di MARTIN WOOLLACOTT
IL PIU' TERRIBILE DI TUTTI I PROCESSI CHE HANNO AVUTO luogo nelle terre un tempo chiamate Jugoslavia non e' la guerra, che annienta vite umane e distrugge villaggi e citta', ma il danno irreparabile arrecato al futuro della maggioranza che e' sopravvissuta. Lo spargimento di sangue potra' anche fermarsi, come e' avvenuto in Croazia e in Bosnia, ma societa' minate dalla diffidenza, deformate da una politica odiosa, piene di vergogna per un passato omicida e gravate da economie criminalizzate non si riprendono facilmente. La vittima piu' grave delle guerre di Jugoslavia, sotto questo profilo, e' la Serbia stessa, anche se, in termini di perdite di vite umane e di trasferimento di popolazioni, i serbi hanno sofferto meno di altri popoli jugoslavi, cioe' slavi del sud. Oggi nel Kosovo e' in corso un'ultima follia che, se non verra' presto arginata, fara' compiere un balzo in avanti alla distruzione delle prospettive del popolo serbo, al tempo stesso infliggera' agli albanesi di quella regione la piu' futile del
le guerre. E' come se Slobodan Milosevic, il leader che i serbi hanno la disgrazia di ritrovarsi, stesse dicendo agli albanesi del Kosovo che anche loro devono bere dallo stesso calice avvelenato da cui e' stato costretto a bere ogni altro popolo dell'ex Jugoslavia. E' un atto autenticamente malvagio, piu' malvagio di
quel che e' successo prima. Almeno un tempo esisteva un obiettivo di guerra, quello della Grande Serbia, che rappresentava il motivo delle iniziative della Serbia, anche se non giustificava i mezzi impiegati. Di tutto cio', in questa
estate del 1998, non rimane nulla. Non c'e' nessuna Grande Serbia, ne' mai ci sara', a meno di non voler definire un successo quel patetico mozzicone che e' la Repubblica serba di Bosnia. Anche nell'atmosfera distorta di Belgrado,
dove molti esponenti dell'opposizione condividono i pregiudizi dei circoli al potere, e' del tutto evidente che il Kosovo e' una causa persa. Mantenere per un lungo periodo di tempo il dominio serbo su una popolazione ormai del tutto ostile come quella del Kosovo e' impensabile. Altrettanto impensabile e' costringere la popolazione ad abbandonare la provincia. Quanto alla spartizione della terra fra serbi e albanesi, e' una fantasia che si aggira ancora nella mente di alcuni serbi, ma anch'essa ha minime probabilita' di successo.
A parte ogni altra considerazione, il comune cittadino serbo non e' affatto pronto ad andare in guerra nel Kosovo. Molte reclute spedite in quella regione deserta stracciano le divise a qualche centinaio di metri dai cancelli
delle loro basi. E' vero, ci sono i serbi armati del posto, che
hanno anche loro degli interessi, per quanto odiosi, nel Kosovo, nonche' le forze di sicurezza e i gruppi paramilitari che ci ha portato Milosevic. Ma con questi soli, Milosevic puo' solo fare una guerra, non vincerla.
Perche' Milosevic combatte in Kosovo?
Uno dei grandi errori dei mediatori e dei diplomatici impegnati nell'ex Jugoslavia e' dare per scontato che le azioni di Milosevic abbiano quella razionalita' che azioni del genere possiedono molto di rado. E cosi', le recenti operazioni lungo il confine con l'Albania, che hanno provocato un esodo di profughi in tutte le direzioni, hanno una razionalita' superficiale, nella misura in cui creare una zona di "fuoco libero" per separare i ribelli dai loro rifugi e dalle linee di rifornimento e' un preliminare usato spesso per montare una campagna antiinsurrezionale. Ma dal momento che Milosevic una campagna del
genere non la puo' vincere - e comunque, anche se la vincesse, non potrebbe conservare il Kosovo - questa razionalita' tattica, dal punto di vista strategico, e' una sciocchezza. Lo scopo e' forse solo quello di conquistare per un po' di tempo la superiorita' militare, in modo da rafforzare le proprie posizioni nelle trattative con gli albanesi del Kosovo? No, visto che tutti convengono che il leader del Kosovo, Ibrahim Rugova, e' pronto a concordare una soluzione diversa dall'indipendenza e che, nelle circostanze attuali, potrebbe convincere il suo popolo ad accettarla. Ma bastera' qualche altro attacco da parte della polizia e dei corpi paramilitari per fare cambiare umore all'opinione pubblica e rendere il protrarsi dell'associazione con la Serbia molto piu' difficile da far accettare. Se l'obiettivo di Milosevic e' davvero una soluzione negoziata, sarebbe meglio cercare di raggiungerlo subito, senza preliminari militari. Ma allora perche' Milosevic combatte nel Kosovo? La risposta e' che dalla feroce mes
sinscena di violenza, di minacce e controminacce, il leader serbo trae forza ed energia. Fin dall'inizio Milosevic si e' specializzato nel porre in atto minacce all'esistenza della Serbia. Quel che era soltanto latente e ancora informe, Milosevic l'ha reso inevitabile. La Serbia non era accerchiata dai nemici, ma quando Milosevic ha terminato la sua opera lo era diventata. Per autogiustificarsi, Milosevic inventa tutta una tragedia di accerchiamento e di isolamento. Senza di lui, oggi ci sarebbero serbi in Krajina, nella Croazia orientale e nella Bosnia occidentale. Sembra del tutto possibile che l'architetto fallito della Grande Serbia sia attualmente occupato ad attizzare intenzionalmente le fiamme di una Grande Albania. Gli uomini dell'Esercito di liberazione del Kosovo (Elk) parlano gia' di liberare non solo il Kosovo, ma anche le zone albanesi della Macedonia e del Montenegro. Fra i giovani albanesi di Macedonia, secondo un rapporto recente, e' gia' diffusa la "venerazione per l'Elk". Il governo albanes
e ha gia' dovuto cambiare il modo in cui parla della situazione nel Kosovo e spostarsi su posizioni piu' nazionaliste. Si puo' senz'altro parlare di una certa sconsideratezza da parte degli albanesi del Kosovo: qui la ben nota miscela, fatta di desiderio di vendetta, degli effetti della retorica e della spacconeria tipica dei giovani, fa il gioco di Milosevic. Atteggiamenti del genere rischiano di distruggere gran parte della societa' con una guerra fra un esercito pieno di odio e una piccola milizia malamente addestrata e priva di alleati concreti. A lungo andare, la parte albanese prevarrebbe di certo, ma la societa' emersa dal conflitto rimarrebbe gravemente danneggiata. L'affermazione dell'identita' nazionale nelle regioni abitate dagli albanesi e' destinata a diventare realta'. Non deve necessariamente essere violenta e non deve necessariamente comportare lo spostamento delle frontiere. Le potenze occidentali devono essere molto caute. Se puo', Milosevic le coinvolgera' in un'azione di polizia contro gl
i albanesi, rendendole complici della repressione delle aspirazioni nazionali albanesi, e fara' del suo meglio per garantire che tali aspirazioni assumano una veste estremistica e "terroristica". Se puo', provochera' un conflitto sanguinoso e poi, con l'impudenza di cui ha spesso dato prova in passato, si presentera' come l'uomo duro ed efficiente in grado di farlo finire. Potra' rendersi necessario inviare truppe lungo le frontiere, ma sara' controproducente se tale invio non sara' accompagnato da misure - anche militari, se necessario contro Milosevic e le sue truppe nel Kosovo. L'e'quipe negoziale albanese ha posto come condizione per la ripresa delle trattative proprio il ritiro di quelle unita' speciali. Questa e' la posizione che Europa e Stati Uniti dovrebbero far propria. Non dovranno cedere - come hanno fatto spesso in passato - alla tentazione di trattare Milosevic come una sorta di partner, perche' il leader serbo e' un giocatore molto astuto e sembra sempre offrire una via d'uscita ai paesi ansi
osi di evitare nuovi impegni. Ma Milosevic non potra' mai far parte della soluzione, perche' la sua demoniaca capacita' di evocare le forze dell'estremismo non soltanto fra la sua stessa gente, ma anche fra altri popoli, e' e rimane il problema centrale dei Balcani.