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Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Paolo - 16 gennaio 1999
Irak/diritti naturali/mercato
Tardi rispetto ad alcuni accenni che in proposito qualcuno ha inserito in questa sede, ma niente affatto tardi rispetto ad un dibattito che sia pure con fatica sembra che qualcuno intenda partecipare ad aprire, due o tre considerazioni mi interessa versare, non necessariamente e integralmente tra loro connesse.

- la affermazione per cui, dovendo scegliere tra reazione violenta al sopruso e codardia, Gandhi sceglieva la prima, non fa una grinza in se', ma e' molto parziale; tanto da rischiare di essere fuorviante.

Nel momento in cui il nonviolento, il radicale, non ha che quelle due alternative, egli deve certo scegliere la reazione violenta alla ingiustizia, ma non puo' nascondersi che e' sconfitto, sconfitto per il fatto che la opzione sua e' fuori gioco, fatta fuori. Gandhi ha sempre parlato e scritto, a questo proposito, di tre opzioni: quella nonviolenta, quella della reazione violenta ad una ingiustizia, quella della codardia. Le opzioni sono tre. Sconfitta la prima, non vi e' dubbio che il nonviolento scelga la reazione violenta ad un sopruso, che e' sempre meglio, meno peggio della vigliaccheria.

E' evidente che messa cosi' il semplicismo e' parecchio; ciononostante non si puo' prescindere da questa consapevolezza. Il plauso al bombardamento americano a me sembra debba piuttosto essere fondato sul suo essere operazione di polizia e atto di esecuzione di una decisione con forza giuridica.

Dire che tra violenza e codardia scegliamo la violenza, tralasciando la prima delle tre "categorie" mi sembra forzato.

- Svariati giorni fa Cappato scriveva:

la legalita' attuale dell'ONU non e' sacra, come non lo e' nessuna legge per chi creda in principi di diritto e di liberta' "naturali" di ordine superiore alla legge scritta. Altrimenti sarebbe inconcepibile, per un partito che fa del diritto la sua arma, attuare disobbedienze civili rispetto alla legge scritta, per abolirla o riformarla.

Non sono d'accordo, e non soltanto perche' vi e' troppo semplicismo in queste parole.

E' sicuramente utile ricordare quel che scriveva M.L.King nella sua lettera dal carcere di Birmingham. King era un uomo di chiesa, pastore battista, figlio e nipote di pastori battisti, e in quella lettera si rivolgeva ai suoi colleghi uomini di chiesa, pastori battisti, preti cattolici, rabbini, pastori protestanti. Parlando delle leggi che discriminavano i negri in America King spiegava come egli riteneva dovesse valutarsi la giustezza di una legge:

"...e' piuttosto strano e paradossale che ci troviamo cosi' ad infrangere coscientemente le leggi. Si potrebbe chiedere: "Come potete sostenere la vostra richiesta di infrangere certe leggi e di ubbidire ad altre?" La risposta si trova nel fatto che esistono due tipi di leggi: ci sono le leggi giuste e quelle ingiuste. Io concordo con Sant'Agostino che "Una legge ingiusta non e' una legge". Ora, qual e' la differenza tra le due? Come si decide che una legge e' giusta o ingiusta? Una legge giusta e' una legge fatta dall'uomo che si armonizza con la legge morale o legge di Dio. Una legge ingiusta e' un codice che si trova in disarmonia con la legge morale. Per dirla con le parole di San Tommaso d'Aquino, una legge ingiusta e' una legge umana che non trova le sue radici nella legge eterna e naturale. E la legge che eleva la persona umana e' giusta. Quella che degrada la persona umana e' ingiusta. Tutti gli statuti segregazionisti sono ingiusti perche' la segregazione altera l'anima e danneggia la persona. Da' a

