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Partito Radicale Roma - 29 dicembre 1998
L'Unità: Ma le bombe servono alla causa nonviolenta?

LA POLEMICA

Ma le bombe servono alla causa nonviolenta?

Di PAOLO SOLDINI

"L'Unita", 29.12.98, pag 9

ROMA I radicali Olivier Dupuis e Rita Bemardini ringraziano l'Unità per aver reso "notiziabile" - così si esprimono - una loro "presa di posizione in merito al silenzio dei pacifisti su quanto di drammatico sta avvenendo in queste ore nel Kosovo. Si tratta di un ringraziamento sincero - aggiungono - perché ci consente... di precisare un punto di vista che non gode, spesso perché non conosciuto, di molta attenzione e considerazione". Il "punto di vista" - spiegano Dupuis e Bernardini - è quello in base al quale i radicali là dove si manifestano due violenze...non scelgono l'equidistanza, ma appoggiano la parte che più si avvicina al rispetto della legalità".

Grazie per i ringraziamenti. Ma non c'era bisogno certo di tante spiegazioni su un "punto di vista" che è ovvio e condiviso da tutte le persone ragionevoli: tra due mali si sceglie il minore. E già, ma il punto di sostanza è un altro. lì dubbio che molte, moltissime persone hanno espresso in merito all'intervento di Usa e Gran Bretagna contro l'lrak non riguarda il fatto che Saddam sia (e resti!) un "male", ma il fatto che il rimedio giusto fosse bombardare Baghdad. Di questo si discute, o si dovrebbe discutere, e non d'altro. Sul fatto che per salvaguardare o ristabilire la giustizia sia necessario, talvolta, l'uso della forza siamo d'accordo tutti e non c'è bisogno di costruirci teorie sopra. lì problema è: come, con quali strumenti militari, con quale legittimazione internazionale? I radicali hanno qualche risposta? Discutiamone.

Le domande sono ancora più complicate per il Kosovo. Sarebbe bello poter confrontarsi su quel che succede laggiù senza essere insultati (l'ultima è che saremmo cattosocialpacifisti") ogni volta che si introduce qualche, sia pur ragionevole e inevitabile, distinguo. Nessuno ha sostenuto che Milosevic sia innocente. Chi scrive confessa di essere pronto pure a sostenere la proposta di deferirlo a una corte internazionale. Ma detto questo, che cosa bisogna fare? Buttare bombe su Belgrado? Sparare i Cruise sul Kosovo? Così lo si fermerebbe, Milosevic? Si aiuterebbero le forze moderate? Ne trarrebbero qualche profitto i profughi albanesi? E della regione teatro della guerra che cosa si dovrebbe fare? Riconoscerne l'indipendenza? Favorire la sua annessione da parte di Tirana?

Rispondete a qualcuna di queste domande, amici radicali, invece di tirare slogan come sassate. Quello della "pulizia etnica, per esempio, concetto troppo mostruosamente preciso per essere adattabile a ciò che accade nel Kosovo. la "pulizia etnica" si è fatta in certe zone della Croazia e della Bosnia (e non l'hanno fatta solo i serbi) dove la proporzione tra le diverse etnìe rendeva possibile l'idea di regioni "etnicamente pure". In Kosovo, dove gli albanesi sono il 90% della popolazione, uno scenario del genere non è pensabile. O meglio: è pensabile solo da parte albanese e non è detto che qualche albanese non ci abbia pensato. Quello che accade in quella disgraziata regione è una guerra civile, ora latente ora aperta, determinata, questo sì, da una odiosa politica di oppressione da parte di Belgrado, inaugurata dalla decisione di Milosevic di ritirare la limitata autonomia di cui gli albanesi avevano goduto fino al 1989. Per aiutare i kosovari e la pace, sarebbe meglio, forse, ricominciare da qui invece ch

e dagli anatemi.

Che poi è quanto, giustamente, suggerisce un radicale "storico" come Valter Vecellio, il quale, in una lettera all'Unità, riferendosi polemicamente alla nostra scherzosa espressione di nostalgia per "i radicali di un tempo", ricorda le asprezze che in anni passati contraddistinsero il confronto tra la sinistra e i radicali. E vero: ci furono (anche se non solo da una parte). Ma bisogna proprio continuare?

 
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