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Orofino Veronica - 25 giugno 1998
LA CINA, CLINTON E IL SIGNOR ROSSI

di Piero Ostellino / cor. d. sera

Il presidente americano, Bill Clinton, arriva oggi nella Repubblica popolare cinese, in un contesto geostrategico asiatico imn rapida evoluzione e in una fase di acuta crisi economico- finanziaria del continente. Il contesto geostrategico incide profondamente sui rapporti bilaterali fra i due Paesi. La fase di crisi economico-finanziaria influenza non meno profondamente l'economia e la finanza mondiali.

Il contesto geostrategico. Ancora nella prima metà del secolo scorso, la Cina era <> (Chung-Kuo) che dominava tutto il Sud-Est asiatico, la Corea , la Birmania, la la Mongolia, le provincie russe dell'Estremo Oriente parte del Kazakhstan, del Bangladesh, del Nepal, Taiwan. In meno di un secolo, il colonialismo francese e inglese, l'imperialismo russo e quello giapponese e la potenza militare americana ne hanno azzerato il ruolo e mortificato le ambizioni.

Tramontati i colonialismi occidentali, l'imperialismo russo e quello giapponese, restano gli Stati Uniti. << La principale obiezione che la Cina muove agli Stati Uniti - scrive Zbigniev Brzezinski (<< La grande scacchiera- il mondo e la politica nell'era della supremazia americana>>, ed. Longanesi)- riguarda perciò non tanto ciò che fanno, bensì quel che sono e dove sono>>.

Al di là, dunque, delle contingenti controversie economiche e commerciali e della polemica di Washington sulle violazioni dei diritti civili da parte cinese, la visita di Clinton ha un fortissimo contenuto politico -strategico. Sia perchè, in questo momento, gli Usa sono ancora << l'avversario involontario della Cina, anzichè il suo alleato naturale>>, l'obiettivo di Pechino è di <> (Brzezinski, cit.).

I colloqui politici fra il presidente americano e i dirigenti cinesi saranno, perciò, influenzati da due interrogativi di natura strategica. Primo: fino a quando i centomila soldati americani oggi di stanza sul continente asiatico vorranno e potranno garantirne la pace e la stabilità? Secondo: fino a che punto gli Stati Uniti saranno disposti a riconoscere alla Cina il ruolo di potenza regionale egemone?

La fase di crisi economico -finanziaria del continente. E' bastato che la Cina, la quale mantiene sia la sua moneta ( lo yuan renminbi), sia quella di Hong Kong (il dollaro locale) legate al dollaro americano, minacciasse, a sua volta, la svalutazione perchè gli Stati Uniti intervenissero sulla moneta giapponese (lo yen) in caduta libera. Così Pechino, in attesa del riconoscimento come potenza regionale sul piano geostrategico, ha già cominciato a recitare il ruolo di potenza globale su quello economico- finanziario, contribuendo a evitare che una crisi regionale diventasse mondiale.

Cionondimeno, la crisi asiatica, che si è articolata su tre dimensioni (valutaria, borsistica ed economico-sociale), ha avuto ugualmente profonde ripercussioni sul piano globale e c'è chi teme finisca con averne anche per la Cina (gran parte degli investimenti nella sua economia privata provengono dalle comunità cinesi degli altri Paesi asiatici e dalle sue esportazioni verso quegli stessi Paesi).

La crisi ha inciso sul tasso di crescita mondiale - influendo negativamente sulle esportazioni delle economie americana, inglese, francese e tedesca, nonchè sugli investimenti asiatici in Europa e negli Usa - che, secondo il Fondo monetario, dovrebbe ridursi di quasi un quinto. Essa ha, inoltre, colpito sia le grandi imprese mondiali, in termini di riduzione dell'incremento del loro valore di mercato, sia i piccoli e medi risparmiatori occidentali che avevano investito in azioni asiatiche (Mario Deaglio: << L'Italia paga il conto>>, ed. Centro Einaudi - Vitale Borghesi & C.).

Sui dirigenti cinesi, il collasso di banche e aziende negli altri Paesi asiatici ha avuto, per ora soprattutto un impatto sia sotto l'aspetto psicologico, sia sotto quello della politica industriale (The asian financial crisis: Beijing's year of rekoning>>, in Washington Quarterly, estate 1998) Del resto, i due aspetti sono strettamente legatie già figurano nell'agenda del primo ministro Zhu Rongij, che, appena nominato nel marzo scorso, ha subito ridotto il numero dei ministeri da 40 a 29.

Dal punto di vista psicologico, ci si incomincia a rendere conto che la cattiva allocazione delle risorse finanziarie, che ha condotto al disastro le economie coreana, giapponese, thailandese, minaccia di avere gli stessi identici effetti anche sulla Cina. La politica creditizia <> imposta dall'alto sta, infatti, portando all'insolvenza anche le sue banche, che finora hanno finanziato le industrie pubbliche improduttive e scarsamente competitive: si calcola che l'ammontare dei prestiti non esigibili sia di 200 miliardi di dollari.

Dal punto di vista della politica industriale, emerge, così l'esigenza di procedere rapidamente a una ristrutturazione in senso privatistico dell'economia nazionale ancora in mano pubblica. Purtroppo, però, tale esigenza sembra destinata a entrare in conflitto con la conseguente necessità di creare una rete di protezione sociale per quei lavoratori che, con la ristrutturazione , perderanno il posto di lavoro.

In conclusione. Oggi, l'Asia contribuisce alla creazione del Prodotto lordo mondiale per il 25 per cento, come il continente nordamericano, mentre una quarantina di anni vi contribuiva per il 4. Per raddoppiare il proprio prodotto pro capite, la Cina ci ha messo dieci anni, mentre la Gran Bretagna, agli inizi della sua industrializzazione, ce ne aveva messi cinquanta. E c'è chi prevede che entro i prossimi venticinque anni il Pil globale asiatico supererà quello americano e quello europeo.

Ma resta una polveriera, la cui esplosione potrebbe avere effetti anche su di noi, compresi i risparmi del sig. Rossi, dell'italiano medio. Insomma: Prato, Varese, Carpi,Liverpool, Lione, Brema , provinciae di Pechino, di Tokio e di Seul, dice la geoeconomia del Duemila.

 
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