<<... il governo italiano ha solidissime ragioni per sostenere la necessità di un piano Marshall che coinvolga anche la Serbia. La più importante riguarda proprio gli interessi italiani. Che in Serbia sono notevolissimi. L'elenco delle aziende con interessi oltre Adriatico è lungo: Lavazza, Diesel, Barilla e Benetton, solo per citare i marchi più noti. Discorso a parte va fatto per Telecom e Fiat: i due gruppi non hanno interessi in Serbia, sono essi stessi gran parte dell'economia serba. Non è un'esagerazione. L'azienda di Torino è sbarcata nella ex Jugoslavia alla fine degli anni '60. Il boom scoppia però negli anni '80 quando il gruppo torinese stringe accordi di collaborazione produttiva e commerciale con la Crvena Zastava (in italiano Bandiera Rossa). La Zastava è l'unica azienda automobilistica serba, è di fatto monopolista e le sue auto altro non sono che riadattamenti di vecchi modelli Fiat (da anni la quasi totalità del parco circolante è costituito da una specie di 128 a due volumi). Nel 1991, l'Iv
eco ha acquistato il 40 per cento della sezione veicoli commerciali della Zastava. Per capirci: l'industria dei trasporti jugoslava di fatto è un affare Fiat. Al punto che nel 1995, con un pizzico di strumentalismo, cinque deputati di Forza Italia accusarono l'allora ministro degli Esteri Susanna Agnelli di conflitto di interessi per la sua politica nei confronti della Serbia.
Il ruolo della Telecom, forse, è ancora più importante. Sia per ragioni politiche che economiche. Nel giugno 1997, l'allora Stet International, braccio internazionale dell'ex azienda pubblica italiana, acquistò il 49 per cento della Ptt, la società statale dei telefoni serbi. La cifra pagata fu di un miliardo e 57 milioni di Deutsche Mark (più di mille e 500 miliardi di lire). Da allora la Stet, insieme alla greca Ote (che rilevò il 20 per cento della Ptt), ha il monopolio dei telefoni serbo-montenegrini. Una posizione di assoluto potere su quel mercato ricco di 2 milioni di impianti fissi e 12 mila mobili. Frutto anche del formidabile aiuto in valuta pregiata offerto a Milosevic. Conviene rileggere quanto in quei giorni scriveva l'agenzia di stampa indipendente serba Beta (22 giugno 1997): <>. Vale la pena aggiungere che proprio in quei giorni la società serba era scossa da violente proteste: erano in sciopero medici, professori di scuola, lavoratori elettrici e pensionati. Motivo? L'indebitatissimo Stato non pagava più stipendi. Chiuso il contratto con la Stet International, nel settembre del 1997, un mese prima della privatizzazione della Telecom Italia, Slobo pagò gli arretrati, pacificò le categorie più arrabbiate e vinse le elezioni (anche se tra accuse di brogli), insediando il suo candidato, Milo Milutinovic, alla presidenza della Repubblica. Insomma la Telecom diede una mano.
(N.B. il maiuscolo successivo è mio, gm) UNA NOTAZIONE SI IMPONE: QUELL'OPERAZIONE, COME SI E' DETTO, FU PERFEZIONATA UN MESE PRIMA DELLA PRIVATIZZAZIONE DELLA TELECOM ITALIA. A RIGOR DI LOGICA, IL MANAGEMENT DI ALLORA - TOMASO TOMMASI AMMINISTRATORE DELEGATO CHE MATERIALMENTE FIRMO' IL CONTRATTO ED ERNESTO PASCALE, NON PIU' PRESIDENTE, MA ARTEFICE DELLE TRATTATIVE CHE PORTARONO ALLA FIRMA - TUTTO AVREBBE DOVUTO FARE TRANNE CHE UNA JOINT VENTURE CON UNA SOCIETA' STATALE SERBA. ANCHE PERCHE' LUCIO IZZO, ECONOMISTA NONCHE' MEMBRO DEL CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE TELECOM IN RAPPRESENTANZA DEL TESORO, ESPRESSE PARERE NEGATIVO: E A QUEI TEMPI IL TESORO ERA L'AZIONISTA DI MAGGIORANZA DELLA TELECOM. SI ARRIVO' AL SI' SU PRESSIONI POLITICHE. LE TRATTATIVE INIZIARONO DURANTE LA PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DI LAMBERTO DINI (SUSANNA AGNELLI MINISTRO DEGLI ESTERI), E SI CONCLUSERO SOTTO IL GOVERNO DI ROMANO PRODI, CON DINI MINISTRO DEGLI ESTERI.
Da quei giorni, le già intense relazioni economiche tra Italia e Serbia hanno avuto un'ulteriore accelerazione, fermata solo dai bombardamenti. I dati dell'Istituto per il commercio estero (Ice) sono interessanti: dal 1996 al 1997 gli scambi tra i due paesi hanno avuto una crescita del 37 per cento, nel 1998 la cifra ha raggiunto quota mille miliardi: molto se rapportato alla dimensione dell'economia serba che prima della guerra metteva insieme un reddito nazionale inferiore ai 15 mila miliardi di lire.
Ma le cifre macroeconomiche non danno la reale dimensione dell'intreccio tra i due sistemi produttivi. La Voivodina, l'ex regione autonoma della Serbia, è il paradiso dei terzisti per conto di imprese italiane. Le piccole aziende tessili e calzaturiere del nord est affidano moltissime lavorazioni alle fabbrichette intorno a Novi Sad: è un'economia in nero che fattura centinaia di miliardi. La svolta filo serba di Umberto Bossi, con l'invio di una delegazione a Belgrado, è figlia anche di questa globalizzazione serbo-padana.
Per D'Alema adesso il gioco si fa davvero difficile. L'Italia è il secondo partner commerciale della Serbia, dopo la Germania. L'Italia è il paese che ha sofferto i maggiori danni agli impianti di imprese nazionali in Serbia (la Zastava è stata quasi distrutta, le reti telefoniche non ne parliamo). L'Italia è il paese più vicino alla Serbia e al Montenegro. Da questo discende che l'Italia deve essere il paese che più beneficerà della ricostruzione post bellica. Già, ma come?
Serpicus, pseudonimo che nasconderebbe un alto grado militare italiano, ha dato la sua ricetta su "Limes": <>. Nessuno a Palazzo Chigi sottoscriverebbe un'analisi siffatta, ma il problema fa riflettere. D'Alema ha bisogno del consenso degli industriali che già pregustano un business della ricostruzione che vale almeno 60 mila miliardi di lire. Per il sistema economico italiano potrebbe essere il volano a cui appendere la ripresa. Come è sempre avvenuto nella storia, la ricostruzione postbellica fa bene agli sconfitti, ma fa benissimo ai vincitori. Se non è ancora lunga vita a Milosevic, poco ci manca.".Dal "Sole 24ore" del 29 giugno 1999:
<>.Il neo-sindaco di Padova, Giustina Destro, ha candidato la sua città ad essere il fulcro delle imprese impegnate nella ricostruzione di Serbia e Kosovo....