PEDOFILIA E INTERNET: VECCHIE OSSESSIONI E NUOVE CROCIATE
Convegno organizzato dal Partito Radicale e da Radio Radicale
Roma, 27 Ottobre 1998
Perché abbiamo organizzato questo convegno?
Intervento di Olivier Dupuis, segretario del Partito Radicale
Vi sono due esigenze di cui, a proposito di pedofilia, la società deve tenere conto: una è quella di evitare che l'allarme sulla pedofilia divenga un pretesto per restringere le libertà personali, per giustificare forme di controllo sociale sempre più pervasivo; l'altra è quella di riconoscere ed affrontare il problema degli abusi e delle violenze sui bambini malgrado le forme false in cui viene presentato.
Nel giro di pochi anni ci sarebbe già materiale in abbondanza per scrivere - se ne fossimo capaci - una "Storia della colonna infame"; ve ne sono tutti gli elementi e tutti i personaggi; "l'invenzione" - pazzesca, ma sempre più verosimile, attendibile, confermata e temuta - di "untori" tecnologizzati, collegati in Internet, che contagiano l'intera società, per una sorta di "intelligenza con il diavolo"; una società che dà tragica conferma a tutte le proprie paure, e sfoga i propri sentimenti più oscuri in questa caccia all'uomo senza quartiere... ma, come nella peste di manzoniana memoria, proprio ciò che tutti si figuravano fosse la causa del contagio non è più che una invenzione; e ciò che si mette in campo, in questa rinnovata politica dell'emergenza, anche a costo di violare e capovolgere principi fondamentali del diritto e della convivenza civile, è un pericolo che si aggiunge (e non un argine che si oppone) al pericolo che si vorrebbe combattere.
Parlando di pedofilia, la cosa più "sana" è innanzitutto quella di evitare di chiamare le cose con il nome sbagliato, di evitare che equivoco si aggiunga ad equivoco: non occorre essere un linguista per sapere che la pedofilia (comunque la si voglia giudicare; anche come una grave "patologia", come una ossessione oscura e pericolosa) non coincide, di per sé, né con la violenza né con lo sfruttamento dei minori.
Allo stesso modo, bisogna evitare di racchiudere sotto il titolo giornalistico di "pedofilia" ogni forma di rapporto sessuale con minorenni, anche nei casi in cui non si tratti di bambini o di infanti, ma di ragazzi e ragazze che non si possono considerare completamente "irresponsabili" nel solo campo sessuale (a differenza di ciò che avviene in campo civile), e che si può pensare di difendere - come tutti - dalle violenze, ma non anche dai "propri" desideri e dalle proprie tendenze sessuali.
A proposito di tentazioni pericolose, proprio riguardo alla pedofilia bisogna evitare di ritenere giustificata - o addirittura necessaria - l'estensione dell'ambito di applicazione della "legge penale" a condotte e convinzioni che offendono un "sentimento morale"; punire il "male" come se fosse una violenza. So che, per il solo fatto di dire questo, qualche magistrato ci annovererà d'ufficio nel "partito dei pedofili", su cui scagliare anatemi; ma questo è solo un segno ulteriore, la conferma, della barbarie che dobbiamo temere e non incentivare.
Del resto, l'obiettivo della campagna politico-giornalistica è davvero quello di arginare un fenomeno dilagante, in certo modo epidemico, o è quello di "inventare" ad altri fini un fenomeno che in quella forma, con quelle caratteristiche non esiste? L'insistenza sull'uso di internet da parte delle cosiddette "bande dei pedofili", riflette più il timore di una diffusione delle violenze, o più un sospetto, un pregiudizio verso uno strumento moderno, quindi "uno strumento del diavolo", che modifica radicalmente il sistema di comunicazione? La gran parte del consumo di materiale pornografico con minori non avviene né in internet, né grazie ad internet; la gran parte di coloro che compiono violenze sui minori non frequentano né conoscono Internet. In questa campagna, la società politica e dell'informazione esprime molto più i fantasmi, le paure profonde, i pregiudizi più radicati della società che la realtà del problema... Non è certo un caso che si sposti sull'ultramoderno Internet un fenomeno che nasce e contin
ua ad essere radicato nelle istituzioni sociali più tradizionali (la famiglia, la scuola, la parrocchia). Questa campagna è davvero "oscurantista"; perché nega la verità; e perché riflette le paure più oscure della società. Perché dovrebbe essere favorita, e giustificata?
Perché, inoltre, dovremmo avere indulgenza e comprensione nei confronti di una campagna che costituisce per molti il pretesto e la giustificazione per il rilancio "politico" di un ideale non solo tradizionalistico, ma sessuofobico, che autorizza ogni sorta di moralismo "pornografico", che apre la strada ad ogni sorta di censura, che consente di attaccare su di un altro piano, apparentemente più rispettabile, ma in realtà volgare e surrettizio - preferenze sessuali "diverse" (come l'omosessualità)?
Come è noto non ci è mai piaciuta la logica giornalistico-giudiziaria dell'emergenza; non solo per ragioni di principio, di ordine "garantista", ma anche per ragioni di fatto. L'emergenza è sempre fatta apposta per perpetuare il problema che la origina e la giustifica; l'emergenza è la riduzione a pretesto della ragione dell'emergenza; valeva sul terrorismo; vale sulla droga e sulla mafia; vale ovviamente sulla pedofilia. Ma l'emergenza ha anche un altro difetto; non è una buona "politica d'ordine".
