("Sole 24ore" del 171098)"Belgrado - Per molti mesi la comunità internazionale aveva sperato che l'offensiva di Slobodan Milosevic nel Kosovo si sarebbe fermata se non altro per ragioni economiche. La campagna militare avviata da Belgrado lo scorso marzo per estirpare quello che chiamano "terrorismo albanese" ha comportato costi altissimi. Un milione di marchi al giorno, aveva ammesso qualche tempo fa il vice-primo ministro serbo, l'ultranazionalista Vojslav Seselj. <>, dice Mladen Djinkic, uno dei più accreditati economisti indipendenti di Belgrado.La situazione della Jugoslavia serbo-montenegrina, avevano pensato in molte cancellerie occidentali, è talmente vicina al collasso economico da rendere impossibile una campagna militare di lunga durata. Le riserve valutarie sarebbero ridotte a meno di 130 milioni di dollari (dati ufficiali non ve ne sono), mentre nei primi otto mesi dell'anno il deficit commerciale ha toccato il miliardo e mezzo di dollari. Non ci sono investimenti esteri e la disoccupazione supera il 30%, mentre gli stipendi statali e le pensioni vengono pagati con mesi di ritardo.
Calcolo politico sbagliato, pare. <>, afferma Djinkic.Da anni l'esercito jugoslavo è stato indebolito da Milosevic, per rafforzare la polizia speciale trasformandola nella sua milizia personale formata da "pretoriani". Gli stipendi sono bassissimi per i militari, mentre i poliziotti sono pagati almeno il doppio. Ma si tratta pur sempre di emolumenti in dinari, non superiori all'equivalente di 400 marchi al mese. Le forze impegnate in Kosovo in questi mesi invece sono state pagate <>, spiega l'economista belgradese.La guerra in Kosovo è stata appoggiata da una larga fetta della popolazione serba, vuoi per il tradizionale atteggiamento nazionalista verso quella che è considerata la "culla della serbità", vuoi per la sostanziale ignoranza di quanto accadeva realmente nei villaggi albanesi bombardati e distrutti dalle truppe speciali di Belgrado, grazie al controllo pressochè totale del regime sugli organi d'informazione. In questo modo l'attenzione della gente è stata distolta dai gravissimi problemi economici del Paese.
Poi, nelle ultime settimane, il bersaglio è stato spostato sulla Nato e sulla comunità internazionale. Mentre la propaganda rinfocolava a dismisura i timori della popolazione per <>, evocando bombardamenti a tappeto su Belgrado, i problemi economici venivano messi in secondo piano grazie agli appelli al patriottismo. La gente di Belgrado nei giorni passati era realmente terrorizzata, ma i carrelli alle casse dei supermercati rimanevano semivuoti. Nessuna corsa all'accapparramento: <>,spiegavano massaie e pensionati. E nonostante ciò, non una voce di protesta si è levata contro la "tassa di guerra" del 4%, decisa dal Governo serbo all'inizio della scorsa settimana, che ha fatto lievitare i prezzi in maniera insostenibile per la maggior parte della popolazione,che vive con un introito medio familiare di non più di 400 marchi al mese a fronte di un costo della vita che a Belgrado è paragonabile a quello medioeuropeo.
<>, diceva ieri un pensionato uscendo dal supermercato C Market, la catena di proprietà del ministro del Commercio del Governo serbo. Nessuno crede che ciò accadrà, ma è difficile che il malcontento esploda, perchè la società jugoslava sembra ormai esausta e incapace di reagire a qualsiasi avvenimento. (Elena Ragusin)".