colui che segrega un falso senso di superiorita' e al segregato un falso senso di inferiorita'. Per servirci delle parole di Martin Buber, il grande filosofo ebreo, la segregazione sostituisce la relazione "io-esso" a quella "io-tu", e finisce per relegare le persone allo stato di cose. Quindi la segregazione non e' solo malsana politicamente, economicamente e sociologicamente, ma e' anche moralmente sbagliata e peccaminosa. Paul Tillich ha detto che peccato e' separazione. Forse che la segregazione non e' l'espressione esistenziale di una tragica separazione tra gli uomini, l'espressione di un tremendo straniamento, di una terribile condizione di peccato? Per questo posso chiedere che si disubbidisca alle ingiunzioni segregazioniste perche' esse sono moralmente errate. Volgiamoci ora a un esempio piu' concreto di leggi giuste e ingiuste. Una legge ingiusta e' un codice che una maggioranza impone su una minoranza senza che anche la maggioranza ne sia vincolata. Questa e' diversita' legalizzata. D'altro cant

o una legge giusta e' un codice che una maggioranza impone a una minoranza e che e' vincolante per entrambe. Questa e' uguaglianza legalizzata.

E' ovvio che possa esservi chi propenda per le prime argomentazioni di King, e altri che propendano per quelle che lo stesso King definisce piu' concrete.

Quel che e' piu' significativo e' il fatto che King, pur uomo di chiesa, faccia rientrare il concetto di giustizia in quello di diritto, di legalita', di cogenza giuridica.

Trovo assai piu' convincente questo argomento di King, che non quelli che fanno discendere la giustezza di una norma dal suo rispondere a principi, valori. Non foss'altro perche' i principi superiori hanno sempre prodotto interpreti sacerdoti; e i principi, i valori superiori sono sempre stati causa del peggio. Parlo proprio della superiorita' dei valori e dei principi.

Io credo che una sentenza, per esempio, una sentenza giusta sia quella che applica la legge rispettando le procedure. Una legge giusta e' quella che, per esempio, vincola la maggioranza come la minoranza, cioe' vale per tutti (mi si consenta la superficialita').

Magari avro' torto: ma io credo che nessuno nasca gia' titolare di diritti, per il solo fatto di nascere, per l'evento biologico di appartenere alla specie umana. Credo che diritti soggettivi non solo possano essere assicurati, ma esistano solo se esiste un sistema giuridico che li enunci e soprattutto faccia vivere.

Ma lasciamo perdere, visto che in materia esiste un dibattito che dura da parecchi secoli.

- infine, sono piuttosto annoiato dalle querelle teoriche tra mercato e non mercato, piu' o meno mercato, e ideologismi assimilabili. A mio parere il punto e' invece quello del diritto, prima di altro. E senza dubbio quello per cui non mi sembra concepibile che istituzioni sovranazionali possano limitarsi ad essere di tipo giurisdizionale.

Vi e' poi un difetto di analisi, tra i radicali, che e' forse il problema principale; e infatti sono pressoche' inesistenti sedi, luoghi di dibattito, se non per alcune eccezioni importanti.

Anche noi e da tempo cadiamo in una trappola, che e' quella della contrapposizione tra difesa dei diritti umani e mercato, tra questo e aspirazioni e esigenze non monetizzabili delle persone e dei gruppi.

Sarebbe ora di compiere qualche passo avanti. Un esempio soccorre: se in Italia non e' ancora cosi' evidente, altrove in Europa una quota gigantesca degli investimenti pubblicitari di aziende che producono detersivi e' teso a rendere credibile la biodegradabilita' di un prodotto. Insomma, la sensibilita' ambientalista del consumatore viene corteggiata.

Questo e' o non e' a pienissimo titolo un fattore di mercato? Lo e', tanto quanto gli altri. Allo stesso modo, possono ricordarsi le scelte della Levi's. Scelte per fare soldi, non per essere buoni. Mercato, e nulla altro che mercato.

Negarlo, cosi' come affermare che da una parte c'e'+ il mercato e dall'altra i diritti umani, e' una ipocrisia, ma soprattutto e' fuorviante.

 
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