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Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Paolo - 10 febbraio 2000
MONTENEGRO: DALLA MAILING LIST NOTIZIE EST

NOTIZIE EST #301 - SERBIA/MONTENEGRO

9 febbraio 2000

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IL MONTENEGRO VERSO IL CAOS?

a cura di Andrea Ferrario - (fonti varie)

["Notizie Est" riprende le pubblicazioni, dopo una pausa forzata di

tre settimane, con questo lungo panorama sugli ultimi sviluppi in

Montenegro, riportati in un ordine pi=F9 o meno cronologico - a.f.]

L'agenzia AIM ha pubblicato il 17 gennaio scorso un lungo articolo

sul Montenegro ("Ko je zaboravio Milosevica?" di Esad Kocan), che

riassumiamo qui di seguito. Il presidente jugoslavo Milosevic ha

concesso a fine anno una lunga intervista a "Politika", nella quale,

tra

le molte altre cose, ha dichiarato: "Per il Montenegro la migliore

soluzione e' quella che conviene al popolo montenegrino. Se il

popolo

montenegrino ritiene che la vita al di fuori

della Jugoslavia sara' migliore, ha il diritto

di scegliere tale vita. E viceversa",

aggiungendo inoltre: "La vita in comune e' bella

e facile per coloro che desiderano vivere

insieme, ma e' difficile e brutta per coloro che

sono costretti a vivere insieme. Quando si sta

insieme per costrizione, la vita non solo non e'

ne' facile ne' bella, ma non ha nemmeno alcuna

prospettiva". Non e' la prima volta che

Milosevic rilascia dichiarazioni di questo tono,

ma in questa occasione lo ha fatto in maniera

piu' diretta e piu' provocativa del solito. Le

sue dichiarazioni sono state seguite tuttavia da

quelle di Vojislav Seselj, leader dell'estrema

destra radicale e vicepremier serbo, il quale ha

affermato che il presidente jugoslavo "ha

espresso solo la sua opinione personale e la

separazione del Montenegro non puo' essere presa

in considerazione", aggiungendo che "con il

Montenegro bisognera' parlare la lingua delle

armi" se cerchera' di diventare indipendente. A

Podgorica, paradossalmente, le dichiarazioni di

Milosevic sono state riportate dal quotidiano

"Pobjeda", controllato da Djukanovic, e

censurate invece dal quotidiano "Dan",

controllato dal primo ministro federale e

alleato di Milosevic, Momir Bulatovic, che ha

pubblicato l'intervista omettendone i passi sul

Montenegro. Tuttavia, lo stesso Momir Bulatovic,

ha reso pubblicamente dichiarazioni analoghe a

quelle di Milosevic a fine gennaio, affermando

che "il Montenegro ha il diritto costituzionale

di confermare la volonta' del popolo con un

referendum e di avviarsi verso l'indipendenza

statale" ("Danas", 26 gennaio 2000). Tra le

reazioni registrate a Podgorica riguardo alle

dichiarazioni di Milosevic, il giornalista Kocan

registra quella di Miodrag Vukovic, consigliere

del presidente Djukanovic: "E' possibile che ci

troviamo di fronte al proseguimento di una

manipolazione che dura ormai da dieci anni e che

vede Milosevic dire qualcosa e pensare invece

qualcos'altro e quello che pensa lo realizzano

poi i suoi Seselj". Il presidente dell'Unione

Liberale (all'opposizione rispetto a Djukanovic

e al governo Vujanovic), Miroslav Vickovic, ha

da parte sua affermato: "Sembra che la

dichiarazione di Milosevic metta Djukanovic e i

suoi in una posizione di scacco matto. La

responsabilita' per non avere organizzato il

referendum sullo status del Montenegro viene

cosi' scaricata interamente sulle loro spalle e

su quelle del principale mentore occidentale di

Djukanovic, il cui attuale interesse politico e'

