Roma, 19 settembre 1998
Dichiarazione di Paolo Pietrosanti, Consigliere Generale del Partito Radicale:
"La questione doping nello sport induce ad alcune considerazioni; necessarie, anche se magari qualcuno dei miei stessi compagni potra' storcere il naso.
Occorre smetterla con il considerare gli atleti animali da macello, individui privi di responsabilita' e intelligenza.
Stiamo parlando di adulti, sempre consenzienti alla assunzione di sostanze come a modalita' di allenamento estenuanti che prospettano successi e guadagni connessi.
Cio' di cui si parla sono sostanze legali, da farmacia (a mio parere il discorso muterebbe soltanto di poco in caso di sostanze non legali, ma per ora lasciamo perdere).
La responsabilita' di assumere sostanze appartiene allo stesso atleta, e alla qualita' e deontologia professionale del suo medico. Per il resto nessun argomento e' rilevante.
Sostenere che assumere alcune sostanze - legali, da farmacia - falsi la competizione e' pura ipocrisia. Lo sport e' necessariamente "falsato", come la vita di ciascuno, dall'appartenere o meno un atleta ad una societa' che possa per esempio permettersi soggiorni in condizioni climatiche o di altitudine particolari, mentre altre societa' non possono permetterselo. Chi non capisce che lo sport cambia, e che non puo' essere che cosi', semplicemente produce ipocrisia pericolosa.
Le uniche norme che rilevano sono quelle che proteggono la liberta' individuale della persona 'atleta, e nessun'altra.
Smettiamola con i test antidoping: i fattori che possono "falsare" le prestazioni sportive sono infiniti, e mai normative potranno riuscire a prevederli e sanzionarli. I test anche, come e' provato, sono facilmente eludibili.
D'altra parte, un atleta di livello internazionale o nazionale e' ormai in molte discipline un individuo che per un periodo della sua vita decide di privarsi di tutto cio' che sia estraneo al conseguimento del massimo risultato sportivo. Si tratta di individui che decidono di dedicare tutto il loro tempo, tutte le loro energie al conseguimento di un titolo importante, e del denaro che spesso puo' derivarne. Nessuno puo' mettere in dubbio che si tratti di scelte legittime, e che attengono alla signoria individuale di ciascuno. E' del tutto incomprensibile, quindi, che si ritenga svincolata dalla signoria individuale di un atleta la decisione se assumere o meno alcune sostanze legali, che possono acquistarsi in farmacia.
Se poi si intende proteggere la salute dell'atleta, non si capisce perché ciò debba essere affidato ad altri che all'atleta: di sovradosaggio di acido acetilsalicilico si puo' morire, eppure a ciascuno e' affidata la responsabilita' di decidere quante aspirine assumere.
Smettiamo di trattare gli atleti come animali, come strumenti. Si tratta di individui che possono fare della propria vita cio' che vogliono, se decidono in liberta' e consapevolezza.
Se poi si intende salvaguardare la parità di condizioni nella competizione sportiva, la risposta di questo antidoping e' soltanto - come detto - ipocrita.
Lo sport e' cambiato, come per fortuna cambia la vita di ciascuno.
Non siamo che di fronte a gigantesche ipocrisie, e soprattutto alla volonta' di trattare gli atleti come o peggio che levrieri o cavalli da corsa, e non come individui responsabili, che sanno fare i propri conti e scegliere in libere coscienza e responsabilita'."
Per informazioni: 06 68 97 91