L'Italia cerca un compromesso con il fronte del si
Da La Stampa (pag.5), lunedì 8 novembre 1999
Reportage di Augusto Minzolini
Inviato a New York
Potreste mai immaginare un intervento del ministero degli esteri tedesco sulla Farnesina per criticare la linea troppo "politicista" del nostro ambasciatore all'Onu, Paolo Fulci, nella battaglia che i Paesi della Ue stanno conducendo insieme per la moratoria contro la pena di morte. Oppure, una riunione di tutte le feluche
europee che lavorano nel Palazzo di vetro in cui il rappresentante di Roma giudica la linea di condotta proposta dal rappresentante di Berlino "follia politica", mentre l'altro, di rimando, gli elenca tutti i limiti del "machiavellismo". O ancora le minacce dell'ambasciatore di Singapore, Kishore Mahbubani,
all'Unione europea per questa sua iniziativa contro la pena di morte: "Se l'Ue andrà avanti scorrerà del sangue sul pavimento.
Vogliono imporci i loro valori, esportare l'omosessaulità, i matrimoni tra gay, la droga". Parole che se usate nella sede delle Nazioni Unite equivalgono ad una bestemmia.
Si, è difficile immaginarsi tutto questo eppure si tratta di cronache vere di quel palazzo che si bagna sul'East River, dove i rappresentanti delle nazioni si occupano dei drammi del nostro pianeta, dove regna, a seconda della piega che prende quell'avvenimento o quell'altro, l'entusiasmo (raramente) o l'impotenza (più spesso). Ebbene, in quel posto lo scontro sulla moratoria contro la pena di morte sta diventando la cartina di tornasole di tante cose, a cominciare dallo stato della diplomazia europea.
Non potrebbe essere altrimenti dato che le battaglie all'Onu si combattono esattamente come in qualsiasi altro Parlamento: ci sono alleati, avversari, trattative ossessionanti, do ut des più o meno inconfessabili, riunioni segrete, cene riservate. Uno scenario famigliare per noi italiani che, infatti, ci sguazziamo
dentro come le rane nello stagno.
Ebbene, in questa crociata contro la pena capitale il nostro governo si è gettato a capofitto, insieme all'Unione europea.
Qualche anno fa ci avevamo provato da soli a chiedere la stessa cosa, ma ci era andata male. Qualcuno potrebbe domandarsi: come si fa a chiedere l'abolizione della pena capitale sull'intero
pianeta, quando si può fare poco e niente per le stragi a Timor Est o in Cecenia? E semmai giungere anche alla conclusione che la moratoria richiesta dalla vecchia Europa sulla pena di morte sia solo un inutile alambicco, un documento che non sarà mai applicato.
Nel grattacielo di vetro sull'East River molti la pensano in questo modo, dimenticando, però, che un discorso simile si può fare su buona parte degli argomenti che si discutono là dentro. E, comunque, se per l'Onu l'esecuzione capitale diventasse a tutti gli effetti una violazione dei diritti umani, si getterebbe un seme
che darebbe sicuramente i suoi frutti nel volgere di qualche anno. La Chiesa, che nello scrutare il futuro non è seconda a nessuno, se ne è accorta ed è in prima fila con il suo rappresentante, mons. Renato Martino.
Del resto che non si tratti di una pagina inutile lo dimostra anche l'accanimento con cui le parti si battono. Lo schieramento contrario all'abolizione è formato da buona parte delle nazioni più povere, dove la pena capitale continua ad essere un'istituzione. Dentro ci sono Paesi in lotta tra loro come l'India
o il Pakistan, l'Egitto e la Siria ma che sulla difesa del patibolo dimenticano i loro dissapori. Dall'altra c'è la vecchia Europa, per una volta unita anche se, al solito, con idee molto diverse su come raggiungere l'obiettivo. In mezzo le grandi nazioni divise tra loro: gli Usa che, ovviamente, sono contro l'abolizione, non
fosse altro perché in buona parte degli States è in vigore; Cina e Giappone idem; mentre la Russia sembra accettare l'idea della moratoria, anche se non l'ha ancora firmata. Infine c'è un terzo schieramento, la cosidetta zona grigia, quella dei Paesi indifferenti che possono, però, determinare la vittoria di una delle due parti.