quello della conservazione della federazione

jugoslava e della sua rivitalizzazione per mezzo

di Djukanovic e della 'variegata' opposizione

serba". Secondo il giornalista Kocan quella di

Milosevic sarebbe una manovra diversiva, volta a

togliere terreno a Djukanovic, che "da due anni

riesce a tenere insieme dietro di se' il

Montenegro grazie alla paura della 'coppia

presidenziale' " [Milosevic e sua moglie

Mirijana Markovic]. Le dichiarazioni di

Milosevic sono state commentate con ansia anche

da esponenti dell'opposizione serba, come

Mladjan Dinkic, dei G-17, e Ivan Kovacevic,

della SPO, preoccupati soprattutto che il regime

montenegrino sappia attendere ed essere

prudente, nell'attesa che la situazione politica

a Belgrado cambi e, aggiunge ironicamente Kocan,

la questione montenegrina possa cosi' essere

definitivamente liquidata.

Il 12 gennaio e' stato pubblicato, sempre

dall'agenzia AIM, un articolo sui piu' recenti

sviluppi riguardanti l'introduzione del marco

come valuta parallela in Montenegro ("Dinar na

izdisaju" di Goran Vujovic), di cui riportiamo

qui di seguito le parti essenziali. Nei primi

giorni del nuovo anno Dimitrije Vesovic, alto

esponente della finanza pubblica di Podgorica,

aveva affermato che entro la fine di gennaio il

dinaro sarebbe stato messo completamente fuori

dalla circolazione in Montenegro: "non ci sono

scelte", queste le sue parole, "bisogna trovare

una nuova valuta, oppure stampare buoni al posto

dei dinari". Siamo gia' nella seconda settimana

di febbraio e cio' non e' avvenuto. In realta',

osserva il giornalista Vujovic, l'introduzione

del marco come valuta parallela ha causato

grossi problemi e ha spinto in una direzione in

cui e' necessario prendere delle decisioni piu'

che difficili per il governo di Podgorica.

Scrive Vujovic: "L'autorita' monetaria della

Banca Nazionale Jugoslava (NBJ) [...] dovra'

essere sostituita da un'altra forma di

autorita'. La Banca centrale del Montenegro e'

