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Orofino Veronica - 25 agosto 1998
IL RITORNO DEGLI OLIGARCHI

corr. d. sera / Sergio Romano

Alcuni fra i migliori osservatori della situazione russa e dell'economia internazionale --- Franco Venturini sul corriere, Federico Rampini e Sandro Viola su Repubblica --- ci hanno già descritto ciò che sta accadendo in queste ore a Mosca : il presidente esausto, la riforma abortita, gli affari nelle mani di una banda di << oligarchi>>. La cattiva congiuntura economica, il rublo nella spirale della sfiducia, l a Duma ostile al governo, la liquidazione del giovane premier e il titorno di un veterano <>, rotto alle astuzie e ai compromessi della vecchia nomenklatura. Proviamo a fare un passo indietro per cercare di capire, con uno sguardo d'insieme, le ragioni di una crisi che si trascina con fasi alterne dal putsch dell'agosto '91.

Quando il tricolore repubblicano salì sulle guglie del Cremlino, nel dicembre del 1991, la Russia non aveva né una costituzione né una economia. Il maggiore merito di Eltsin fu quello di dare una forma allo Stato con il referendum costituzionale del dicembre 1993. La sua maggiore colpa fu quella di trattare i problemi economici con una pessima combinazione di ignoranza e di opportunismo politico. L'impresa, intendiamoci, era spaventosamente difficile. In un enorme Paese, disastrato per alcune generazioni da uno dei peggiori sistemi economici mai concepiti da mente umana, privatizzare significa in realtà chiudere o ridimensionare alcune migliaia di imprese, convertirne altrettante, spostare decine di milioni di persone sulla scacchiera del mercato del lavoro, aprire voragini nelle quali rischiano di precipitare gli anziani, i disadattati, <>. Di fronte a questa prospettiva Eltsin ha mescolato il peggio della democrazia e il peggio della dittatura. Alternando misure demagogiche e ukaz autocrat

ici ha dato carta bianca ai riformatori, poi li ha richiamati in servizio, poi li ha richiamati in servizio, poi li ha nuovamente licenziati. Il risultato di questi strattoni è una economia mostruosa, per metà pubblica e per metà privata, in cui è inevitabile che ciascuna delle due metà corrompa e inquini l'altra.

Non è tutto. Per restare al Cremlino, in una condizione in cui il suo potere era insidiato dai comunisti e dalla rodomontesca scalata del generale lebed, il nuovo imperatore ha permesso che il vecchio patrimonio sovietico venisse spartito tra baronie vecchie e nuove: dirigenti- padroni dell'<>, come Chernomyrdin, falsi banchieri, sensali, facciendieri, oligarchi. E' nata una nuova Russia feudale in cui tutto può essere comprato e venduto, e in cui l'unica tangente che nessuno si curi di pagare è quella legittimamente dovuta allo Stato, sotto forma di imposta, per i servizio che, bene o male, rende ai cittadini.

Perchè questi mali formassero la reazione a catena di questi giorni occorreva un detonatore. Ve ne sono stati due: la crisi asiatica e la caduta del prezzo delle materie prime di cui il Paese è esportatore. Verificheremo tra poco la credibilità del programma di Cernomyrdin e conosceremo i progetti che Eltsin esporrà a Clinton quando s'incontreranno ai primi di settembre. Ma ciò che è accaduto suggerisce sin d'ora qualche domanda sgradevole. E' possibile, in Russia modificare contemporaneamente la forma dello Stato e la forma dell'economia ? Qualcuno a Pechino osserva sorridendo la crisi russa e si compiace della saggezza di Deng quando cambiò l'economia senza cambiare lo Stato. I russi per ora sembrano continuare a proporsi, sia pure imperfettamente, i due obiettivi. Per questo meritano, soprattutto in questo momento, l'aiuto dell'Europa.

 
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