La Russia ha appreso la lezione dei conflitti del Golfo e del Kosovo e attua un drastico controllo dei mediadiDanieleScaglione*
Sole 24 ore Domenica 23 Gennaio 2000
In questi mesi gli anziani dei villaggi della Cecenia sono impegnati sia a convincere i militari russi a non attaccare le loro abitazioni, sia a persuadere i ribelli a non insediarsi presso le loro case per evitare l'aggressione dell'esercito di Mosca. Questi tentativi di fermare le violenze con la sola forza delle parole sono emblematici di una guerra che prima di tutto è rivolta contro persone indifese. Eppure la Russia è membro permanente di quel Consiglio di Sicurezza dell'Onu che nell'agosto e nel settembre scorsi ha ribadito il dovere di proteggere i civili dai conflitti.
La questione riguarda più i modi con cui l'intervento armato viene condotto piuttosto che la sua legittimità, e il governo russo sembra esserne consapevole. I suoi diplomatici sono impegnati a dimostrare che l'esercito di Mosca sta conducendo il conflitto nel pieno rispetto dei principi del diritto umanitario sanciti nelle Convenzioni di Ginevra, vale a dire con un uso della forza proporzionato al compito di debellare i cosiddetti "integralisti" ceceni, considerati una minaccia per tutto il territorio russo.
Nonostante le difficoltà a penetrare le zone di guerra, associazioni per i diritti umani e giornalisti hanno però documentato una realtà ben diversa. Bombardamenti indiscriminati su Grozny, l'assalto a un convoglio della Croce Rossa avvenuto il 29 ottobre scorso, azioni di rappresaglia nei confronti di villaggi sospettati di nascondere ribelli dimostrano che l'esercito russo non si preoccupa di distinguere tra obiettivi civili e obiettivi militari. Migliaia di persone sono state rinchiuse nei cosiddetti "campi di smistamento", che ufficialmente dovrebbero servire a identificare i guerriglieri e tutelare i civili, ma dove in realtà sono molto frequenti i casi di tortura. Il Cremlino non ha nemmeno consentito ai profughi la fuga in luoghi più sicuri, chiudendo i confini della Cecenia nonostante avesse garantito più volte l'esistenza di "corridoi di sicurezza". Amnesty International ha inoltre documentato in tutta la Russia una repressione di stampo razzista contro persone originarie della provincia caucasica
: nella sola Mosca in pochi mesi ne sono state arrestate arbitrariamente decine di migliaia. Le forze ribelli non sono da meno: hanno attaccato più volte i civili, li hanno usati come scudi umani e di norma uccidono i prigionieri di guerra.
Il conflitto ceceno conferma dunque il fatto che, se nessuno può oggi permettersi di dire che in guerra tutto è lecito, il vero problema rimane quello del rafforzamento degli strumenti di controllo e di punizione dei crimini di guerra. E su questo piano che le organizzazioni e le diplomazie internazionali stanno fallendo, invitando in modo generico le autorità di Mosca a privilegiare il dialogo e la soluzione politica anziché richieder loro con forza di aprire inchieste su uccisioni e ferimenti di civili, tutelare la sicurezza dei profughi e degli sfollati, consentire e proteggere l'ingresso di osservatori indipendenti. Per questo i rappresentanti di Paesi europei che si dicono preoccupati di quanto accade in Cecenia risulterebbero molto più credibili se ratificassero lo statuto del Tribunale penale internazionale approvato a Roma nel luglio del 1998. Questa corte avrebbe anche il compito di processare chi commette crimini nel corso di conflitti armati, ma per entrare in azione necessita di sessanta ratifi
che e a tutt'oggi ne ha ricevute solo sei.
*Presidente di Amnesty International