"NIENTE SOLDI ALLA CINA CHE COLONIZZA IL TIBET"
No Usa al prestito della Banca mondiale
di Franco Pantarelli
La Stampa, 31 maggio 1999
Un altro fronte si sta per aprire nel contenzioso ormai infinito fra Stati Uniti e Cina. La sede dello scontro questa volta è la Banca Mondiale e l'oggetto è un prestito di 160 milioni di dollari che Pechino ha chiesto per finanziare la "emigrazione interna" di 60 mila contadini cinesi. Loro attualmente vivono nella parte occidentale del Qinghai, in un territorio collinare eroso dalle alluvioni, e il governo ha pensato bene di trasferirli circa 300 miglia più a Ovest, dove la terra è più fertile. In teoria il progetto rientra perfettamente in uno degli scopi della Banca Mondiale: quello di alleviare la povertà delle zone rurali remote. Ma c'è un particolare: la zona in cui quei 60 mila contadini dovrebbero trasferirsi è stata per secoli abitata da tibetani e mongoli, è stata formalmente designata come loro "regione autonoma" ed è anche il luogo in cui il Dalai Lama, la guida spirituale dei tibetani, è nato. In pratica, il trasferimento dei nuovi coloni cinesi finirebbe per alterare la "composizione etnica" d
ella regione. Si può consentire alla Cina, già colpevole di essersi annessa il Tibet nel 1959, di compiere questa operazione con i soldi della Banca Mondiale?
La decisione sarà sul tavolo del consiglio della Banca fra qualche giorno e Washington non ha ancora deciso che istruzioni dare al suo rappresentante. Ma poco prima di dimettersi dal suo incarico il segretario al Tesoro Robert Rubin ha detto di essere "enormemente preoccupato" per le conseguenze di quel progetto e di essere decisamente "incline al no". Secondo John Ackerly, dell'International Campaign for Tibet, "Il piano rientra chiaramente nella politica cinese di porre fine all'esistenza dei tibetani come membri di un popolo e di una cultura distinti". Per Ackerly l'operazione è la premessa per intraprendere lo sfruttamento delle risorse minerarie della regione, il che finirà per incoraggiare un ulteriore flusso di non tibetani. Del resto lo statuto della Banca Mondiale afferma esplicitamente che le minoranze etniche "non devono essere danneggiate dai progetti finanziati" e che se questo avviene devono essere "compenssate con benefici sociali ed economici culturalmente compatibili". Eppure finora la Banca
ha sostenuto il progetto. Un suo documento della settimana scorsa dice che il piano fa parte dello sforzo cinese di ridurre la povertà e ricorda che i contadini destinati al trasferimento sono "fra i più poveri del mondo", con un reddito annuo di circa 60 dollari. Resta da vedere se anche gli Stati Uniti saranno disposti a sorvolare sul destino dei tibetani. Le parole di Rubin della sembravano escluderlo, ma non è chiaro come la pensi in proposito il suo successore.