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Partito Radicale Roma - 7 luglio 1998
CINA-IRAN
L'Opinione, 4 luglio 1998

CINA, IRAN: BASTA CON LE IPOCRISIE SUI DIRITTI UMANI

di Paolo Pietrosanti

Niente affatto una provocazione. Mentre il Presidente del Consiglio italiano va in Iran, e mentre, tuttavia con ben altro spessore, il Presidente Clinton va in Cina, il destino e le condizioni degli individui soggetti a regimi tanto odiosi saltano alla ribalta in modo tutt'altro che confortante. Non confortante anche per noi ben pasciuti occidentali bianchi.

Mi si lasci in primo luogo e umilmente abbandonare alla considerazione per cui i diritti di ciascun individuo o derivano dalla esistenza di un diritto oggettivo che contempli istituzioni e autorità, possibilità di ricorsi giurisdizionali... oppure sono poco più che carta straccia. Ma superato lo sbandamento liberale e forse nostalgico, sono necessarie alcune considerazioni.

Non vi è dubbio che i commerci portino con séé scambi anche di informazione, e potenzialità di miglioramenti nella qualità della vita civile di un paese autoritario. Ma non può essere questa la unica argomentazione che regge e legittima e soprattutto orienta la politica internazionale di un paese come l'Italia, o quella assente della Unione Europea in quanto tale. Non può esserlo perchéé non funziona proprio guardando agli interessi dei cittadini dei paesi retti da più o meno degni regimi di democrazia politica.

Facciamo un esempio: sempre meno i detersivi sono pubblicizzati, in Europa, per il loro potere sbiancante, e sempre più per le loro qualità di ridotta nocività ambientale. La sensibilità ecologica delle persone, così come la voglia di lavar bianco, sono elementi a pieno titolo del mercato dei detersivi, e un imprenditore non scemo ne tiene conto. Vi è un interesse concreto che rileva, e che fa parte del gioco e della vita del mercato. E la pubblicità, cioè l'informazione, ne tiene gran conto.

Fattori analoghi e parimenti importanti sono invece espulsi, dalla politica dei governi, dal mercato.

Non parlo affatto di embarghi o roba simile; no.

Invece: un consumatore di detersivi sa e sceglie tra il bianchissimo e il meno nocivo; il cittadino europeo non sa e non può scegliere se gli convenga - se gli convenga - che il suo governo promuova accordi commerciali con quella o quell'altra dittatura.

Non si ha mercato senza informazione; eppure nel mercato tendenzialmente globale il cittadino per esempio europeo o italiano non ha elementi per valutare se un certo accordo o una certa politica rispetto alla Cina o l'Iran gli convenga oppure no, cioè se gli porterà vantaggi o grane.

Nonostante le chiacchiere sul mercato globale (mi si passi la grossolanità) i fatti dimostrano che i rapporti e la politica internazionali sono sottratti alle logiche basilari del mercato.

Va detto che se dalla politica dei governi non viene una tale attenzione, gli economisti più avveduti cominciano invece con energia a porsi il problema.

Ma dunque: appare non solo verosimile, ma certo, che tra 7 o dieci anni la sperequazione che vede un datore di lavoro cinese spendere un centesimo di quel che spende un suo collega occidentale per assicurarsi la stessa manodopera renderà il mercato e il commercio falsato, e pericoloso per i paesi più avanzati. A meno di esportare tempestivamente verso paesi come la Cina costi quali quelli che derivano dai diritti sindacali, previdenziali, democratici.

Che questa prospettiva sia reale è noto e pure ovvio; eppure è del tutto espunta dalle analisi, dal confronto politico, dalla informazione dei cittadini.

Che razza di mercato è mai quello in cui l'individuo non sia in condizione di conoscere e valutare la qualità e le conseguenze per se e i suoi cari di scelte di politica e di politica economica?

Che razza di mercato globale è questo?

Il punto non è soltanto, o non è quello delle sensibilità umanitarie, che purtroppo lasciano nella coscienza ampi varchi di mediazione e compromesso... Il punto è che le scelte di politica internazionale ci riguardano, riguardano le nostre tasche, il nostro benessere; e non può esserci oltre sottratta la conoscenza e il controllo sulla loro formazione.

Noi radicali la pensiamo in maniera anche un po' diversa: crediamo che i diritti e il diritto siano indivisibili, e che affermare legalità e democrazia e libertà sia in primo luogo un dovere, oltre che una necessità utilissima. Ma almeno un mercato non fasullo e senza nicchie, libero e aperto, di individui informati lo vogliamo.

 
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