Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
gio 10 lug. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Roma - 26 aprile 1999
LA UE PERDERA' ANCHE LA PACE?

Analisi/ Nella ricostruzione dei Balcani rischierà di restare all'ombra degli Usa

Dal Corriere Economia (pag. 7), lunedì 26 aprile 1999

Di Stefano Cingolani

"Finché c'è la guerra è il momento degli americani; poi verrà la pace e toccherà agli europei". Dominique Moisi, direttore dell'Ifri, Istituto francese di relazioni internazionali, non ha dubbi. E' in atto quella che egli chiama una "divisione funzionale del lavoro". L'Europa non può fare a meno degli Stati Uniti nel condurre questo come qualsiasi altro conflitto; ma gli Usa debbono passare la mano alla Ue quando si tratterà di ricostruire economicamente e politicamente il Kosovo, la Serbia e buona parte dell'area balcanica.

Il cancelliere tedesco Gerhard Schroder ha già proposto un piano Marshall e il presidente francese Jacques Chirac vuole un protettorato dell'Unione Europea. I ministri degli Esteri italiano, francese, tedesco e britannico, in una cena informale e privata martedì 20 aprile a Parigi, hanno discusso come mettere in opera la "tutela internazionale".

Bei propositi, nobili intenzioni, ma l'Europa è davvero in grado di gestire un'operazione tanto complessa? Sull'altra riva dell'Atlantico nessuno nasconde il proprio scetticismo. Gli esperti della Brookings Institution sono convinti che gli Stati Uniti resteranno protagonisti anche nel dopoguerra. Naturalmente sono ben contenti che gli europei condividano il fardello, come sta avvenendo anche durante il conflitto. Il problema è che la Ue non ha né i mezzi né l'organizzazione per gestire un protettorato, spiega Helmut Sonnenfeldt che dirige il desk europeo nel think tank di Washington dove Madeleine Albright ha esposto la sua dottrina degli Usa "nazione indispensabile". Anche se esistesse un Monsieur Pesc, cioè l'uomo cui fa capo la politica estera e di sicurezza, mancherebbero l'apparato burocratico, la logistica, la rapidità di decisione e l'unicità di comando che solo gli americani possiedono.

Le conseguenze della guerra saranno pesanti. Il Kosovo è un ammasso di rovine e la Serbia fra poco sarà coperta di macerie. Il Fondo monetario internazionale prevede un duro impatto sull'intero sud-est europeo; saranno toccate le economie ungherese, romena, bulgara. Anche quelle di Italia e Francia che hanno legami economici con Belgrado. E l'Europa, in pieno ristagno, non può fare da locomotiva.

Il confronto con l'America, del resto, fa impallidire il Vecchio Continente. I Mirages hanno sganciato otto bombe la settimana, gli Harrier sembra siano andati quasi sempre fuori bersaglio. Non c'è paragone con i cacciabombardieri Stealth e i mostruosi B2. Persino gli orgogliosi francesi ammettono che i loro missili sembrano parenti poveri accanto ai Tomahawk prodotti dalla Raytheon. Per l'industria Usa, la guerra è una sorta di shopping window, una vetrina alla quale restano incollati i nasi curiosi e invidiosi dei concorrenti europei. Ma non si tratta solo di primato tecnologico. Gli Stati Uniti hanno deciso tutto: dal negoziato di Rambouillet (voluto dagli europei) all'uso che i servizi segreti hanno fatto dell'Uck (i guerriglieri indipendentisti), alla strategia politica e militare, agli obiettivi. Il potenziale bellico più sofisticato non fa capo ai comandi della Nato: le portaerei, i cruise, gli aerei invisibili restano dominio esclusivo del Pentagono.

E' vero, l'Europa intera combatte fedele dietro agli Stati Uniti; per la prima volta in un secolo francesi e tedeschi si sono trovati dalla stessa parte della barricata; persino la Francia, sempre tentata dalla grandeur gollista, sta dando prova di lealtà. Lo stesso un'Italia poco convinta della bontà e dell'efficacia di questa guerra. Eppure, tanti sogni europeisti svaniscono nell'alba rossa dei Balcani.

Il primo è la difesa comune, le cui fondamenta concrete erano state gettate con l'accordo franco-inglese firmato a Saint-Malo nell'autunno scorso. Uno sviluppo positivo che l'amministrazione Clinton vede di buon occhio, sottolineano alla Brookings, ma i cui termini sono spostati in un futuro lontano. Per il momento, Londra è tornata all'ordine atlantico e la Germania resta il secondo pilastro della strategia americana. Certo, rimangono tutte le incognite sulla tenuta della coalizione rosso-verde: ma nessuno è più allineato dell'ex gauchiste Joschka Fischer, ministro degli Esteri tedesco. E Parigi ingoia il rospo. La stessa idea di costruire un'alternativa europea alla Boeing viene archiviata. La British Aerospace trova conferma della sua linea filo-americana. La Dasa, della Daimler Chrysler, cerca partner Oltre Atlantico e anche l'Alenia può sostenere di aver avuto ragione nel legarsi all'asse anglo-sassone. I francesi, di nuovo, si trovano soli.

E che dire dell'euro? Battezzato tra le fanfare europeiste, dopo quattro mesi è in caduta libera; le prospettive di un intervento terreste in Jugoslavia hanno indebolito ancor più una moneta fiaccata dalla stagnazione europea a fronte della quale c'è il boom infinito dell'economia americana. Ciò alimenta lo scetticismo degli operatori, spiega Jesper Dannesboe della Abn Amro. Solo il ministro delle Finanze francese continua a minimizzare, anzi Dominique Strauss-Kahn si mostra convinto che la parità dollaro-euro è corretta.

Il coinvolgimento americano nei Balcani è uno stato di necessità, come sostengono i pensatoi legati al partito democratico? O risponde a una nuova strategia imperiale che pone la sua frontiera proprio nell'Europa del sud est, come scrivono Jacob Heilbrunn e Michael Lind, due politologi conservatori? Amante del paradosso, Gianni De Michelis, il ministro degli Esteri italiano che non voleva la divisione della Jugoslavia, sostiene che gli Stati Uniti vogliono mantenere la loro presenza nell'area balcanica per limitare l'influenza slava (e quindi contenere la Russia) e offrire una sponda al mondo musulmano moderato. La Chase Manhattan è già la più grande banca della Romania e con Bucarest gli Usa hanno stretto dal '95 un accordo di difesa. L'Albania è ormai un campo militare. E la Bulgaria, l'anello ancora mancante, apre i suoi cieli e plaude al diluvio di bombe su Belgrado.

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail