Lo aveva annunciato Romano Prodi, nella sessione del PE di Aprile, poco dopo che il Consiglio, il giorno successivo allÆinizio dei bombardamenti NATO in Yugoslavia, lo aveva designato come Presidente della futura Commissione Europea: lÆattenzione e lÆazione dellÆUnione Europea per i prossimi mesi deve concentrarsi sulla realizzazione di un Patto di Stabilitß, che garantisca ai paesi del Sud-Est europeo, oltre alla pace, uno sviluppo politico, democratico ed economico. Ed stato effettivamente cosø: da un lato il Consiglio, dallÆaltro la Commissione attuale ed il presidente di quella futura ed infine il Parlamento Europeo, nella sua ultima risoluzione sulla crisi del Kossovo, hanno posto questo tema, quello del Patto di Stabilitß, al centro della politica dellÆUnione verso i Balcani.I primi, in un certo senso, a muoversi concretamente sono stati gli uomini della Commissione dimissionaria di Jaques Santer, ed in particolare il commissario Van Der Brook, che, insieme a Bonino, riuscito ad ottenere dal Consiglio, lÆorgano che riunisce i ministri degli stati membri, 250 milioni di Euro (500 miliardi di lire), di cui 100 milioni destinati come aiuti economici urgenti ai paesi che tuttora ospitano i deportati di Milosevic, e cio Albania, Macedonia, Montenegro e Bosnia.
Certamente non si trattava e non si tratta di un piano programmato ed organico, tuttavia stata la prima risposta concreta che lÆUnione stata in grado di dare.
Successivamente, il 27 aprile, in una riunione tenutasi a Washington, copresieduta da Fondo Monetario Internazionale e Banca mondiale, si chiese alla stessa Banca Mondiale e alla Commissione Europea di coordinare i principali donatori nella mobilitazione delle risorse e degli strumenti economici e finanziari per la ricostruzione del Kossovo e dellÆintera Repubblica Federale di Yugoslavia.
Il passo successivo, invece, lo ha compiuto il presidente designato della Commissione: Prodi, alla fine del mese di Aprile, dopo un ristrettissimo seminario tenutosi presso il Centro di studi di politica europea di Bruxelles, present una bozza di progetto di piano per i Balcani, che prendeva proprio il suo nome: e non solo perch anche lui ci aveva lavorato, ma perch il inglese significava Plan for Reconstruction, Openess, Development, Integration. Il piano Prodi si articolava sostanzialmente in 5 punti:
innanzitutto lÆinclusione dei 5 paesi colpiti dalla crisi del Kossovo, Albania, Croazia, Macedonia, Montenegro e Bosnia, nello spazio economico europeo, lÆarea di libero scambio europea, senza escludere a lungo termine lÆadesione allÆUnione stessa;
quindi lÆinclusione nellÆarea monetaria dellÆeuro degli stessi paesi, senza escluderne lÆeuropeizzazione;
poi lÆinclusione nel pilastro europeo della giustizia e degli affari interni, con consulenze e fornitura di supporti militari e polizieschi;
ancora la stima dei costi del piano a 5 miliardi di euro (10 mila miliardi di lire);
infine nessun contributo al bilancio UE, fino allÆingresso a pieno titolo nellÆUE da parte dei cinque paesi.
Un piano un poÆ vago e che aveva lasciato un poÆ freddi gli interlocutori istituzionali dello stesso Prodi.
LÆ11 maggio la Commissione dava la notizia di aver firmato con la Banca Mondiale un accordo per mettere in opera il coordinamento richiesto a Washington. Il meccanismo di coordinamento si fonda su 4 principi: quello di prendere in considerazione pienamente la dimensione regionale; quello di mettere in piedi una struttura leggera ed efficace; quello di migliorare la cooperazione fra i paesi della regione dei Balcani; quello infine di assicurare dei legami efficaci e diretti fra il coordinamento politico ed economico. Le quattro missioni principali di questa task force leggera sono: la mobilitazione dei donatori, attraverso conferenze ad alto livello; lÆanalisi economica, lÆidentificazione e la stima dei bisogni, la definizione delle strategie e delle prioritß, e la valutazione dellÆavanzamento dei lavori; le condizioni agli aiuti, per vegliare alla coerenza dei criteri sulla base dei quali le risorse saranno investite; infine la messa in opera della ricostruzione.
