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Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Rinascimento - 20 febbraio 1999
Marco Pannella. Febbraio '99. Inseriamo in questa conferenza alcuni appunti di Marco Pannella "buttati giù" per un'intervista delle scorse settimane. Si tratta di appunti non rivisti dall'autore e non sono riportate le domande.

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I radicali-pannelliani (legittima definizione; ma tua, e come tale è bene che appaia nell'intervista) si stanno accorgendo di aver ben altro da fare che "invocare il ritorno di Pannella". E stanno ritrovando entusiasmo nel farlo, con la leadership naturale di Emma Bonino e quella, esperimentata in questo momento, di Marco Cappato, con altri, alcuni anche più giovani di lui. Li guardo; e dedico al potere un vecchio titolo: "quando noi morti ci destiamo", per presentarli.

D'altra parte sono anni che ci e mi trattavano, alla fascista o alla comunista, come scomparsi, come care salme trapassate Bene; tornerò quanto prima, se mai ho smesso, a tirar via nottetempo le loro lenzuola. Ne ho visti di potentissimi in questi decenni che ci consideravano poco più di pidocchi sulla criniera dei loro nobili destrieri trascorrere nel sistema fognario italiano. Questi d'ora sembrano tanti Re Sole, e già odorano di Luigi XVI, con tutta la loro corte. E in molti, cominciano a intuirlo. E così ci seguono, almeno nella lotta contro la pena di morte.

Nella loro Assemblea del 5/7 marzo, se li conosco bene, c'è voglia di "grande assalto" al regime, e una consapevolezza della propria storia che s'andava perdendo. Scalfaro chiama "ingorgo" quel che nelle 15 settimane di primavera prevede affollarsi. Anche i radicali (tanto vale ricominciare a lasciare al suo destino il nome di "liberale", e la polvere di stalle che in Italia ancora una volta esprime. Nel 1954 a questo ci invitò Mario Ferrara, lo ascoltammo e ci chiamammo "radicali", da liberali, liberisti, libertari come eravamo e siamo), anche i radicali, dunque, s'apprestano a modo loro a governare questo ingorgo, pur partendo dalla clandestinità cui, lo ripeto, alla fascista e alla comunista, sono ferocemente rinchiusi.

Si fa male a sottovalutare (anche molti radicali lo hanno fatto) quel che Francesco Storace definisce come: il "genocidio culturale dei radicali". Che è un fatto (un "errore" me lo ha definito Luigi Manconi); ma se lo si nega, si vendica e diviene misfatto, che si paga.

I radicali mi sembra che si accingano a voler di nuovo dire la loro, come sul divorzio, l'aborto, il finanziamento pubblico, la responsabilità "civile" dei giudici, l'unità nazionale e le leggi dell'emergenza nell'infame periodo retto dal convergere di PCI e P2, Cossiga e P38, quando pressoché da soli misero in crisi la legislatura apertasi nel 1976 e, con l'incombere dei referendum, costrinsero l'ammucchiata nazional-illiberale al ritorno anticipato alle urne.

Adesso c'è la difesa soprattutto dell'esito del referendum da tenersi, anche da quei "referendari" che, come Di Pietro e Prodi, lo considerano uno "stimolo"; ci sono le elezioni europee, con il tentativo di sindaci e prodiani di accelerare la crisi dei DS e del Governo per ereditarne la leadership, prima di tornare ad essere disoccupati o irizzanti; la campagna per l'elezione del Presidente della Repubblica in modo che il Parlamento tenti di porsi, lui, all'unisono con un paese che vuole un "nuovo" serio e non vecchi nuovisti in servizio permanente effettivo di regime; e, infine, c'è da trarre le conseguenze del fatto che, se non si raccolgono subito firme per altri ricorsi al popolo, non vi sarebbero più referendum fino al 2002, quando ormai sono ultramaturi "quaderni di doglianze" del nuovo Terzo Stato, con il sostegno di almeno due terzi dell'opinione pubblica, per un secondo Risorgimento liberale italiano

Organizzarsi in vista di tutto questo, è il tentativo che i radicali fanno con l'assemblea dell'inizio di Marzo. E, questa volta c'è una novità assoluta. Essi possono decidere di convertire tutte le risorse, umane e patrimoniali, che sono in grado di mobilitare per questo grande assalto, questa sorta di "ultimo assalto" all'ancien régime, dove anche il buon Ciampi è piuttosto Turgot che Necker.

Se nella locomotiva radicale saranno pronti e capaci di gettare nella fornace anche tutti i legni del treno per arrivare a destinazione (ricordino che in spagnolo si dice "destino"), se riusciranno a coinvolgere in referendum anche di rivolta fiscale, di liberazione del lavoro e delle imprese spezzoni sociali significativi, se scateneranno la guerra per la giustizia contro i moderni "colonnelli" che sono i padroni della magistratura, ebbene, investendo anche le decine di miliardi, quaranta, cinquanta, che possono realizzare, avremo un anno di fuoco, in corso all'apertura della porta santa.

Altro che "l'indulgenza" che il buon Rutelli propone alla Chiesa per annettersi post mortem e trasferire in paradiso perfino il grande Nathan, il grande massone, il grande radicale, il grande sindaco di Roma, magari a bersi qualche buon caffè cavazza o tavazza che sia.

Per fare tutto questo io non sono necessario. O, altrimenti, non basterei nemmeno io. Sinistra plurale e destra aperta ai radicali, ai liberisti, ai libertari, sono pure balle, fatta salva la buona fede di qualche proponente, che so? Salvi e Martino, ad es. Ma sono fatti personali.

Di Pietro fu il solo magistrato italiano che non aderì allo sciopero sovversivo e anticostituzionale della "categoria", e che lo dichiarò continuando a lavorare. Io ho la memoria e la riconoscenza lunga. Poi mi parve evidente che egli pagava per la sua storia e natura popolana, popolare, e che gli errori pur gravi che gli si rimproveravano erano di per loro molto meno sintomatici e pericolosi che le ineccepibilità dei Borrelli e dei Caselli, dei D'Ambrosio e delle Paciotti. Alla fine ha scelto di divenire un politicante tradizionale e un populista. Nemici, quindi. Ma pur sempre con un oncia di solidarietà e di simpatia abruzzese.

Consiglierei ai radicali di ricordarsi in questo frangente che occorre essere e dimostrarsi sempre più tolleranti, laici, umili, verso chiunque. Ma, anche, che se la tolleranza non è una forma dell'intransigenza civile e politica, è quella delle case di tolleranza. Ora ci sono "ex" che continuano a crearsi una carriera personale con il mestiere, appunto, di "ex". Ex radicali, ex berlusconiani, domani ex polisti.

Il costo delle loro conversioni è stato enorme; infimo, miserabile, il guadagno. Occorre averne consapevolezza e memoria e rispetto per chi ha invece continuato nei momento difficili a far principiare i tempi e i problemi di principio.

Quanto a me c'è probabilmente da continuare la traversata del deserto, come ieri con qualche compagno di lotta e di vita, nella chiarezza della meta ("difficile è la meta, ma provarcisi è debito") consapevoli che siamo e trasportiamo un carico di idee, di obiettivi, di capacità, di alterità, necessario per il governo forte e ragionevole di questo nostro tempo, e paese. Lo dico da uomo d'azione, quale sono.

Se poi - radicali a parte - si avrà bisogno di me, e di quel "noi" sanno tutti dove e come trovarci, trovarmi.

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