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Partito Radicale Rinascimento - 7 novembre 1998
LE SCOMPAGINATE SPERANZE DELL'ESPERANTO

Lingua artificiale inventata nel XIX secolo da Lazzaro Zamenhof, giovane medico ebreo polacco, l'esperanto attira sempre dei giovani di tutto il mondo che trovano in essa un mezzo semplice e conviviale per comunicare.

Gli esperantisti soffrono però il peso dei pregiudizi e dell'inglese "salvifico".

di Roland-Pierre Paringaux

(Le Monde, 4 novembre)

Il messaggio, arrivato via email dalla Colombia era tanto breve quanto enigmatico: "Mi bedauras pri la artikolo kiun via jurnalo aperigis pri la Universala Kongresso de Esperanto, kiu ne taksas la grandan valoron de la internacia lingvo." Il che significa più o meno: "Mi rammarico che l'articolo pubblicato dal vostro giornale sul Congresso universale dell'esperanto non apprezzi il grande valore di questa lingua internazionale." Evidentemente, l'uso di alcuni termini - "che perde velocità", "movimento invecchiato" - in un articolo consacrato l'8 agosto all'83 Congresso mondiale d'esperanto, riunito a Montpellier di fronte a 3.000 delegati, ha prodotto uno choc. Nulla di molto nuovo: periodicamente, la stampa viene rimproverata di non dedicare alla lingua di Zamenhof l'attenzione che merita. Di ridurla a dei cliché, di seppellirla prima del tempo.

I mass media non sono i soli in causa. A fine Settembre, in un discorso pronunciato in Cina, Lionel Jospin in persona sembrava così determinarne la sorte: "Abbiamo bisogno di una lingua per la comunicazione universale, e siccome non sarà l'esperanto, una lingua che alcuni avevano voluto inventare a partire da tutte le lingue, sarà senz'altro l'inglese".

Abbastanza per far disperare più di un esperantista! Alcuni hanno visto nella proposizione "un attentato all'onore" dell'esperanto. Altri giudicano "insultante" l'abbassare una lingua che ha i suoi gradi di nobiltà alla stregua di un volgare "linguaggio". Per tutti il postulato del Primo Ministro era tanto più doloroso in quanto la Cina è stata a lungo un pilastro dell'esperanto.

Malgrado tutto, quanto può pesare, all'alba del terzo millennio, una "lingua universale" fabbricata pezzo per pezzo nel XIX secolo, di fronte al tandem di sfondamento formato dall'inglese e dalle reti informatiche planetarie? Cercare di capirlo significa prima di tutto esporsi all'ignoranza dei profani, a l'incredulità di quelli che lo credono passato di moda - "ma esiste ancora?" - , a l'ironia dei sostenitori della Realpolitik linguistica - "L'esperanto quante divisioni ha?".

Il dizionario Robert, che gli consacra una sola riga, né più né meno del volapük, non è di grande aiuto. Nel peggiore dei casi, l'esperanto è percepito come una pratica settaria; nel migliore, come lo slang d'una compagnia di teneri sognatori in via d'estinzione. Infatti si considera che i cuccioli di questi utopisti siano più attratti dal linguaggio del rock, del rap, e di internet che dal blaterare cosmopolita dei loro padri.

Visto da dentro, il quadro è però diverso. L'esperanto è indebolito ma lungi dall'esser moribondo. E se Jospin lo mette nell'oblio della storia, il Papa Giovanni Paolo II non dimentica mai, da parte sua, di lanciare qualche frase in esperanto alla folla dei fedeli ammassati a Piazza San Pietro a Roma. Insomma la staffetta c'è.

David, uno studente di lingue di 23 anni, che porta il codino e un diamantino al naso, è arrivato all'esperanto per caso, sfogliando un libro. "Mi sono incuriosito - dice- dell'idea che un tipo abbia potuto inventare una lingua, sembrava assurdo. Ne ho voluto sapere di più.". Scopre così la storia di Luigi Lazzaro Zamenhof, un giovane medico polacco, ebreo e poliglotta, testimone, nel XIX secolo, dei drammi di una città della Polonia orientale dove quattro lingue - il polacco, il russo, il tedesco e lo yiddish - coabitano con difficoltà. Bialystok è l'incarnazione di Babele, la punizione di Dio che confonde la lingua dei figli di Adamo. Una cittadina dove le relazioni comunitarie sono impregnate di quel disprezzo e di odio che porteranno all'olocausto, 60 anni dopo.

Per scongiurare questa sorte, Zamenhof, che ha il dono delle lingue, pone, nel 1887, le basi dell'esperanto. Grazie a lui, per la prima volta nella storia, gli uomini si troveranno " fianco a fianco, non come degli estranei, non come dei concorrenti, ma come dei fratelli che, senza imporre la loro lingua agli altri, si comprendono a vicenda, non diffidano gli uni degli altri a causa di un'oscurità che li divide, si amano e si stringono la mano con sincerità."