La task force attualmente in funzione ed coordinata dal commissario DeSilguy e da Wolfensohn per la Banca Mondiale.
Lunedø 17 Maggio stata, invece, la volta del Consiglio dellÆUnione, con lÆannuncio della presentazione di un progetto di Patto di Stabilitß da sottoporre ai paesi dellÆEuropa sud-orientale, alla Russia ed agli Stati Uniti alle prime riunioni di lavoro del 20 e del 27 maggio.
La conferenza per il Patto di Stabilitß dovrebbe essere presieduta dall'Unione europea e dovrebbe veder partecipare oltre agli Stati dell'Unione, l'albania, la bosnia, la bulgaria, la croazia, la Macedonia, l'ungheria, la romania, la slovenia, la turchia, la russia , gli Stati Uniti, il canada ed il giapppone, mentre il Montenegro stato invitato a partecipare in qualitß di osservatore.
La repubblica serba invece verrebbe invitata a raggiungere gli altri paesi nel Patto di stabilitß, una volta accettate le condizioni poste dalla Comunitß internazionale.
Che cosa contiene questo progetto di patto di stabilitß:
Innanzitutto il ruolo dell'unione, che dovrebbe essere quello di dare e garantire ai balcani un ancoraggio fermo all'europa, un ancoraggio che si fondi su uno sviluppo della democrazia, delle riforme economiche e su obbiettivi di sicurezza. La prospettiva a lungo termine dovrebbe essere quella di una piena integrazione di questi paesi nelle strutture dell'Unione. Questo dovrebbe avvenire attraverso l'istituzione di un nuovo tipo di accordo, che prenda in considerazione la situazione indivisuale di ciascun paese, con la prospettiva di divenire membro dell'Unione Europea, sulle basi del trattato di Amsterdam e una volta che i criteri di Copenaghen, il cosidetto aquis comunitario, siano stati raggiunti.
I mezzi con i quali raggiungere questi obbiettivi dovrebbero essere la cooperazione bi e multilaterale, l'istituzione di una serie di tavoli di lavoro su democrazia, diritti umani, riforme economiche, ricustruzione e sicurezza interna, accompagnati da una serie di aiuti economici e di conoscenze, di kwon How, che dovrebbe fornire l'unione europea con gli altri paesi occidentali.
Un Patto di Stabilitß giudicato da Tom Spencer, presidente della commissione esteri del Parlamento Europeo, un lavoro apprezzabile, ma che assomiglia molto ad una tavola di ristorante, dove tutti hanno un buon posto: e nei fatti cosø visto che i meccanismi previsti coinvolgono tutte le parti alle cosiddette tavole di lavoro. Ci sono altre allÆUE, ed a tutti gli Stati precedentemente citati, anche lÆOCSE, lÆONU, lÆUNHCR, il Consiglio dÆEuropa, il Fondo Monetario Internazionale, la Banca Mondiale, la Bers e la Banca europea per gli investimenti, lÆOECD, e non ultimi le organizzazioni militari della NATO e dellÆUnione Europea Occidentale.
Insomma molti bei principi genrali, molti meccanismi di funzionamento, molte procedure, ma pochi contenuti concreti.
Infine ecco di nuovo riproporsi il presidente della futura commissione, con i fidati consiglieri del CEPS, il giß citato Centro di Studi di politica europea, che Mercoledø 19 maggio ha organizzato una conferenza, presieduta da Prodi, per presentare un nuovo e pi· approfondito Piano Prodi (non dimentichiamoci dellÆacronimo) e per dibattere di un sistema per lÆEuropa Sud-orientale del dopo guerra.