La ragione per cui si ritiene necessaria una politica di repressione delle violenze contro i minori è la medesima che costringe ad ammonire che non si giunga ad una repressione ingiustificata ed indiscriminata di tutto ciò che è sospettabile di "pedofilia".
Che cosa dobbiamo dunque, al di là delle rappresentazioni giornalistiche, riconoscere di più grave in questo fenomeno? Che cosa suscita (ed è ragionevole che susciti) maggiore allarme? Che cosa dobbiamo fare?
Negli anni 70, ci volle un libro di un famoso psicologo americano, perché finalmente le violenze (non carnali) commesse sui bambini fossero riconosciute e quindi condannate. Prima, quando i medici erano consultati sugli effetti di violenze e percosse erano spesso tentati di attribuire questi danni a cause naturali (cadute; incidenti domestici); noi ci troviamo di fronte ad un problema analogo; la gran parte delle violenze sessuali sui minori sono compiute da chi dovrebbe proteggere i minori (i familiari, le figure di riferimento); gli ambienti in cui maturano questi episodi sono dunque quelli nei quali è più difficile e anche pericoloso addentrarsi con gli strumenti della legge penale; già ammettere tutto ciò significa capovolgere la prospettiva; smettere di parlare di "pedofilia" come se il fenomeno delle violenze sui minori fosse il prodotto di una recente e modernistica corruzione dei costumi, di una epidemia morale che viaggia sull'onda di Internet.
E ancora: nei suoi aspetti criminali e di massa, questo fenomeno può davvero essere interpretato come la somma di una serie di deviazioni individuali, e non invece come il prodotto dell'attività "imprenditoriale" di organizzazioni criminali? Non si possono ovviamente escludere tra i siti di cosiddetto "consumo passivo" le reti di organizzazioni criminali. Ma il "pedofilo" che viaggia su Internet e che - nella stragrande maggioranza dei casi - osserva gli spettacoli delle violenze sui minori senza parteciparvi né volervi partecipare è davvero "determinante" nelle strategie di queste organizzazioni criminali? In qualche modo concorre al reato, o ne è semplicemente irretito? Una politica di repressione che parte dalla condanna dell'utente finale oltre ad essere ingiusta è anche sbagliata. Non funziona mai, in nessuna politica di repressione. Perché dovrebbe in questo caso funzionare?
Io credo, per dirla in modo schematico, che il problema delle violenze dei minori sia un fenomeno sociale consistente - e non un insieme di casi isolati - e che il "mercato" degli abusi e dello sfruttamento ai fini pornografici e di prostituzione dei minori risponda a disegni criminali organizzati, e non all'iniziativa individuale di questo o quell'altro "pedofilo". Penso che questa sia una base politica promettente tanto per chi voglia sottrarsi al sospetto imbarazzante di collusione con il partito della "pedofilia", quanto per chi voglia contrapporsi - come ritengo sia necessario fare - a questo professionismo dell'antipedofilia sciatto e pericoloso, terroristico e fuorviante.
Proprio l'affare Dutroux costituisce la rappresentazione perfetta di tutti i limiti, le remore e i vincoli culturali e concettuali che dobbiamo affrontare quando parliamo di violenze sui minori. In qualche modo costituisce anche uno spaccato di un "clima" politico-giudiziario, che nasconde la complessa realtà criminale del problema dietro la figura del mostro e dietro l'immagine della sua inumana mostruosità.
Con l'"Affaire Dutroux", l'opinione pubblica europea è venuta a intuire prima e poi a conoscere l'esistenza di un fenomeno fino ad allora misconosciuto: non l'esistenza di abusi sessuali nei confronti di bambini, ma l'esistenza di vere e proprie reti criminali attraverso le quali questo "consumo" dei bambini è promosso e organizzato. Si è poi venuto a sapere che probabilmente non si trattava "soltanto" di "consumo carnale" ma di un fenomeno se possibile ancora più grave, di sequestro e quindi eliminazione fisica dei bambini, di comportamenti in cui si intrecciano sadismo, torture, deliri di onnipotenza, e insieme complicità "importanti" e certezza dell'impunità.
A tutt'oggi, a due anni dell'arresto del tristemente famoso ma, a detta della magistratura e della stampa, isolatissimo Dutroux, in Belgio continuano a scomparire bambini. Senza che la stampa ne parli più... Per non parlare delle facili "prede" che abbondano in Europa centrale ed orientale - come dimostrato dal giornalista del Guardian di Londra - e che hanno dato luogo ad un fiorente mercato che consiste nell'"importare" i bambini est europei in Europa occidentale.
Sarà possibile affrontare finalmente questo fenomeno criminale, o si continuerà a stigmatizzare solo la "corruzione dei costumi"; si potrà far luce su quanto ancora neppure si riesce ad intravedere, anziché perseguitare gli utenti e i providers delle reti telematiche (cioè degli ambienti in fondo più scoperti ed accessibili)? Oppure, come emerge sempre più chiaramente, e come si è dimostrato in un convegno tenutosi 10 giorni fa al Parlamento Europeo, non solo in Belgio ma anche in Germania, in Gran Bretagna, in Danimarca, in Italia tutto verrà di nuovo ricoperto da una cappa di piombo ?
Speriamo che il Convegno ci aiuti a rispondere a queste domande. Grazie.