Un secolo dopo, l'esperanto appare a David come "un mezzo di comunicazione facile e politicamente neutro per andare alla scoperta del prossimo". E' addirittura una vera e propria benedizione per gli studenti: 7.500 parole d'uso comune tratte da 700 radici comuni alle lingue europee; una grammatica semplicissima; nessun verbo irregolare o eccezioni; un tempo d'apprendimento medio dieci volte più breve dell'inglese o del francese e in pratica nessun fallimento. Il grande semiologo italiano Umberto Eco parla di "una lingua che segue dei criteri di economia ed efficacia notevoli". Insomma, è una seconda lingua alla portata di tutti.

David, che vi è portato, l'imparerà "in tre mesi" passando subito alla pratica. Durante il Natale del 1997 è in Germania con un gruppo di giovani esperantisti "per metà studenti, per metà stipendiati". L'estate dopo, partecipa ad un raduno internazionale in Croazia. L'esperanto gli apre la porta della cultura locale e del cuore di una ragazza indigena. Negli ultimi due anni il ragazzo ha preso parte a nove incontri esperantisti. Al momento assiste a dei week-end di giovani che promuovono scambi intorno a temi gastronomici. Dopo il cioccolato, che ha riunito Francesi, Belgi ed Olandesi a Boulogne-sur-Mer, a settembre, prossimamente saranno i crauti a tener banco in Alsazia, con dei Tedeschi, ed il cassoulet a Tolosa, con degli Spagnoli.

Flavie, 21 anni è arrivata all'esperanto tramite i genitori, padre Francese e madre Giapponese conosciutesi nel corso di un congresso esperantista. L'ha imparato "in modo naturale, giocando con altri bambini ai margini degli incontri del movimento". A questo linguaggio universale parlato la giovane donna, che frequenta il terzo anno della scuola di mimo di Marceau, ha aggiunto quello dei gesti. Karine Texier, 23 anni, si è convertita nel 1997, durante un week-end dedicato alle crêpes in Bretagna. Quindici anni dopo le sorelle, Rozenn e Magali, che erano state iniziate sin dalla prima elementare nella scuola elementare d'Hennebont (nel Morbihan). Per recuperare il tempo perso ha imparato la lingua "in quindici giorni su Internet". Oggi è la coordinatrice dei giovani esperantisti della Bretagna. Sua sorella Magali, che vive in Germania, ha usato l'esperanto per viaggiare e, ironia della sorte, per imparare le lingue! Fidanzata con un esperantista Sudafricano si è data all'afrikaans.

Tutti i giovani incontrati sottolineano il lato "pratico" e "pragmatico" dell'esperanto, la sua "velocità d'apprendimento molto gratificante", la sua "apertura sul mondo", la sua "assenza di ideologie". Niente a che vedere con la nuova lingua di 1984 di George Orwell, strumento di un'ideologia totalitaria. "L'esperanto, ricorda Bruno Flochon, presidente dell'Associazione francese dei giovani esperantisti, non è in se stesso un fine. E' un mezzo, un rimedio alle difficoltà di comunicazione. Il suo filo conduttore, è la fratellanza, i rapporti umani". Anche per lui tutto è cominciato "da un semplice approccio utilitario: la voglia di viaggiare".

Raggruppati per affinità in movimenti ed associazioni d'ogni tipo, gli esperantisti rivendicano grosso modo due milioni di praticanti di cui cento mila in Francia. Disseminati un po' ovunque nel mondo, costituiscono una diaspora attiva e fraterna, ma malgrado tutto che perde velocità. Infatti, mentre gli effettivi conoscono un boom in America Latina, declinano in Europa ed Asia, ed in particolare negli ex paesi comunisti, dove l'esperanto aveva conosciuto un certo successo. Due milioni, questo può far sorridere. Ma l'esperanto non si candida per dare battaglia alle superpotenze linguistiche. Non ha mai ambito al primo posto. Solo a divenire "la seconda lingua universale". Uno strumento di comunicazione neutro e pregno di buon senso. Capace anche di risparmiarci una rovinosa cacofonia.

Su questo, Claude Piron è intransigente. Per questo psicologo e vecchio traduttore svizzero, le nostre società "hanno una gestione patologica delle comunicazioni internazionali". Ai bordi del Lago di Ginevra, a due passi dai bastioni dell'ONU dove ha passato vent'anni della sua vita, evoca l'assurdità di un mondo che favorisce dei sistemi educativi fallimentari ("ancora più inefficienti dell'economia sovietica"), dai quali escono degli "handicappati linguistici", e che nel contempo consacra un "ammontare stupefacente" per il finanziamento di una "industria della traduzione" di qualità spesso discutibile.

