la Stampa / di Gianni Vattimo
Va benissimo che (come abbiamo appreso nei giorni scorsi) un gran numero di italiani abbiano deciso di attribuire il loro 8 per mille alla Chiesa cattolica, per sostenere le attivirà caritative e anche, verosimilmente, la predicazione dottrinale. Ma coloro che, spesso pur essendo cattolici, hanno preferito destinare questa quota delle loro imposte alla Chiesa valdese hanno oggi una ragione di più per rallegrarsi della propria scelta. Il documento del Sinodo valdese sull'eutanasia è infatti un significativo esempio del ruolo - di stimolo, di apertura, di vera e propria anticipazione << profetica >> - che una Chiesa minoritaria può e deve esercitare in un Paese come l'Italia. L'eutanasia è un tema su cui la Chiesa cattolica ha sempre preferito pronunciarsi in maniera perentoria ma frettolosa, senza troppa attenzione alla specificità delle situazioni: la scelta per la vita, che ispira anche le posizioni cattoliche sull'aborto, la contraccezione, persino sull'uso del preservativo, ha sempre significato che di
eutanasia in fondo non si può parlare. I medici sono autorizzati ad alleviare la sofferenza dei malati terminali anche mediante medicine che possono minacciare la loro capacità di sopravvivenza; ma non possono mai, anche quando non ci sia umanamente più nulla da fare, agire attivamente per accelerare la morte nemmeno nel caso in cui essa sia senza alcun dubbio imminente. Ora il Sinodo valdese, senza peraltro ancora pronunciarsi in maniera definitiva, dichiara di voler considerare il problema alla luce di una concezione della vita che non sia solo biologica ma biografica - un concetto che nei suoi insegnamenti morali la Chiesa cattolica ha troppo spesso radicalmente ignorato. Così nel caso dell'aborto, la vita da proteggere è quella biologica del nascituro - non importa che cosa essa significhi nella vita << biografica >> della madre, e anche in quella del bambino, per esempio nei casi in cui sia previdibilmente destinato a vivere in condizioni di difficoltà e sofferenza, per ragioni mediche o per ragioni so
ciali. Nel caso dell'esercizio della sessualità, questa voluta - e in fondo disumana -- ignoranza della vita biografica è drammaticamente visibile: niente sesso se non per scopi riproduttivi (biologici); la sessualità come libera manifestazione della personalità, come ricerca di piacere << umanamente >> dato e ricevuto, è totalmente esclusa dalla prospettiva morale cattolica. E lo stesso, vale ovviamente, vale per la questione dell'eutanasia: non siamo al mondo per divertirci, si direbbe; e dunque non mettiamoci in testa che la vita biologica, quando diventa insignificante, muta, o anche insopportabile dal punto di vista biografico (dei significativi vissuti) si possa interrompere a piacere. Spesso si citano, a favore di una scelta rigidamente << biologistica >> in fatto di eutanasia, le difficoltà anche giuridiche che questa potrebbe creare : si agita lo spettro di parenti avidi di eredità che <> un vecchio zio ingombrante; o quello di nazisti che sterminano coloro che considerano degli umanimal riusciti. Esempi, certo, che danno da pensare, e che giustificano la richiesta della massima prudenza nel discutere ed eventualmente legiferare su questi temi. Ma che potrebbero essere prevenuti con una apposita legislazione - la quale manca anche perché non se ne vuole nemmeno discutere. Così tra l'altro come anche per tanti altri aspetti della morale cattolica, i casi specifici vengono lasciati alla pura e semplice scelta dei singoli, magari trattati con indulgenza dai confessori, mentre sui principi - e ciòè sull'autorità di chi può essere o no indulgente, perdonare o colpevolizzare - non si discute.
Davvero ammettere che uno possa decidere o chiedere por termine alla propria vita ( magari redigendo un testamento biologico, che autorizzi qualcuno a decidere per lui nel caso che la malattia glielo renda impossibile) significa mancare di rispetto per Dio che è l'unico <> ? Su questo giustamente, il documento valdese esprime fondati dubbi. La vita dono di Dio è la vita biologica non separata dalla vita biografica: Dio ci dona la vita come possibilità di esperienza, di significati, di amore dato e ricevuto ( << Per conoscerlo, amarlo, servirlo,>> diceva il Catechismo della nostra infanzia). E sopravvivere come un puro vegetale, o anche solo come un puro grumo di sofferenza e dolori, non ha niente da fare con tutto questo. Pretendere che soffrendo senza speranza di guarigione si faccia qualcosa di gradito a Dio significa coltivare un'idea della divinità come quella di un essere supremo assetato di sacrifici sanguinosi - che non è certo l'immagine del Dio creatore e redentore della cristianità.
Ma, ripetiamo: quel che è in gioco in questo documento sull'eutanasia non è solo il problema specifico del suicidio assistito e della possibilità di abbreviare le sofferenze di malati terminali. E' il problema generale del significato da attribuire alla vita, quella che tanti moralisti ci dicono di voler difendere, anche a costo di urtare contro ogni nostra aspettativa di senso, contro ogni giusta considerazione biografica. C'è da sperare che il pensiero cattolico non risponda, ancora una volta, solo con la chiusura e la scomunica.