Innanzitutto il piano:
non potendo far aderire immediatamente molti piccoli stati, specialmente senza che essi abbiano assorbito la normativa comunitaria, per contribuire concretamente a stabilizzare la situazione nei balcani, lÆUnione dovrebbe trovare una formula nuova, che dia un sentimento effettivo di inclusione immediata nellÆUnione Europea, e non una vaga prospettiva di diventare membro a pieno titolo ad una scadenza a lungo termine. Si dovrebbedunque istituire una nuova categoria di associazione, detta di membro associato per lÆAlbania, la Bosnia, la Croazia, la Macedonia e la Repubblica Federale Yugoslava, una volta che questÆultima abbia accettato le condizioni della Comunitß internazionale e che Milosevic sia stato rimpiazzato. I negoziati per avviare questa nuova categoria di associazione dovrebbero iniziare il 1 gennaio del 2000. Gli strumenti da adottare dovrebbero essere lÆarea di libero scambio, lÆaggancio allÆeuro delle monete locali, lo sviluppo della democraziae dellÆeducazione, lÆaiuto e la cooperazione europea
sul piano della sicurezza interna e militare, lÆintegrazione nelle istituzioni europee.
La strategia dovrebbe quindi allargarsi, con modi e forme diverse, alla Russia, allÆUcraina ed alla Turchia.
In sostanza il piano prevede la creazione di unÆarea economica unica, area che di libero scambio, quindi unione doganale e singolo mercato; la creazione di unÆarea monetaria unica, con la prospettiva di una euroizzazione; la creazione di unÆarea europea di libertß, sicurezza e giustizia, che comunitarizzi le politiche di immigrazione e asilo, polizia, dogane e sicurezza e la cooperazione giudiziaria; infine la creazione di unÆarea europea di sicurezza militare.
Le prioritß del piano Prodi, quelle che potranno avviare il processo di europeizzazione dei balcani, rimangono quelle della ricostruzione, in primo luogo delle infrastrutture e dello sviluppo democratico, civile, dei diritti umani e dello stato di diritto secondo i valori europei e occidentali.
Il costo annuale per il bilancio dellÆUnione, rimmarrebbe confermato in 5 miliardi di euro (10 miliardi di lire), mentre i costi stimati per la ricostruzione dellÆarea allo stato attuale delle cose sono di 25 miliardi di euro (50 mila miliardi di lire).
Sul Piano Prodi e sul sistema per i paesi dellÆEuropa Sud-orientale si quindi sviluppato un dibattito, che ha visto partecipare oltre allo stesso Prodi, Carl Bildt, negoziatore delle Nazioni Unite per il Kossovo, Tom Spencer, Emma Bonino e Brian Unwin, presidente della Banca Europea per gli Investimenti.
Romano Prodi ha affermato che la Commissione, essendo il motore dellÆUnione Europea, deveimpegnarsi nel preparare qualcosa per il dopo pace, per ricostruire i balcani. ôNon ci sono alternative a questoö, ha detto Prodi. E ancora ôBisogna discutere di grandi idee, questo il metodo, quello di conferenze come quelle oragnizzate dalla CEPS, e le grandi ideeö ha continuato ôdevono essere trasformate in azione. Questo il compito di una istituzione politica come la commissioneö ha detto ôper la quale mi sono impegnato ad offrire il supporto completoö.
Carl Bildt si invece soffermato pi· attentamente e concretamente sulle prospettive dellÆarea dei balcani. ôSolo con lo sviluppo di una politica a lungo termine possiamo cominciare ad avere delle possibilitß di una prospettiva di pace e stabilitß nella regione. Il multilateralismoö ha detto ô la chiave dello sviluppo della regioneö.
Bildt ha indicato quattro fronti sui quali lavorare:
1 lavorare sui principi del G8, per farli diventare la piattaforma comune di Stati Uniti, Unione Europea e Russia;
2 instaurare meccanismi per avere contatti pi· stretti con i paesi della regione pi· coinvolto;
3 essere certi di avere gli strumenti per instaurare la pace. ôDobbiamo essere capaciö ha detto ôdi instaurare la pace, che pu essere meccanicamente pi· complesso che fare la guerraö;
4 fronte sul quale lavorare secondo Bildt quello di sviluppare la prospettiva a lungo termine per tutta lÆarea.
