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Conferenza Partito radicale
Radio Radicale Sergio - 24 luglio 1998
"MADAME ROMPIBALLE"
[Intervista di Prima Comucazione/luglio-agosto 98 a Emma Bonino. Il mensile esce il 15 di ogni mese. Tre pagine, quattro foto nell'ordine: Bonino, Berlusconi, Santer e Pannella]

Madame rompiballe

E' Emma Bonino, commissario europeo, che svolge il suo lavoro con puntigliosità, determinazione e durezza. E che in questa intervista racconta che quello che non va a Bruxelles non è la burocrazia ma il processo delle decisioni che avviene in un vuoto democratico. E parla anche dei giornali italiani

Intervista di Alessandra Ravetta e Claudio Cazzola.

Ci sono voluti più di sette mesi, ma alla fine Radio Radicale ce la fatta. Il 25 giugno il Parlamento ha approvato in via definitiva il disegno di legge che rinnova la convenzione all'emittente dei riformatori per Radio Parlamento (la trasmissione in diretta delle sedute di Camera e Senato), concedendo un finanziamento di 11,5 miliardi. Ma c'è voluta una battaglia politica condotta nel più puro stile radicale, con scioperi della fame, appelli di personalità, sit in di fronte a Palazzo Chigi. A questi ultimi ha partecipato due volte, in febbraio e in aprile, anche Emma Bonino, abbandonando i suoi impegni a Bruxelles, per tornare a vestire i panni della militante radicale. Ed è proprio dalla vicenda di Radio Radicale che parte la nostra chiacchierata sui rapporti tra comunicazione e democrazia in Italia e in Europa con Emma Bonino, commissario europeo per la Politica dei consumatori, la Pesca e l'Aiuto umanitario d'urgenza.

Domanda - Violante ha dichiarato che, secondo lui, i soldi per Radio Radicale servono per il finanziamento del Partito radicale.

Risposta - Non capisco in che senso. Non bastano neanche per finanziare la radio, che costa molto più di quanto ricaviamo. Il finanziamento paga il servizio parlamentare, ma il bilancio della radio è un'altra cosa. E' vero, comunque, che senza il contributo previsto dalla convenzione non saremmo in grado di mantenere la radio.

D - Ma è giusto che lo Stato finanzi una radio privata per svolgere un servizio pubblico come l'informazione parlamentare?

R - E' un fatto normale e un principio corretto, che dovrebbe trovare applicazione generale: un servizio pubblico non deve essere di proprietà pubblica, ma rivolto al pubblico. Certo, occorre fissare criteri di qualità, rispettare un certo rapporto costi-benefici. Lo Stato stipula una convenzione in cui si dice: io ti pago il servizio a patto che tu rispetti determinati standard.

D Perché allora questa levata di scudi contro il finanziamento a Radio Radicale?

R - Quello che dà molto fastidio è che Radio Radicale è la dimostrazione pratica che si può fare privatizzazione senza cadere nella legge della giungla. Funziona persino bene e costa meno che se lo fa la Rai. Se aggiungiamo poi il fatto che il privato gli stava pure antipatico...

D - Un effetto della vostra battaglia è che si sono risvegliati gli editori privati, è intervenuto l'antitrust, si sono mosse varie personalità e, soprattutto, hanno protestato gli ascoltatori della radio, evidentemente soddisfatti della qualità del servizio, che poi è l'elemento fondamentale.

R - Ripeto, bisognerebbe introdurre un criterio di qualità tra le regole delle privatizzazioni, nelle convenzioni tra Stato e gestori di servizi; oggi per la radio, domani per altri servizi privatizzati.

D - Certo, a un servizio pubblico di informazione non si può applicare l'Auditel, che è uno strumento prettamente commerciale.

R - Invece un indicatore della "customer satisfaction", come l'Eurobarometro, potrebbe dare indicazioni utili.