Lo stratega dello schieramento "pro"-patibolo è l'ambasciatore del piccolo Stato di Singapore che gode di grande stima tra i Paesi asiatici (vorrebbero farlo succedere a Kofi Annan), il quale ha tirato fuori lo stesso argomento con cui silurò il tentativo dell'Italia di qualche anno fa: l'abolizione della pena di morte è
un'ingerenza negli affari interni dei Paesi membri. E per essere più efficace nella sua critica - e conquistare i consensi nella zona grigia - ha presentato un emendamento alla moratoria che copia il settimo paragrafo dell'articolo due dello Statuto delle Nazioni Unite: "Le Nazioni Unite non possono intervenire in questioni
che appartengono essenzialmente alla competenza interna di uno Stato".
Una mossa azzeccata con la quale si è tirato dietro 92 Paesi al grido "no al colonialismo di ritorno degli europei".
L'ambasciatore italiano, Fulci, un veterano dell'Onu con un passato nella segreteria di Amintore Fanfani che lo ha reso avvezzo al compromesso, dopo aver passato due giorni al telefono chiedendo in via riservata a tutti i Paesi come avrebbero votato, è arrivato alla conclusione che messe così le cose il Vecchio Continente avrebbe perso. Così ha fatto recapitare agli altri ambasciatori Ue un fogliettino con le cifre di una possibile
votazione sull'emendamento di Singapore: 92 a favore; 72 contro; 24 tra astenuti e contrari.
Poi, venerdì scorso nella consueta riunione degli ambasciatori comunitari, ha tirato fuori la sua proposta: "Votiamo anche noi l'emendamento visto che ricalca un articolo dello statuto e portiamoci ugualmente a casa la moratoria, tanto dietro quell'avverbio - essenzialmente - ci può passare di tutto.
L'alternativa è perdere una battaglia che non possiamo perdere.
Perché ne verrebbe fuori un clima di scontro, il peggiore da sette anni a questa parte. Torneremmo indietro di venti anni sulla materia. E, infine, uccideremmo sul nascere la teoria dell'ingerenza umanitaria. Quella che ci ha permesso l'intervento in Kosovo e a Timor Est".
E qui sono venute fuori le beghe europee. I nordici capitanati dalla Germania hanno detto "no". Dietro ci sono ragioni diverse: il governo rosso-verde di Gerhard Schroeder non può permettersi mediazioni su una materia del genere per motivi elettorali; eppoi, c'è di nuovo l'ambizione tedesca di guidare la politica estera europea. "Kohl - ricorda Fulci - non aveva mai posto il problema dell'ingresso della Germania nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite come membro permanente.
Sapeva benissimo che ciò avrebbe determinato la fine dell'Europa. I nuovi hanno ricominciato".
Divisa tra "seguaci di Machiavelli" e "fondamentalisti" la vecchia Europa rischia, quindi, di ritrovarsi isolata e perdente.
Qualche segnale preoccupante c'è già: la Francia che si era addossata la responsabilità di trovare una mediazione tra Usa e Russia sui missili strategici (Abm), si è vista bocciare la sua proposta. Sulla carta doveva avere 60 voti, alla fine ne ha ricevuti solo 22. Anche all'Onu è in uso lo strumento della ritorsione.
Bisognerà vedere ora se prevarrà nel Vecchio Continente la filosofia del Machiavelli o quella del "crucco". O, magari, quella dell'ambasciatore portoghese che mollerebbe tutto: "Tanto che ce ne importa?". Questa battaglia all'Onu sulla pena di morte servirà anche a capire di che pasta è fatta l'Europa.