Di Angiolo Bandinelli(da "L'Opinione", del 6 luglio 1999 )
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Brutto schiaffo, per D'Alema: sarà Bernard Kouchner, il radicale francese, e non la radicale italiana Emma Bonino, il Rappresentante Speciale di Kofi Annan alla ricostruzione del Kossovo. Farà differenza? Kouchner è il fondatore di "Médecins sans frontières" ma sembra abbia scarsa esperienza amministrativa e, temiamo, ancor meno capacità "politica" rispetto al compito affidatogli: che dovrebbe essere, in primo luogo, un compito politico. Nel paese distrutto e sgretolato, la ricostruzione materiale non potrà non passare in seconda linea rispetto alla vera, e forse irrisolvibile priorità: la (ri)costruzione di una classe politica e dirigente almeno per un minimo autorevole ed efficiente.
L'Europa, e lo si capisce dalle nomine, sta giocando in Serbia e in Kossovo una partita con grossissimi margini, o pericoli, di equivoco. Francesi, tedeschi, olandesi e inglesi, oltre agli americani e a un neozelandese, hanno conquistato le poltrone di contorno. Non tutto è stato umanitario, in questa corsa al posto. Sarà interessante, e da subito, vedere di quanto si sovrapporranno ed entreranno in conflitto i poteri e le responsabilità di Kouchner con quelle di Bodo Hombach, nominato "coordinatore per l'Unione Europea del patto di Stabilità per i Balcani", un ruolo cruciale per il famoso "Piano Marshall" di cui si parla da tempo, che verrà ufficializzato nell'una o nell'altra delle Conferenze balcaniche in preparazione, e che farà da volano allo sviluppo dell'area. Hombach è tedesco, e terrà ben conto degli interessi economici e finanziari del suo paese già da tempo attrezzatosi, attraverso l'efficiente omologo del nostro IRI, a sfornare piani di intervento. Figurarsi se, attraverso Kouchner o in altro mo
do, la Francia non vorrà contrastare l'egemonia berlinese. Presa platealmente a calci, l'Italia cercherà comunque di ritagliarsi la sua fetta nella torta della ricostruzione: incaricato dalla Confindustria di coordinare i progetti italiani è nientemeno che l'ex Telecom Bernabè, cooptato dalla FIAT, sembra, per essere la punta di diamante della corsa italiana ai miliardi kossovari. Non è improbabile che i vari paesi paracaduteranno anche altri esperti, ciascuno con il suo patrono politico o economico, le sue priorità e i suoi interessi da difendere o far valere. Sarà istruttivo, anche se non divertente, seguire le mosse di questi personaggi nel loro reciproco intrecciarsi, negli intrighi, nelle lotte sotterranee, nelle manovre dei rispettivi servizi.
Bene, una cosa appare certa, nella sua scontata ma sempre brutale ovvietà: tra la folla di esperti, tecnici, qualificati professionisti internazionali, ecc., non uno è jugoslavo, serbo, kosovaro, rom, o di qualche etnia o passaporto che abbia a che vedere con le zone interessate. Tutti costoro avranno un bel daffare e si daranno da fare per distribuire, investire, far fruttare i miliardi a disposizione; ma di fronte a loro, dall'altra parte del tavolo, chi farà valere le ragioni dei soggetti-riceventi, che pure dovrebbero avere l'ultima parola? Ve lo immaginate un Rugova, con quel suo volto mesto e fragile, o un altro qualsiasi capobanda Uck, che si mette di traverso alle decisioni, non dico di un Kouchner, ma di un semplice Bernabé?
State tranquilli, la spartizione territoriale si farà. E si farà innanzitutto perché in questo modo si otterrà ancor meglio quel che tutti i generosi e interessati donatori vogliono: cioè impedire che, a discutere attorno a quei tavoli miliardari, ci sia una classe dirigente locale, un potere politico efficiente, valido, autorevole e rispettato. Mai più una Jugoslavia, titina o democratica che sia: solo piccoli e impotenti paesucoli, disposti o rassegnati ad accettare il bendidio in arrivo dall'Europa senza troppo sofisticare e sottilizzare. A volte, dinanzi a questa prospettiva che ci auguriamo solo sia troppo pessimistica, ci troviamo a dire "meglio Milosevic". Almeno, lui, una parvenza di autorevolezza ce l'ha, sia pur conquistata massacrando gli oppositori. Gli altri, invece?
Un destino amaro tocca così ai brandelli di quello che Tito aveva costruito: uno Stato autorevole, capace di giocare una parte importante in politica estera e sullo scacchiere europeo. Sciocchi furono quei governi che non lo accolsero subito a Bruxelles e a Strasburgo, che tennero la Jugoslavia del dopo Tito fuori dei sacri confini dell'Europa carolingia e democristiana. Oggi, al suo posto c'è il miserevole vortice degli impotenti, intenti a sbranarsi a vicenda. E un analogo destino incombe su tutti i Balcani. Per l'infelice regione siamo di nuovo al 1878, al patto di spartizione delle sfere di influenza tra le Grandi Potenze. Russia, Germania, Francia, sono stati (e resteranno, con la "new entry" americana) gli arbitri delle vicende balcaniche. Fino alla seconda guerra mondiale, si era intrufolata anche l'Italia, l'Italietta appena unificata, con una iniziativa tutto sommato decorosa, la cui continuità attraverso i diversi regimi (fascismo incluso) è un esempio di coerenza strano nella sua politica estera,
su altri scacchieri piuttosto ondivaga. L'Italia puntava sull'Albania e poi sulla Croazia in funzione antislava, con qualche strappo durante la prima guerra mondiale, quando la Serbia si trovò sulla parte giusta, a fianco della Russia e della Francia. Poi, amicizia con l'Ungheria e con la Romania, come retaggio dell'eredità austorungarico-triestina, favorita e sviluppata sotto gli auspici delle grandi compagnie di assicurazione di Trieste e Venezia, assai forti in quelle regioni.
Oggi, quella politica estera continua ma con dimessi toni postdemocristiani. Il più eccitato è Dini, il quale ha trovato, nel rigoglio dei campi kosovari, le prove che gli aiuti dovranno privilegiare la Belgrado della Telekom e di Fiat. Insomma un brutto momento, per la martoriata regione. A una guerra condotta senza alcuna visione strategica, senza preparazione politica, senza preoccuparsi di individuare (e aiutare) interlocutori alternativi possibili, succede una ricostruzione che tutto sarà tranne che la rinascita delle entità nazionali, culturali, religiose, etniche per salvare le quali la guerra venne dichiarata. Annan dice che l'ONU dovrà restare nella regione almeno dieci anni. Ahimè, siamo sempre, grazie all'impotenza e all'ignavia dei democratici, alla "Quistione balcanica". Ci manca solo l'Orient Express, con il suo carico di spie, di delitti, di mito.