Tre devono essere secondo Bildt gli obbiettivi immediati:
quello della sicurezza militare della regione, con una forza multilaterale sul posto e la garanzia della frontiere internazionali. A questo deve accompagnarsi un disarmo generalizzato dellÆarea, ôanche perch ö ha affermato Bildt ônon si pu rilanciare lÆeconomia se le spese per le armi corrispondono al 40% del budget pubblico di quei paesiö;
il secondo obbiettivo quello economico della ricostruzione, attraverso una apposita Agenzia della ricostruzione, e, a lungo termine, lÆintegrazione econommica europea. ôLa ricostruzioneö ha affermato Bildt ô necessaria in quanto la Yugoslavia in questi due mesi, da primo paese della regione, retrocessa di almeno 10-15 anni. LÆintegrazioneö ha continuato ôperch solo con le regole di mercato e legali europee si pu diminuire lÆillegalitß e le conseguenti distorsioni di mercatoö. Bildt ha poi ricordato la necessitß di concentrare la ricostruzione sulle infrastrutture, perch la serbia si trova al centro dei balcani e della loro economia. ôLÆunione dei Balcaniö ha affermato ô impossibile senza la ricostruzione della Serbiaö;
infine il terzo obbiettivo quello dellÆintegrazione politica europea. ôSe il motto degli anni 90 stato una Moneta unÆeconomiaö ha affermato Bildt ôoggi deve divenire unÆEuropa una Pace. EÆ importanteö ha concluso ôche lÆEuropa non si pongo solo obbiettivi interni, ma anche e come prioritari, quelli interniö.
Nel dibattito quindi intervenuta brevemente Emma Bonino, commissaria europea agli aiuti umanitari, che ha cercato di porre lÆattenzione su un problema pi· attuale e urgente. ôAnche se si sta discutendo di prospettive a medio-lungo termineö ha detto Bonino ôil problema umanitario rimane centrale. Non pensateö ha continuato ôche lÆaspetto umanitario sparisca. La Bosnia ci insegna che non cosøö. La commissaria ha sottolineato i problemi legati al rientro dei deportati nel loro paese e nelle loro case, che probabilmente non esistono pi· o sono distrutte. A questo va evidentemente aggiunto il fatto che si sta avvicinando lÆinverno, in condizioni che rischiano di diventare ancora pi· drammatiche di quelle che sono ora.
Quindi ha ricordato lÆurgenza, che deve divenire prioritß dÆazione delle persone deportate che si trovano allÆinterno del Kossovo. ôQueste persone vanno trovateö ha detto Bonino ôvanno aiutate, bisogna provvedere a loro per lÆinverno allÆinterno del Kossovoö.
Infine intervenuto il presidente della BEI, la Banca Europea per gli investimenti, che ha stimato i costi della ricostruzione in 25 miliardi di Euro (50 miliardi di lire), ed ha garantito che la BEI pronta a pagare una parte consistente per la ricostruzione.
Tra Piani Prodi, Patti di stabilitß e azioni concrete, mi sembrano essere tre le questioni che ora come ora si pongono:
Innanzitutto la confusione e la mancanza di coordinamento fra le varie iniziative. Apparentemente lÆunica iniziativa, sul piano della ricostruzione e su quello umanitario efficace e concreta, oltre che coordinata, quella della Commissione di Santer con la banca mondiale. Ed un paradosso se si considera che il collegio dimissionario, con poteri di ordinaria amministrazione e quindi non in grado di assumere nuove iniziative.
La seconda questione quella sollevata da Emma Bonino durante lÆultimo incontro tenutosi al CEPS. E cio il fatto che a forza di parlare di Patto di Stabilitß si corre e si sta correndo il rischio di dimenticarsi di un aspetto che oggi come oggi molto pi· urgente: la tragedia umanitaria.
Proprio di questo Bonino e Agata, lÆalto commissario per i rifugiati delle nazioni unite, hanno discusso in un incontro patrocinato da Echo e dallÆUNHCR.
