Polemiche sul viaggio presidenziale
Il Corriere della Sera (pag. 9) , Martedì 23 giugno 1998
Di Ennio Caretto
Washington - Per la prima volta dalla strage di Tienanmen 9 anni fa, un presidente degli Stati Uniti si reca in Cina. Contraccambiando la visita di Jiang Zemin a Washington nell'autunno scorso, Clinton partirà domani per Pechino. E' uno dei viaggi più importanti del presidente, e dei più tempestivi, viste le crisi economiche e politiche che travagliano l'Asia. Ma è anche uno dei più controversi, a causa delle polemiche esplose sulle violazioni dei diritti umani in Cina e le sue esportazioni di materiali e tecnologie missilistiche e nucleari. Clinton ha aggravato le proteste acconsentendo a partecipare a una solenne cerimonia con Jiang a Tienanmen. Ha scritto il Los Angeles Times: "Come Ronald Reagan, Bill Clinton è maestro di relazioni pubbliche: ma Reagan compì u grave errore quando in Germania visitò il cimitero militare di Bitburg dove sono sepolte delle SS; Clinton lo compie visitando Tienanmen". Per i repubblicani la piazza fu un killing field dei dissidenti, un campo di morte come quelli di Pol Pot in
Cambogia.
Con queste premesse, il viaggio cinese del presidente appare il banco di prova della sua grandezza, più di quanto lo siano stati il dialogo con la Russia o gli interventi militari americani nei punti caldi del mondo. Clinton è chiamato a mantenere un difficile equilibrio tra il bastone e la carota: da un lato, deve accelerare il riavvicinamento degli Usa alla Cina, ma dall'altro deve indurla a rispettare i diritti umani in casa, e a non riarmare Paesi come Iran e Libia. I pezzi grossi della politica estera, dal segretario di Stato Madeleine Albright al direttore del Consiglio di Sicurezza nazionale Sandy Berger, hanno insistito che Cliton realizzerà i due obiettivi. "Sarà il primo presidente - ha detto Berger - a discutere pubblicamente della strage di Tienanmen in Cina. La sua visita contribuirà alla democratizzazione del Paese e alla stabilità dell'Asia".
Clinton è riuscito a superare l'opposizione della maggioranza del Congresso al suo viaggio. Nessuno più contesta che una politica d'isolamento della Cina sarebbe controproducente, come lo fu quella dell'Iran; e i media lo hanno appoggiato, ricostruendo i retroscena che portarono l'America e la Cina sull'orlo di un confronto armato su Taiwan, prima della svolta un ano e mezzo fa. Ma molti temono che il presidente "conceda troppo e ottenga poco". In particolare che, nonostante le rassicurazioni, sacrifichi la difesa dei diritti umani agli interessi finanziari e commerciali americani. Wei Jinghseng, il più celebre dei dissidenti, scarcerato da Jang Zemin nel '97, ha proclamato che "Clinton on capisce che il regime comunista è repressivo come l'URSS".
Warren Cohen, sinologo del Woodrow Wilson Institute, accusa Clinton di patire "il complesso dell'Airbus". A suo parere, il presidente teme che l'Europa e il Giappone sottraggano agli Usa il mercato cinese, il più grande del mondo: "Con lui le nostre esportazioni a Pechino sono salite del 70% e le importazioni del 140%: abbiamo un deficit commerciale annuo di 50 miliardi di dollari, una follia". Clinton sarà grande, ha concluso Cohen, se concluderà modesti affari, ma otterrà che il regime si umanizzi.