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Manfredi Giulio - 21 settembre 1999
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(di Alain Touraine - "Sole 24ore" del 21/09/99)

"Più l'attenzione si concentra sulle violenze fra serbi e albanesi nel Kosovo e più il senso della guerra durata sei mesi tende a scomparire. La violenza contro i serbi è altrettanto condannabile di quella esercitata contro gli albanesi e l'idea della pulizia etnica deve essere sempre respinta con la stessa forza. Ma se ci si accontenta di questo ragionamento, ci si ritrova subito a dire che occorre condannare con la stessa determinazione le violenze che vengono da entrambi i gruppi.

Oggi, ancora più di ieri, questa interpretazione è tanto falsa quanto pericolosa. Il problema che si è presentato nel Kosovo, come si è posto prima in Bosnia, non è quello dei rapporti inter-etnici, ma quello degli effetti devastanti di una dittatura post-comunista che ha cercato di mobilitare la popolazione serba intorno a temi nazionalistici. Se il fine riconosciuto della guerra combattuta dalla Nato non è la caduta di Milosevic, questa guerra non ha nessuna giustificazione. Ma dopo che il dittatore ha dovuto inchinarsi, gli stessi serbi, come i dirigenti occidentali, o almeno alcuni di loro, hanno dichiarato a chiare lettere la loro volontà di cacciare Milosevic dal potere.

Qui riappare la logica dell'azione intrapresa e soprattutto si rivela falsa l'idea che i serbi facciano blocco con Milosevic per ragioni nazionalistiche. Quello che hanno sempre saputo coloro che conoscono Belgrado è che l'opinione pubblica serba è soprattutto preoccupata per l'integrazione del Paese in Europa. Il problema fondamentale non è quello dei rapporti fra albanesi e serbi nel Kosovo che, allo stato attuale delle cose, probabilmente si risolverà con l'eliminazione dei serbi; il problema è la caduta del dittatore di Belgrado. Solo questa permetterà di salvare i serbi del Kosovo. E' una delle ragioni per le quali occorre condannare le violenze conto i serbi, giacchè dietro atti di vendetta si intravede chiaramente una politica d'eliminazione, messa in atto dai gruppi militari dell'Uck che non sono più democratici di quanto lo fossero i commando serbi in Bosnia.

La comunità internazionale deve essere capace di proteggere i serbi e occorre affidare a Bernard Kouchner mezzi sufficienti per riuscirvi; ma la soluzione dei problemi che si pongono a Pristina passa per Belgrado. Sarà solo quando Milosevic avrà perso il potere che i nuovi dirigenti serbi potranno ottenere delle garanzie per i serbi che vogliono restare nel Kosovo, il che è assolutamente un loro diritto.

Una soluzione a Belgrado può essere fortemente incoraggiata dai Paesi occidentali, ma non può essere realizzata che dai serbi stessi. E come sappiamo dopo il fallimento delle manifestazioni contro Milosevic di qualche anno fa e la sorprendente riconciliazione di Draskovic col dittatore, è lì che si trovano i punti più deboli e di conseguenza è lì che vi sono i maggiori pericoli per giungere a tale eliminazione. Noi non possiamo essere utili se non indicando ai serbi che non c'è nessuna possibilità d'integrazione della Serbia nella vita internazionale finchè Milosevic resterà al potere. Abbiamo bisogno che numerosi Catone dicano, in tutte le lingue: <>.

Questo dovrebbe eliminare tutti i doppi giochi in cui è andata esaurendosi l'opposizione jugoslava. I nazionalisti serbi devono e possono capire che soltanto la democratizzazione del Paese potrà salvare la Serbia. Questo dovrebbe anche evitare la condanna collettiva del popolo serbo. E' falso e pericoloso opporre i "cattivi" serbi ai "buoni" albanesi, bosniaci o croati. Ma è sicuro che è stata la dittatura serba a creare una situazione che ha coinvolto l'intera regione da una parte nella violenza e dall'altra nell'onnipotenza delle mafie che hanno fatto del Montenegro, dell'Albania e di altri Paesi le basi per traffici internazionali invece che Stati nazionali....

.... Attualmente la questione più concreta è quindi: com'è possibile accelerare la caduta di Milosevic? La risposta è duplice. Da una parte occorre che i maggiori responsabili politici dei grandi Paesi occidentali dicano costantemente e chiaramente che non vogliono trattare con Milosevic e che fanno della sua estromissione una condizione irrinunciabile per fornire aiuti occidentali alla Serbia. D'altra parte, e questo è il punto più difficile e importante, occorre far pressione sull'opposizione democratica serba affinchè proponga una soluzione concreta che riunisca un forte appoggio popolare in suo favore. Se proseguiranno le divisioni all'interno dell'opposizione, Milosevic indirà delle elezioni che vincerà grazie alla dispersione dei suoi avversari.

E' possibile costruire un'unità dell'opposizione intorno a Vuk Draskovic, ieri vice-primo ministro dopo essere stato uno dei leader dell'opposizione, il quale ha partecipato con molta reticenza alla recente grande manifestazione di Belgrado? Anche se è una possibilità da non scartare del tutto, oltre a Zoran Djindjic e a Vesna Pesic, che hanno mantenuto un chiaro atteggiamento d'opposizione, occorre che emergano forze nuove e che i Paesi occidentali, che non hanno "pedine da muovere", facciano pressione sui democratici serbi affinchè prendano delle iniziative decisive. In altre parole, il tempo lavora a favore di Milosevic, occorre accelerare i movimenti che lo estrometteranno dal potere. Le questioni del Kosovo sono così esplosive e la violenza quotidiana è così minacciosa che rischiamo di perdere di vista la logica della situazione e di trascurare la lotta contro Milosevic. Invece occorre riaffermare questa priorità e mantenere una posizione di fermezza assoluta contro il dittatore la cui presenza scatena

da dieci anni la violenza in tutta la regione.".

 
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