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Radio Radicale Roberto - 16 dicembre 1998
UNA CATENA DI TERRORE PER BLOCCARE LE RIFORME
Gli omicidi di intellettuali a Teheran dopo un anno di relativa liberta' di stampa

di GUIDO RAMPOLDI - La Repubblica, 16.12.98 (http://www.repubblica.it)

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IN OTTOBRE un editore di Teheran e il figlioletto furono uccisi da sicari che la voce popolare qualifico' immediatamente come agenti dei servizi segreti iraniani. Per quanto alcuni indizi rimandassero semmai a una storia di droga, il coinvolgimento della polizia politica pareva a tutti l'ipotesi piu' ovvia, comunque la prima a cui pensare. Ecco la cosa piu' spaventosa, ci diceva in quei giorni un intellettuale amico del defunto: probabilmente i servizi di sicurezza sono estranei all'esecuzione, ma il contrario, anche se non e' vero, e' comunque verosimile. Quelli i loro metodi, quello lo stile di un nucleo di potere che non esita davanti ai crimini piu' efferati.

Il vero e il verosimile, la realta' e l'horror, tornano a confondersi anche in questa sequenza sinistra che ora tiene col fiato sospeso l'Iran. Quattro scrittori uccisi in meno d'un mese, i giudici al buio, la teocrazia in fibrillazione, e l'intellighenzia laica ormai convinta di essere la preda di una caccia appena iniziata. Se questo e' vero, il prossimo a cadere sara' uno dei cinquemila che ieri hanno partecipato ai funerali di Mohammed Mokhtari, scrittore, strangolato. Quanto al cacciatore, andrebbe cercato proprio tra chi dovrebbe spezzare la catena degli omicidi: nella polizia segreta. Una cospirazione interna, di questo sembrano sicuri gli intellettuali piu' esposti, tra i cinquemila riuniti ieri davanti all'ultima bara. L'obiettivo: rovinare definitivamente l'immagine del premier Khatami, l'intellettuale riformista su cui ha scommesso la maggioranza degli iraniani. Dimostrare che Khatami non riesce neppure a proteggere il primo dei suoi alleati, l'intellighenzia. Impaurire, scoraggiare. Costringere l

'Iran a rassegnarsi al dominio dei vecchi ayatollah, degli spioni onnipotenti, dei pasdaran in carriera che attraverso il sistema delle Fondazioni, controllano i gangli dell'economia.

In un sistema dove il potere risiede essenzialmente in un livello occulto, ogni congettura diventa plausibile, anche in assenza di una prova. Ad attenersi ai nudi fatti, non si puo' escludere che la sequenza delle morti sia casuale. Alcune tra le vittime (sei, se si contano anche i due scrittori uccisi in agosto) non si conoscevano tra loro. Non tutte avevano un ruolo politico attivo. Non tutte sono morte nello stesso modo, strangolate. Ma sembra significativa la sequenza in se', il tempo che l'ha scandita: nelle stesse ore in cui un omicidio veniva scoperto, subito il successivo veniva preannunciato da una nuova sparizione. Come se qualcuno avesse voluto dimostrare una continuita', una regia, un senso, con la lucidita' che guida i serial killer solo nei film dell'orrore.

Per molti iraniani l'identita' dell'assassino non costituisce una sorpresa. E' il sistema, dice a La Stampa l'ex presidente Bani Sadr, esule a Parigi. E' un regime che non fa mistero delle proprie pulsioni omicide verso il dissenso. E' una teocrazia in coma terminale che trasforma la propria agonia in un horror imposto al paese.

Grida al complotto anche il numero uno di quella teocrazia, l'ayatollah Khamenei. Ma il leader massimo chiama in causa il nemico esterno, sempre utilissimo quando un regime annaspa: "potenze arroganti", leggi gli Stati Uniti, e "nemici dell'Iran", Israele e quant'altri, vorrebbero sabotare la stabilita' del paese. La catena di omicidi offrirebbe infatti il pretesto per "insinuare che il governo dell'Iran, l'apparato giudiziario e di sicurezza, sono incompetenti". La solita reazione di paura, la solita tattica dei conservatori, quel chiudersi in quadrato ringhiando: chi accusa noi e i nostri pretoriani, si rivela per complice del nemico. Per tacitare i dubbi, si annunciano arresti in serie, la scoperta di un rete "straniera". Chi allude alla Cia, chi ai "sionisti". Ma l'apparato di propaganda perde colpi: il portavoce dell'apparato giudiziario annuncia a sorpresa che le indagini puntano su un'organizzazione armata iraniana. Altro che Cia e Israele: sono stati i mujahiddin del popolo, anti-khomeinisti.

Cosi' quattro omicidi forse collegati, forse no, ingigantiscono in un gioco d'ombre che a sua volta dilata le paure di un regime sempre piu' in bilico. La crisi ormai spacca le stesse famiglie storiche del khomeinismo. L'ex presidente Rafsanjani, capo dei cosiddetti "moderati", sposa la tesi del complotto internazionale. Il giornale pubblicato da sua figlia, Zan, sembra invece propendere per il complotto interno. Se Zan avesse voluto spingersi oltre le allusioni, non lo potra' fare: una corte di giustizia ieri ha ordinato la sospensione delle pubblicazioni, per due settimane. Motivo: il modo in cui Zan avreva raccontato le aggressioni subite in settembre da due notabili dell'ala "riformista". Secondo il quotidiano, i picchiatori erano stati indirizzati e coperti dai servizi segreti iraniani.

Zan e' una delle ultime voci sopravvissute alla stagione eroica della liberta' di stampa. Per un anno e fino all'estate scorsa, giornali sempre piu' audaci hanno lanciato ondate di attacchi all'arma bianca contro le roccheforti del potere khomeinista. Quando quel potere sembrava alle corde, e' arrivata la reazione. Violenta, spietata. Uno dopo l'altro i giornali della prima linea sono stati zittiti, i giornalisti licenziati, gli editori arrestati, i collaboratori piu' illustri minacciati da corti rivoluzionarie e polizia segreta. In ottobre la grande paura gia' imprigionava l'intellighenzia di Teheran, ed era diventato rischioso perfino incontrare un giornalista straniero. Ricordiamo i tremori di quattro redattori di un quotidiano appena chiuso. Sicuri di essere stati seguiti, si passavano il pollice sulla gola per mimare cio' che rischiavano. La loro paura sembrava, allora, un terror panico un po' isterico. Ma a ricordarlo ora, il gesto dello scannamento pare un'esatta previsione.

 
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