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Un miscredente e Padre Pio
Tra i tanti commenti che diluviano sulla beatificazione di Padre Pio, non sarà questo nostro a far arrabbiare il fedele calato oggi su Roma, sfidando pericoli e rischi proprio come gli antichi pellegrini pronti ad ogni sacrificio pur di raggiungere la Terrasanta o Santiago de Compostela. Cosa volete che importino queste righe sperdute, alla donna o all'uomo che accorrerà a San Pietro per essere più vicino, in qualche modo, al mistero del divino, e soprattutto a quella speranza che la vita, nella sua sconfortante banalità, gli nega ostinatamente. Eppure è il commento di un fedele di altra religiosità, quella della ragione laica, sconcertata ancora oggi dall'enormità del fenomeno della fede, o di questa fede, nel miracolo.
La lotta tra la ragione (o una certa ragione) e questa fede è impari. Per ogni miracolo discusso e smontato, puntuale ne sboccia un altro: ci vuole poco a far lacrimare una madonna, o a veder raddrizzare le gambe a uno storpio. In condizioni ambientali anche difficilissime, cioè nel mezzo di quell'anticlericalismo ottocentesco che si illuse di poter liquidare i trucchi del miracolo di San Gennaro o della Sacra Sindone, Lourdes accolse una visione cui si sono inchinati troni, altari e perfino un grande poeta, americano per giunta, Robert Lowell (" Bernadette / che vide Nostra Signora in piedi nella grotta / a Massabielle - la vide con tale chiarezza / che la sua vista oscurò gli occhi della ragione "). Bisogna accettare il dato: piaccia o no, gli uomini sono sempre in attesa che, sotto una forma o un'altra, il sovrannaturale irrompa nel quotidiano, lo riscatti dal vuoto dell'assurdo, della mancanza di senso. Un Kierkegaard potrà esplorare fino alle vertigini il mito biblico per trarne indizi che gli spiegh
ino il mistero dell'esistenza e della sua dialettica, un Beckett potrà porre sulla scena i suoi eroi nichilistici nell'attesa senza fine di un Godot che non apparirà. Ma non possiamo pretendere che queste risposte siano accettabili per i milioni o i miliardi di uomini che si pongono le stesse domande del filosofo e del drammaturgo. Quando un povero frate cappuccino offre loro il profumo delle sue misteriore ferite, hanno pienamente ragione di prostrarsi in adorazione: altri, cui è stato negato quell'olezzo, lo cercherà nei fumi dell'oppio o della canapa; altri nello stordimento dell'alcool, del rap del sabato sera; altri ancora, deluso dell'impossibilità di raggiungere il sovrannaturale, arriverà a scaricare i pallettoni del suo fucile addosso al primo venuto, ai compagni di scuola, alla moglie o ai figli.
Del resto, una società in cui l'evento mediatico, con i suoi vanesi sacerdoti e santi, produce a getto continuo il rovesciamento del reale e la sua sovrapposizione con l'irreale (o il virtuale) perché dovremmo scandalizzarci se un milione di persone accorrono a Roma attratte dal santo dei miracoli umili? Dovremmo invece scandalizzarci - e ve ne sarebbe ragione - del fatto che la supertecnologia laica, la civiltà mediatica, non solo non ha fornito gli antidoti atti a debellare quello che l'ottocento razionalista, appunto, definiva l'imbroglio religioso, ma lo asseconda e lo amplia servilmente. Il "credo quia absurdum" di Tertulliano (ci pare) potrebbe anzi divenire il motto fondante della società tecnologicamente avanzata. Il grandioso detto di Tertulliano si è fatto oggi tremendamente banale. Può essere perfettamente applicato a un qualunque mostro mediatico, da Batman a Godzilla. L'epifania dell'impossibile, di ciò che è oltre i sensi, ci viene offerto ad ogni momento dai mille gadget che ci circondano e
ci opprimono, e che più laici non potrebbero, strutturalmente, essere. Purtroppo, se è vero che la parola, come dice Heidegger, è la sede, la "casa dell'essere", può essere anche lo strumento, il mezzo, del suo offuscamento, della sua scomparsa.
Si dirà che il culto di Padre Pio, del miracolo, è un antidoto a questi altri culti, o ai miti e alle illusioni di una qualsiasi new age. Su questo ci permettiamo di avere i nostri dubbi. E non perché le stimmate di padre Pio non presentino diversità evidenti rispetto alle smorfie di un Godzilla televisivo, ma perché sono usate oggi - come del resto sempre lo furono - con metodi e per obiettivi che appaiono molto simili, e anzi tali da sovrapporsi perfettamente, ad un qualunque rito televisivo o mediatico. Dunque, non sarà nemmeno Padre Pio a definitivamente chiudere la partita del mistero dell'esistere, dell'essere-gettati-nel-mondo, su cui si tormenta, o per cui grida la sua disperazione, il pessimista radicale. Non si esorcizza Leopardi con una bottiglietta di acqua benedetta (né con i programmi di Piero Angela).
Ovviamente, in queste giornate di passione romana, noi resteremo chiusi in casa, a rileggere Leopardi. Siamo, in questo, incalliti miscredenti, o meglio siamo credenti irriducibili nel mistero della verità che, tra miracoli e TV, si cerca di ignorare e anche di sbeffeggiare. Neppure, però, scapperemo via da Roma, come il supercredente sindaco Rutelli ci ha esortato a fare. Sfideremo serenamente il dramma logistico e urbanistico di una capitale alla quale nessun Padre Pio farà mai il miracolo di una decente vivibilità. Offriremo anche noi, come altri milioni di romani, questo fioretto. Sarà la nostra buona azione di questi giorni. Chissà che non ci apra le porte del perdono, della grazia, del paradiso. Un miracolo di Padre Pio.
Angiolo Bandinelli
Da "L'Opinione", 1 maggio 1999