D - Oggi in Italia ci si arrovella sul fatto che i giornali non vendono, sono in crisi. Non sarà perché non riescono a dare una risposta ai bisogni degli utenti, dei lettori?

R Sì, capita a stessa cosa anche nella politica. L'Eurobarometro dice che i cittadini sono lontani dall'Europa. Forse perché comunichiamo male o non comunichiamo affatto. Molti politici hanno un atteggiamento snob nei confronti della comunicazione; siamo noi i più saggi, pensano; se abbiamo una buona idea, perché dobbiamo sprecare tempo e fatica per farla discutere? Ma forse il motivo vero è che alla gente non piace proprio l'Europa che stiamo costruendo.

D - Spesso la gente non sa neppure quello che fa l'Europa, perché manca informazione. A Milano c'è un ufficio della Commissione Europea che smista solo le carte, senza preoccuparsi di far capire cosa ci sta dietro.

R - Gli uffici della Commissione negli stati membri sono uffici di rappresentanza e informazione, non ambasciate. Riconosco che c'è un grosso problema di comunicazione. Io stessa trovo che l'efficacia del sito web della Commissione sia discutibile, soprattutto se visto dalla parte dell'utente. Qualche mese fa avevo ottenuto di fare un sito a parte, non paludato, sulle donne di Kabul. Ebbene i testi non li potevo introdurre direttamente io, ma li dovevo mandare a un funzionario, che a sua volta li inviava in Lussemburgo. Risultato: prima che il testo entrasse in rete passavano tre giorni. Tre ore e già mi 'girerebbero', tre giorni poi... Non si è capito che il valore essenziale delle nuove tecnologie è l'immediatezza.

D - Il moloc dell'Europa, si dice, allontana il cittadino dalla politica e anche i giornalisti che stanno a Bruxelles rischiano di diventare dei burocrati

R - Il problema di Bruxelles non è l'apparato burocratico (mi secco molto quando si dice che i burocrati europei sono troppi), ma il 'gap' democratico nella costruzione delle sue istituzioni. Tutto il 'decision making process' di Bruxelles avviene in un grande vuoto democratico. Non è un'esagerazione, è uno stato di fatto, Le arrivo a dire che noi bocceremo l'entrata in Europa di un Paese che adottasse gli stessi principi delle istituzioni europee. E questa la ragione della distanza dei cittadini dall'Europa. La burocrazia non c'entra niente'

D - Spesso il cittadino non riesce a capire perché l'Europa, invece di dedicarsi ai grandi problemi di interesse generale, si occupa di questioni secondarie.

R - Insomma: delle banane storte, dei cocomeri troppo lunghi... Anche qui si sono creati dei miti che spesso non corrispondono alla realtà. Ogni tanto apro un giornale italiano e scopro che si parla di cose di cui qui a Bruxelles, non ci siamo occupati per niente. Comunque, la cosa più divertente è che queste regolamentazioni minuziose ce le chiedono gli stessi Stati membri: quando non vogliono risolvere qualche grana a casa loro, fanno fare il capro espiatorio a Bruxelles. Un ruolo che noi accettiamo, ma solo fino a un certo limite di decenza.

D - Come si risolve il problema della legittimità democratica delle istituzioni europee?

R - Ci sono varie proposte: l'elezione diretta del presidente della Commissione, la. mozione di sfiducia sul singolo commissario, dare più potere al Parlamento Europeo e così via.

D - Anche su questi temi non pare ci sia grande dibattito. Come mai?

R - Molto spesso in politica si ha paura dello scontro democratico: 'Quaeta non movere' è il motto. Quindi si tende a dare in pasto ai cittadini la pappa pronta. In questo modo però si annebbia il senso dello scontro in atto. In Europa ci sono da un lato inglesi, danesi e svedesi che vedono nell'unione una zona di libero scambio, punto e basta: dall'altro i Paesi che vogliono un'Unione europea con una politica estera, un'identità, valori comuni. Gli italiani sono un caso a parte; sono straeuropei comunque, quasi per fede. Ma è un atteggiamento in parte superficiale, che non riflette un dibattito politico intenso o sofferto come avviene altroveà In realtà la sfiducia nella classe politica italiana fa sì che ci fidiamo di più di quella europea. In nessun altro Paese, per far pagare più volentieri una tassa la si sarebbe chiamata 'eurotassa'.

D - Si dice che l'informazione politica italiana è fatta di pettegolezzi; ma dietro al pettegolezzo almeno si intuisce quali sono i problemi, qual è il senso dibattito. A Bruxelles è tutto più difficile.

R - Certo, è dura trovare uno scandalo su cui scrivere in questi uffici asettici... Qui c'è meno corruzione che altrove non perché siamo più onesti, ma per un problema di procedure: ci sono trenta occhi che guardano ogni documento, ogni appalto.

D - L'Enpa, l'associazione europea della stampa, ha accusato l'Europa di occuparsi molto delle nuove tecnologie multimediali (vedi il libro verde di Bangermann sulla società dell'informazione) ma pochissimo dei vecchi media su carta. E' vero?

R - L'informazione non è materia comunitaria, c'entra solo come fatto industriale. E' in questi termini che si parla di nuove tecnologie: come fattore di sviluppo economico. E a questo proposito c'è da dire che siamo in ritardo pazzesco, abbiamo veramente perso il treno. Alcuni Paesi, come l'Italia, sono poi più indietro di altri.

D - Come mai l'informazione non è competenza europea?

R - Per il principio di sussidiarietà. L'Europa si occupa solo di ciò che può essere fatto meglio in comune; al resto devono pensare i singoli Stati membri. Materie comunitarie sono l'agricoltura, la pesca, il mercato interno, la concorrenza, la moneta unica e poco altro. Ciò si riflette sulle risorse affidate ai vari settori: l'agricoltura ha circa il 45% del bilancio comunitario; il 30% va ai fondi; le spese fisse assorbono circa il 10%. Tutto il resto si fa con quel che rimane: il 15%.

D - Ecco perché appena si tocca l'agricoltura scoppia il finimondo...

R - Sì, l'agricoltura è il settore più protetto, sussidiato. Gli agricoltori non si rendono conto che le cose non potranno continuare così in eterno.

D - Lei sostiene che l'Europa deve essere fatta di ideali, di solidarietàà

R - Ideali va bene, ma non parlerei di solidarietà: è una parola che comunicai a darmi sui nervi perché la si usa sempre di più a sproposito. Meglio usare un'altra espressione.

D - Quale?

R - Parlerei piuttosto di diritto e di legge.

D - Intendevo dire che gli ideali, la politica si creano con la cultura e l'informazione. Insomma, un Paese non può crescere democraticamente se non è informato.

D - Come vede ,a questo proposito, la situazione italiana? E vero che i giornali italiani sono appiattiti, c'è una sorta di regime nell'informazione, soprattutto ora che i grandi imprenditori fanno gli editori in prima persona?

R - Il fatto è che nel nostro Paese non ci sono chiarezza e trasparenza nel sistema politico. E ciò si riflette anche nell'informazione dove hai solo qualche scontro industriale (il Corriere risponde a interessi che non sono gli stessi di Repubblica), ma difficilmente si arriva a uno scontro di visione. E' per questo che ritengo la riforma del sistema elettorale una priorità assolata. L'alternanza è il 'sine qua non' della democrazia; invece in Italia siamo passati da un monopartitismo imperfetto a un altro. Dopo vent'anni di partitocrazia galoppante, una bella dieta che ci riduca a due soli partiti è un passaggio obbligato proprio per fare chiarezza tra maggioranza e opposizione. E quindi anche sui giornali, in tivù, su Internet.

D - C'è un rapporto così diretto tra sistema politico e qualità dell'informazione?