Agata ha innanzitutto aggiornato il conteggio dei depportati fuori dal Kossovo, portandolo a 900.000. Ha quindi posto una serie di principi che secondo lei devono essere rispettati rispetto al problema dei rifugiati, e cio il rispetto e la garanzia del diritto di asilo, lÆarmonizzazione delle legislazioni europee sulla materia, lÆaiuto ai paesi che sono disposti ad accogliere i rifugiati ed il sostegno allÆaiuto non unilaterale, ma multilaterale. LÆalto commissario per i rifugiati ha sottolineato la sua preoccupazione per lÆassistenza unilaterale, promossa ed eseguita a livello di singoli paesi, perch poco coordinata ed incapace di avere una visione globale del problema.
Emma Bonino intervenuta sottolineando il fatto che le critiche allÆumanitario sono spesso infondate, in quanto la situazione stabile e sottocontrollo, e che se le cose non sono perfette una parte importante di responnsabilitß da attribuirsi a chi, il Consiglio e il PE per essere chiari, ha deciso procedure complesse e su standard europei per lÆallocazione delle risorse finora stanziate.
Ma ascoltiamo quello che ha detto ai nostri microfoni su questo e sulla possibilie immunitß concessa a Milosevic in cambio della pace.
Ritornando al piano Prodi e ai patti di stabilitß, la terza questione che si pone rispetto ad essi quella del ruolo di Milosevic in tutto questo, e per questo intendo la ricostruzione: oggi come oggi molti paesi sembrano essere determinati a premere fino alla sua destituzione democratica; altri sembrano, per varie ragioni, ritenere che Milosevic rimarrß lÆinterlocutore anche dopo la fine della guerra in Kossovo. E questo sembra essere confermato da quella che la posizione internazionale dominante su chi firmerß la pace, e cio lo stesso Milosevic. Ora, per quanto il patto di stabilitß da un lato e i piani di ricostruzione dallÆaltro, pongano come condizione alla Serbia, quella di accettare le condizioni della Comunitß Internazionale, non assolutamente chiaro se la destituzione di Milosevic e lÆinstaurazione della democrazia rientrino o meno in queste condizioni. La conseguenza evidentemente che se Milosevic non venisse destituito, si troverebbe a gestire centinaia di milioni di euro di aiuti alla ric
ostruzione. Milosevic, il dittatore serbo, colui il quale oggi rappresenta il bersaglio della comunitß internazionale, si vedrebbe attribuire, per il biasis della banca centrale serba, delle esorbitanti somme provenienti proprio dalla Comunitß Internazionale. E chissß che non miri proprio a questo, con la sua strategia di una guerra di lungo corso, non difensiva e dagli alti costi infrastrutturali. In fondo alcuni degli obbiettivi che storicamente si era posto li ha raggiunti: la destabilizzazione dellÆintera regione, attraverso le bombe umane e umanitarie lanciate verso la Macedonia, lÆAlbania e il Montenegro; lo svuotamento della provincia del Kossovo, che gli permetterß, se le cose rimangono come ora, oltre che di ripopolarlo di serbi, di poter attingere liberamente alle ingenti risorse minerarie che si concentrano nella zona nord-occidentale della provincia. Forse riuscirß, secondo i timori che circolano da alcuni giorni, a riconquistare politicamente, oltre che territorialmente il Montenegro. Ed ecco, c
ome ciliegina sulla torta, si fa per dire, i miliardi della ricostruzione della comunitß internazionale da gestire e magari intascare senza troppe difficoltß.
Concludendo non si pu nemmeno dimenticare quello che un dato di fatto, e cio che il patto di stabilitß, il piano Prodi, le iniziative di sostegno, o forse di attenzione, le possibili strategie da parte dellÆUnione Europea per i Balcani, giungono con almeno 10 anni di ritardo e come ultima ratio ad un dramma che di fatto giunto (almeno mi auguro) al suo ultimo stadio. Ed anche un dato di fatto che fin dal 1984 ed successivamente con sempre maggior vigore i radicali italiani e transnazionali hanno gridato, hanno denunciato la mancanza di strategia coordinata da parte della Comunitß Europea e dei singoli stati europei nei confronti della ex-Jugoslavia e dei paesi di tutti i Balcani. Ancora una volta, allora come oggi non furono ascoltati.