TRA UTOPIA E STORIAla stampa / Aldo Rizzo
La cconferenza mondiale che si apre oggi a Roma, sull'istituzione di un Tribunale penale internazionale permanente, è il punto di arrivo di una discussione tra potere e diritto cominciata 2500 anni fa. E' del 416 avanti Cristo il confronto tra gli Ateniesi e i Meli, reso celebre da Tucidide, sul potere dei primi di costringere la piccola isola a schierarsi con loro e contro Sparta nella guerra del Peloponneso e sul diritto dei secondi a scegliere la propria politica. I Meli non riuscirono a convincere gli Ateniesi, che assediarono ed espugnarono l'isola, massacrandone la popolazione maschile.
Da allora valse sempre la legge del più forte, e al massimo furono i vincitori a processare i crimini dei vinti. Questo accadde due millenni dopo, nel 1945, al termine della Seconda guerra mondiale, con l'istituzione dei Tribunali di Norimberga e di Tokio sui delitti dei nazisti e degli imperialisti giapponesi. Due processi che suscitarono non poche perplessità, dal punto di vista giuridico, per grandi e infami che fossero i crimini dei processati. E bisogna arrivare ai nostri giorni per trovare due tribunali dell'Onu con intenti d'imparzialità, quello dell'Aia per la ex Jugoslavia e quello di Aruscia, in Tanzania, per le stragi in Ruanda. Tribunali, comunque, << ad hoc>>, cioè istituti per fatti specifici, già avvenuti e non sempre facilmente perseguibili. Ora invece, sulla base di una decisione dell'Assemblea generale del novembre scorso, si tenta, per la prima volta nella storia, una Corte penale permanente, con una funzione di deterrenza e non più soltanto di repressione, per i crimini di guerra e con
tro l'umanità.
Un simile organismo, che tende sistematicamente e non occasionalmente a sottoporre degli individui a un giudizio penale internazionale, sottraendoli alle leggi e ai giudici dei loro Paesi, sarebbe ovviamente rivoluzionario. Per ciò stesso, la conferenza è, si, un punto di arrivo, ma anche e soprattutto un punto di partenza, verso una meta difficile e diciamo pure lontana. Infatti, se una maggioranza di Paesi è favorevole a conferire al Tribunale la maggiore efficacia possibile, altri (grandie forti, come la Cina e l'India) sono per ritardare quanto meno ogni decisione, e altri ancora (tra cui gli Stati Uniti e la Francia) si preoccupano di bilanciare al massimo i poteri della Corte, e in primo luogo del suo procuratore indipendente, e le prerogative della propria sovranità nazionale.
Cruciale, come si può ben capire, è la posizione della superpotenza americana. Il presidente Clinton e il segretario di Stato Albright hanno espresso un'adesione di principio a uno strumento permanente di giustizia penale internazionale, ma i loro negoziatori hanno sollevato molte obiezioni << tecniche >>. In pratica, gli Stati Uniti temono di vedersi coinvolti, magari da un procuratore a loro politicamente ostile, in azioni di condanna, essendo il Paese più di ogni altro impegnato nelle operazioni di salvaguardia della pace in ogni angolo del mondo, con la possibilità, episodicamente, di <>. Dietro questi timori, ci sono problemi oggettivi e molto complessi: la complementarietà dei giudici internazionali rispetto a quelli interni, i rapporti tra il Tribunale e il Consiglio di sicurezza, la possibilità che il Tribunale medesimo interferisca negativamente in delicati momenti di mediazione politica e di composizioner di un conflitto. La conferenza ha tempo fino al 17 luglio per trovare un compromesso, che faccia salva l'idea e ne assicuri per il momento una realistica attuazione. Puntare tutto e subito sull'obiettivo massimo potrebbe risultare fuorviante. Il compromesso è tra l'utopia e la storia, ed è una sfida avvincente, al termine del secolo forse più drammatico della vicenda umana.