Ho incriminato degli assassini, non sono una pedina degli Usa
di Edoardo Vigna
Corriere della Sera, 29 maggio 1999
L'AJA - Io burattina degli americani? Burattini saranno quelli che mi accusano. Nel suo ufficio dall'arredo spartano nel Tribunale penale internazionale per i crimini nell'ex Jugoslavia, all'Aja, tutto è calmo: neppure i quattro telefoni accennano a squillare. Poche ore fa il procuratore Louise Arbour, 51 anni, canadese, ha messo in subbuglio il mondo, incriminando, per la prima volta nella storia moderna, un capo di Stato in carica: Slobodan Milosevic. Che da Belgrado ha risposto con un comunicato d'insulti: quella donna è solo una marionetta. Un commento che la dice lunga su come ragionano quelle persone. Dice che loro, al mio posto, si comporterebbero proprio come burattini. Ecco perché io sono qui, e loro no. Si ferma, punta il dito - mostrando uno smalto color lilla sulle unghie - poi aggiunge quasi solenne: Perché io non sono come loro.
Ma incriminare Milosevic era davvero necessario?
Sì, di fronte all'enormità dei crimini che possono essere direttamente attribuiti al suo reale controllo della Jugoslavia, che va ben oltre il suo incarico ufficiale, non si poteva fare diversamente. La cosa importante è stata di riuscire a incriminarlo non tanto come "vertice" della catena di comando - sarebbe stato più semplice per noi - ma per le sue personali responsabilità in ciò che accade in Kosovo. E senza aspettare 10 anni: siamo riusciti a trovare le prove, e ci siamo mossi.
Ma quali prove possono mai accusarlo sul piano personale? Non voglio mostrare a Milosevic le mie carte prima del processo. Una cosa, però, posso dirla: deportazioni e crimini che hanno le dimensioni e la visibilità di quelli registrati in Kosovo già di per sé basterebbero a dimostrare le sue colpe. Qualsiasi Corte non potrebbe che arrivare alla conclusione che operazioni massicce e prolungate che coinvolgono virtualmente tutto l'esercito e la polizia di Belgrado non possono che essere state ordinate dal capo dello Stato. Come minimo, anche senza tutto il resto, queste "prove circostanziali" sarebbero sufficienti.
Una massa di orrori: paragonabili a quelli della Bosnia, che vanno in scena ogni giorno proprio in questo Tribunale?
In Kosovo c'è una tale quantità di storie di orrori che non può essere liquidata come "propaganda". In più, le testimonianze di persone lontane una dall'altra concordano a tal punto che non c'è ragione di credere che si siano potuti mettere d'accordo. Detto questo, però, è ancora presto per paragonarlo alla Bosnia. Per esempio, non abbiamo ancora abbastanza prove dell'esistenza qui di campi di concentramento. Ma in Kosovo siamo solo al Capitolo Primo delle indagini.
E' vero, come qualcuno sostiene, che lei ha chiesto ora l'arresto di Milosevic perché sarebbe sul punto di lasciare il suo incarico?
Questo non c'entra: sul mio futuro altrove (si parla di un imminente ritorno in Canada, alla Corte Suprema, ndr), non ho nulla da dichiarare. Anche se fosse, però, non renderebbe l'accusa meno valida. No, se ho deciso in questo momento è perché, tirando le somme delle prove, l'incriminazione c'era tutta. E per altre due ragioni: nella speranza - magari debole - di fermare nuovi crimini. E, soprattutto, per impedire a questi criminali di fuggire.
Era un pericolo reale?
Non avevo paura prima, né ne ho oggi, che potesse essere garantita una sorta di immunità, di amnistia per Milosevic e i suoi quattro collaboratori. Ma ho sempre creduto che, una volta che la fine del conflitto fosse stata trovata, avrebbe dovuto contenere una "vantaggiosa" partenza per qualcuno di loro.
E oggi, dopo il mandato d'arresto che obbliga tutti e 185 i Paesi dell'Onu più la Svizzera a catturare Milosevic, il presidente serbo Milutinovic e gli altri, sarebbe più possibile una loro fuga?
Sì, certo, ma a un prezzo pesante per chi dovesse dargli asilo. Il Tribunale dell'Aja è stato creato dalle Nazioni Unite, i suoi ordini prendono forza da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Se fossero scappati all'estero prima dell'incriminazione, chi li avesse ospitati avrebbe potuto dire: ormai sono qui, non possiamo darveli. Ma oggi diventerebbe un Paese "inadempiente" delle disposizioni Onu con tutte le conseguenze.
L'incriminazione di un capo di Stato cosa cambierà in futuro?
Questo mandato è parte di un movimento più grande - in atto da qualche anno - che si propone di mettere fine all'impunità di quei capi di Stato che hanno "dirottato" la sovranità del loro Paese, appropriandosene. Ciò che abbiamo in molti casi, come quello di Pinochet, di questo Tribunale, di quello gemello per i massacri del Ruanda, ciò che si avrà con la Corte internazionale penale, non è un'usurpazione della sovranità popolare, ma una sconfitta degli abusi dei potenti.
Già, ma se un giorno qualcuno dovesse dirle: eravamo vicini alla pace che avrebbe salvato molte vite e lei con quella incriminazione ha messo tutto a rischio, come risponderebbe?
Che il punto vero è un altro. La Comunità internazionale è diventata più ambiziosa, nell'ultimo decennio. Non vuole più la pace a ogni costo, ma pace con giustizia. Certo, nel breve termine è possibile che questo atto provochi un passo indietro nella mediazione. Ma è un investimento per una pace migliore e più duratura. Quando arriverà.