Da Il Giorno- La Nazione- Il Carlino, giovedì 9 settembre 1999
Di Iuri Maria Prado
Siamo in un altro mondo perché, con l'istituzione e l'attivazione dei tribunali internazionali, il diritto applicato ai criminali di guerra e ai responsabili di crimini contro l'umanità non è più il diritto "dei vincitori". Siamo in un altro mondo perché i delitti in Jugoslavia hanno ricevuto un nome: genocidio, pulizia etnica. E perché contro questi delitti si è apprestata una forza repressiva e giudicante. Ed ecco perché sono "diversi" i fatti di Timor Est, ecco perché non sono più uguali e non possono più finire "nel conto": perché massacrare duecentomila persone è genocidio, perché perseguitare e deportare i cattolici è pulizia etnica. Cosa che l'uomo ha sempre fatto. Ma cose che l'uomo non può più fare, oggi, come prima. Come se fosse il mondo di prima.
Timor Est è il banco di prova della possibile "effettività" del diritto di ingerenza armata. E' un diritto che non avrà modo di consolidarsi senza che i singoli Stati si sentano responsabili e titolari, prima, del "dovere" di ingerenza. Del dovere di intervenire anche con la forza per la prevenzione e repressione del crimine contro l'umanità, del genocidio, in attuazione e a effettiva realizzazione del "diritto" di ingerenza. Ed esercitare quel dovere è questione politica, di determinazione politica: una politica che ha in vista e come obiettivo il diritto. L'alternativa è invece il diritto insufficiente, l'assistere al nominale divieto del genocidio. Politica anche questa. La politica dell'inerzia, la politica del mondo "come era", la politica che condannerebbe la tragedia di Timor Est a essere "uguale" alle altre. E' una prova di "umiltà", quella che chiama gli Stati del mondo. L'umiltà di agire e intervenire con la forza non perché "si può", ma perché si deve.