R - Secondo me, c'è una stretta azione tra le due cose: il sistema politico

basato su visioni contrapposte obbliga a uno schieramento dei giornali e quindi anche a una competizione di qualità. Nel sistema consociativo in cui tutto si tiene, anche gli imprenditori si tengono fra di loro. Ad esempio non ho mai capito perché la piccola e media impresa non si mettano a strillare di fronte a tutti i sussidi, le rottamazioni, eccetera, dati ai grandi gruppi. La risposta è che anche qui tutto si tiene; qualche briciola alla fine tocca anche ai piccoli. Ma il sistema non funziona e lo dimostra il fatto che crea pochissimo impiego.

D - Tutti a braccetto, dunque. Nessuno escluso?

R - Gli unici esclusi sono gli outsider, come siamo stati sempre noi (oltre che dei rompiscatole) nei confronti della politica consociativa. Il ragionamento è: o siedi al nostro tavolo e giochi al nostro gioco, che poi qualche briciola la diamo pure a te; oppure il nostro gioco non lo vuoi fare e allora sei escluso. D - Come?

R - Oggi non si ricorre più all'eliminazione fisica: per espellere politicamente basta mettere il silenziatore e l'oppositore non esiste più.

D - I radicali sono stati spesso accusati dt fare del vittimismo a proposito dell'accesso all'informazione.

R - Non è questione di vittimismo. La comunicazione ha sempre avuto un grandissimo peso nell'attività del Partito Radicale. In pratica non abbiamo mai fatto scioperi della fame per l'aborto o il divorzio ma per avere strumenti di dibattito, confronti televisivi e così via. Abbiamo sempre avuto piena coscienza della simbiosi tra politica e comunicazione. Marco Pannella sarà ricordato per il divorzio, il voto ai diciottenni, il caso Tortora, la fame del mondo; secondo me, dovrebbe invece essere ricordato per la continua ricerca di una diversa forma partito.

D - Cioè?

R - Si è sempre opposto al cosiddetto radicamento territoriale. Il nostro e' stato per molto tempo un partito radiofonico, in cui ogni iscritto o non iscritto poteva seguire in diretta le riunioni poi decideva, prendeva un tavolino, andava a raccogliere le firme.

D - Poi avete scoperto Internetà

R - In realtà la cosa risale all'85: quando abbiamo cominciato a pensare al partito transnazionale. Cicciomessere e altri si sono inventati Agorà (service on-line che poi è diventato uno dei maggiori provider di Internet italiani: ndr); non per uno scopo commerciale, ma per risolvere un problema di comunicazione connaturato all'esigenza percepita solo da noi di fare politica si base transnazionale. La battaglia che vorremmo fare adesso su Internet è quella della trasparenza dei processi decisionali: mettere in rete, sul web il consiglio comunale piuttosto che la lista degli appalti.

D - Su Internet però non è così facile come sulla radio: bisogna digitare i testià

R - Le istituzioni digitano già lutti i documenti. Il fatto è che poi se li tengono. Perché invece non metterli in rete?

D - Cosa cambia rispetto alla concezione tradizionale del partito? Cosa significa, insomma, partito transnazionale?

R - Significa occuparsi dei grandi temi etici, di visioni del mondo, di vita o di morte come in 'Mine' o nel Tribunale internazionale per i crimini contro l'umanità. E poi tutto oramai è diventato transnazionale: l'economia, la cultura. Solo i partiti non se ne accorgono: fanno i loro direttivi, le riunioni del comitato centrale, i congressi e pensano di aver risolto il problema. La gente invece ha altri input dl informazione, si crea le sue opinioni al di là di quello che dichiara il segretario del partito. Ecco perché la comunicazione è stata sempre la nostra ossessione.

D - Insomma il partito com'è ancora concepito in Italia è una cosa vecchia... R - Non solo vecchia, è la conservazione della mummia.

 
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