà del tuo Tibet. In tanti anni di prigione non hai imparato niente>>, mi diceva. Cominciò a schiacciare il bastone che emetteva scintille sul mio corpo, che sussultava a ogni scossa. Poi me lo mise in bocca, due volte, rompendomi tre denti. Lì per lì svenni dal dolore e quando mi risvegliai mi accorsi che avevo perduto urina, feci e la bocca era piena di sangue. Non so quanto tempo ero rimasto così. Gli altri denti mi caddero

poco tempo dopo. Ci ho messo settimane per riuscire a mangiare cibo solido >>.

Chissà quante volte ha ripetuto questa e altre storie raccapricciantidella sua detenzione, durata 33 ann, nelle prigioni cinesi. La prima volta aveva 27 anni, era già monaco, e si era rifiutato di <> che il suo maestro, un grande Lama per il quale provava devozione, era una <>, come volevano fargli ammettere.

Dal 1992, quando è riuscito a tornare libero grazie all'interessamento e alle pressioni della sezione italiana di Amnesty International, non fa che girare il mondo per raccontare le sue vicende, esemplari delle persecuzioni subite da migliaia di tibetani dall'inizio dell'occupazione cinese, nel 1950. Vicende che ha raccolto in Tibet. Il fuoco sotto la neve pubblicato in Italia da Sperling Kupfer con la prefazione del Dalai Lama. Un libro suggestivo, semplice e agghiacciante, che attraversa la storia della Repubblica Popolare da Mao a oggi.

Per la prima volta in Italia, il monaco sessantacinquenne è venuto anche al Salone del Libro di Torino, portandosi dietro il corredo di strumenti di tortura che è riuscito a trafugare: manette di varia forma, e quegli strani <>, <>. Gyatso racconta di monache e ragazze violentate dai carcerieri anche con quegli strumenti. << Molte sono morte, altre sono riuscite a fuggire a Dharamsala>> la città ai confini indiani dove riparano gli esuli tibetani. << La Cina vorrebbe negare al mondo ciò che ha compiuto e compie, nega persino che io sia stato in prigione, ma io ho qui il certificato che mi hanno rilasciato le autorità>> dice, mostrando un foglio con firme e bolli. << Loro negano tutto, anche le uccisioni sulla piazza Tienanmen. Ma il passato è passato. Adesso si deve pensare al futuro del Tibet>>. E lascia la parola ai verdi che hanno organizzato questo incontro. E che hanno convinto il consiglio comunale ad approvare un ordine del gio

rno che chiede al sindaco Francesco Rutelli - che proprio oggi incontra il sindaco di Pechino - di concedere uno spazio per una rappresentanza del governo tibetano in esilio. E di adottare un giovane tibetano imprigionato senza motivo, come hanno già fatto New York e Strasburgo. E come faranno forse 136 Comuni del Lazio. <>.

 
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