Per dare un'idea delle somme in gioco, Claude Piron, autore di un'opera intitolata "La sfida delle lingue. Dallo spreco al buon senso." (L'Harmattan, Parigi, 1994), scava nella propria esperienza. Si ricorda, ad esempio, d'aver ricevuto, nell'aprile 1991, una proposta d'interpretazione simultanea per il Congresso europeo dei Verdi a Zurigo. "La remunerazione, ci dice, era fissata a 6.720 franchi francesi [pari a circa 1.480.000 lire italiane al cambio di allora, nota del traduttore] per due giorni." Con le indennità, i rimborsi e le spese vive, "il totale alla fine fu' di 12.136 franchi" [pari a circa 2.670.000 lire, n.d.t.].

Se pensiamo che le Organizzazioni internazionali e le multinazionali impiegano quotidianamente alcune migliaia d'interpreti e traduttori, ci si può fare una vaga idea dei costi del multilinguismo.

Questo per quanto riguarda gli sprechi. Il buon senso, abbiamo capito, sarebbe che la comunità internazionale facesse dell'esperanto la lingua ausiliaria di tutto il mondo. Utopia? E' però proprio quello che aveva proposto il governo iraniano alla Società delle Nazioni, negli anni venti.

Quanto all'"inglese salvifico" caro a molti, il nostro interlocutore lo considera prima di tutto "un mito". La realtà, ci spiega, statistiche alla mano, è che 90% degli abitanti dell'Unione Europea ignorano la lingua di Shakespear. Ora che la mondializzazione e l'allargamento dell'Unione europea complicano ulteriormente la situazione, un centinaio di parlamentari europei simpatizzano anche loro con la causa esperantista.

Uno di loro, il socialista britannico Roger Barton, riassumeva in questi termini il loro punto di vista, nel novembre 1996, davanti a rappresentanti della lobby esperantista: "Lo sviluppo delle relazioni internazionali rafforza la causa esperantista. A meno di progressi notevoli dei computer nel campo della traduzione e dell'interpretariato nei prossimi anni, l'esperanto diventerà una necessità." Altri eletti, Comunisti in testa, vedono nella promozione dell'esperanto un mezzo di contrastare il dominio della lingua inglese e della cultura americana che vi si accompagna.

Malgrado questo, malgrado l'adozione da parte dell'UNESCO di testi favorevoli all'insegnamento dell'esperanto, non si è punto progredito. Il peso degli interessi e delle abitudini, l'indifferenza e i pregiudizi: tutto gioca a favore dello statu quo. "Inoltre, constata Bruno Flochon, i mass media parlano raramente di noi. Ora, ai nostri giorni, sono loro che fanno il valore. Si gira intorno. Non interessiamo i mass media, i mass media non si interessano a noi, quindi rimaniamo poco conosciuti e non interessiamo i mass media ecc "

Resta da sapere - è un vecchio dibattito - se l'esperanto, lingua artificiale, vale le lingue naturali quando si tocca la sfera dei sentimenti. Per i suoi detrattori, la lingua del dottor Zamenhof, inadatta agli slanci del cuore ed agli stati d'animo, non è opportuna per i creatori. "Sbagliato, replica il poeta Scozzese William Auld, l'esperanto non è un codice sterile, un volgare gergo o un surrogato indoeuropeo, ma una lingua per sua natura ispiratrice e di grande delicatezza." Settantatreenne, questa grande figura esperantista, che un'associazione letteraria ha recentemente proposto per il premio Nobel per la letteratura, parla per esperienza.

I giovani esperantisti che abbiamo incontrato condividono questo giudizio. Riguardo ai sentimenti, affermano, l'esperanto non ha nulla da invidiare alle altre lingue. Al contrario, la sua flessibilità consente delle variazioni che non offrono sempre queste ultime. Insomma, oltre a l'anima, ha anche un cuore. Se qualcuno avesse ancora dei dubbi, si potrebbe gioco forza chiamare, ancora una volta, Umberto Eco alla riscossa.

In una dichiarazione alla rivista italiana l'Esperanto, l'autore de "Il nome della rosa" ma anche de "La ricerca della lingua perfetta" osava infatti questo paragone: "Si è insegnato l'esperanto in pessime condizioni durante qualche decennio, ed ecco che degli esseri umani si amano in esperanto. Si è insegnato il latino per secoli, in modo molto intensivo, ma potete essere certi che anche un prete ed una religiosa, se fanno l'amore, non l'useranno in tale circostanza. Tirate voi stessi le conclusioni!".

 
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