CINA: IL REGIME DI PECHINO E' ALLA DERIVA =
FONTI OCCIDENTALI E CINESI, MANCA UNA VISIONE PER IL FUTURO
Pechino, 28 ott. (Adnkronos) - La Cina e' alla deriva: il
periodo di ''euforia'' in cui Pechino sembrava pronta a risolvere
la questione del Tibet e di Taiwan e a velocizzare il corso delle
riforme politiche ed economiche e' finito. Analisti cinesi e
occidentali concordano nel ritenere che si sia passati a una fase
quasi di immobilismo, in cui il governo sembra essere incapace di
affrontare tutte le questioni piu' urgenti, dalla disoccupazione ai
disordini sociali all'ingresso nell'Organizzazione mondiale per il
commercio (Wto).
''Stiamo assistendo alla burocratizzazione della leadership
cinese. Non c'e' gente come Mao Zedong e come Deng Xiaoping, ma gente
che ha passato 25 anni arrampicandosi sugli specchi e timbrando il
cartellino...Non esiste una visione per il futuro'', denuncia un
diplomatico occidentale citato dal ''Washington Post'', secondo cui
se la Cina non riuscira' ad entrare nel Wto verranno ulteriormente
compromessi i gia' non facili rapporti con gli Stati Uniti e anche il
processo di riforme economiche subira' un duro colpo.
Scrive il quotidiano americano che il governo di Zhu Rongji si
e' arenato su piu' problemi, di carattere interno e di carattere
internazionale: innanzitutto, mentre il numero dei disoccupati nelle
aree urbane e' salito a 16 milioni (di questi, sei hanno perso il
lavoro lo scorso anno), gli investimenti esteri stanno per subire un
duro calo. Secondo le previsioni, per la prima volta in dieci anni,
dalla ''fuga'' seguita a Tienanmen, quest'anno gli investimenti
esteri dovrebbero calare e passare dai 40 miliardi di dollari dello
scorso anno a 27 miliardi. (segue)(Pap/Gs/Adnkronos)28-OTT-99 13:15
CINA: IL REGIME DI PECHINO E' ALLA DERIVA (2) =
(Adnkronos) - Fonti cinesi e occidentali riferiscono che negli
ultimi sei mesi Zhu ha gia' offerto due volte le proprie dimissioni
per non essere ancora riuscito a portare Pechino nel Wto e per non
essere ancora riuscito a dare una scossa all'economia. Ma risultati
non si intravvedono neppure riguardo a questioni sulle quali la
leadership sembrebbe essere un po' piu' decisa: il governo, per
esempio, non riesce ancora ad avere ragione della setta Falun Gong,
nonostante l'offensiva lanciata nel luglio scorso.
Ma non tutte le colpe dovrebbero ricadere sul primo ministro:
il suo predecessore, Li Peng, attuale numero due nella gerarchia del
Partito comunista cinese, appare sempre piu' indebolito dalle accuse
piu' o meno velate di corruzione che vengono mosse alla sua famiglia.
Tra i due litiganti dovrebbe emergere la figura del presidente Jiang
Zemin: niente di piu' falso, essendo lui noto per essere un uomo poco
attento alla sostanza, tanto da essere soprannominato ''l'Attore''.
Quanto alle questioni internazionali, il ''Washington Post''
ricorda che per anni la Cina ha ribadito che per Taiwan avrebbe
dovuto valere la stessa formula utilizzata per Hong Kong: ''Un paese,
due sistemi''. Ma ogni giorno di piu' appare evidente che l'isola
''ribelle'' non ha alcuna intenzione di sottoporsi a quella formula,
tanto che nel luglio scorso il presidente taiwanese Lee Teng-hui ha
sfidato apertamente Pechino sostenendo che i negoziati dovrebbero
procedere sulla base di rapporti ''tra Stato e Stato''. ''La
questione taiwanese e' il segnale piu' chiaro che il sistema ha
bisogno di una scossa. Il dibattito e' spento: certo, ci sono dei
rischi, ma se continuiamo cosi', riusciremo mai a unirci? Il problema
e' che il punto di vista della leadership e' cosi' fragile che un
cambiamento e' impossibile ora'', dice rassegnato uno scienziato
della politica cinese.