stata chiusa nel 1992, in un clima di euforia e

di valutazioni errate dei motivi della

catastrofe economica nella quale era caduto il

Montenegro, ed e' stata trasformata da

istituzione 'indipendente' in filiale della

NBJ". Il governo di Podgorica starebbe

preparando un programma per la creazione di una

Banca centrale, una soluzione non condivisa da

tutti e che ha come propria principale

alternativa la creazione di un Consiglio

valutario, come quello gia' esistente in

Bulgaria, per esempio (sotto il controllo del

FMI). Ma dalla fine dell'anno scorso la

soluzione del Consiglio valutario sembra avere

perso terreno, anche se recentemente un

funzionario del FMI ha insistito per la sua

applicazione. Tra gli altri motivi che spingono

alla creazione di una banca centrale, secondo

quanto scrive Vujovic, vi e' il fatto che "con

l''uscita di scena' del dinaro e l'interruzione

da parte della Serbia del pagamento dei conti

con il Montenegro, la capacita' delle banche

commerciali di sopravvivere e di proseguire in

qualche modo le proprie attivita' senza il

sostegno di un'istituzione flessibile, come una

banca centrale, sono ridotte a zero". Secondo le

opinioni raccolte dal giornalista montenegrino,

l'eliminazione del dinaro costringerebbe il

governo a provvedere a un meccanismo monetario

centrale e a leggi sul sistema bancario. Se

verra' fatto, "verranno a galla i problemi del

sistema bancario, che nei fatti e' inesistente,

nonche' il triangolo di conti non saldati tra

stato, banche e imprese". Oltre a questo

"rischio", va tenuto presente anche il fatto che

l'economia montenegrina non e' piu' in grado di

produrre e di funzionare [per maggiori dettagli,

si veda piu' sotto]. L'assenza di un'economia

reale e di cosiddette fonti reali di spesa,

scrive Vujovic, ha tradizionalmente portato a un

connubio tra banche e potere politico mirato a

coprire le enormi spese per il mantenimento del

sistema esistente e per il salvataggio dei

maggiori centri di sperpero - le cosiddette

industrie strategiche - semplicemente stampando

denaro". Inoltre, continua Vujovic, "togliendo

il dinaro dalla circolazione, il governo

montenegrino perde progressivamente anche una

comoda giustificazione per il bilancio

catastrofico di questi anni di transizione. Ora

che tutti sanno cosa 'cova sotto la cenere', le

pressioni di Belgrado e del dinaro jugoslavo

svalutato sembrano essere materiali di

propaganda politica di cui non si puo' fare a

meno. [...] Alla fine dell'anno scorso, Steve

Henke, il consigliere economico del presidente

Djukanovic [...] ha dichiarato che i preparativi

per il passaggio a un nuovo sistema monetario

sono terminati e che ora si tratta semplicemente

di decisione politiche. [...] Sembra tuttavia

che nelll'imminenza di elezioni locali e

federali in Montenegro attualmente non ci sia

nessuno in grado di prendere decisioni chiare e

inequivocabili anche solo in merito al sistema

monetario".

Il 14 gennaio, il quotidiano on-line "Albanian

Daily News" ha diffuso la notizia secondo cui il

ministro dell'ordine pubblico albanese, Spartak

Poci, aveva visitato il giorno precedente due

campi profughi, quello di Rrushkull, a 37

chilometri da Tirana e in grado di ospitare

5.000 persone, e quello di Katund i Ri, a 34

chilometri da Tirana. "Dobbiamo prenderci cura

di questi campi, perche' potrebbero servire come

centri per accogliere profughi dal Montenegro,

nell'eventuale scenario peggiore dello scoppio

di un conflitto tra tale repubblica e la

Serbia", ha dichiarato Poci durante la visita.

Uno dei maggiori quotidiani albanesi, "Koha

Jone", ha subito ripreso la notizia con grande

evidenza in prima pagina, mentre un altro

importante quotidiano, "Gazeta Shqiptare",

citava le parole di un funzionario della

compagnia di trasporto Alaska Cargo Company, che

aveva appena trasportato a Durazzo 6.500

tonnellate di farina donate dagli Stati Uniti

all'Albania "per i profughi", secondo cui tale

primo contingente e' solo una piccola parte

degli aiuti che verranno congelati in attesa

della crisi dei profughi. La societa' di

trasporto ha un contratto con il Dipartimento di

Stato per il trasporto in Albania di 40.000

tonnellate di grano e 10.000 tonnellate di

farina, riso e olio, ha affermato il

funzionario. Della distribuzione degli aiuti

dovrebbe essere incaricata la ONG Mercy

International. "Gazeta Shqiptare", citando fonti

anonime, ha affermato inoltre che le due

repubbliche jugoslave potrebbero "entrare in

conflitto tra la fine di febbraio e l'inizio di

marzo". Sempre il 14 gennaio, a Podgorica si

sono svolte pacificamente le celebrazioni per il

capodanno serbo, per le quali molti avevano

previsto lo scoppio di gravi incidenti. Al

termine delle celebrazioni, il premier jugoslavo

Bulatovic, oppositore di Djukanovic, ha

dichiarato in una conferenza stampa: "Grazie

alla mia alta posizione, sono venuto a sapere

che si sta preparando un complotto

internazionale per la preparazione di campi

destinati alla deportazione di montenegrini in

Albania" ("Monitor" [Podgorica], 21 gennaio

2000). Il 21 gennaio, infine, "Albanian Daily

News" riportava la smentita del premier Ilir

Meta che l'Albania si stia preparando a ricevere

un'ondata di profughi dal Montenegro. La notizia

e' stata il primo della lunga serie di "allarmi"

relativi all'imminente scoppio di un conflitto

tra Serbia e Montenegro. Trasmessa prima da un

tam-tam di operatori umanitari, e' stata infine

raccolta con svariati giorni di ritardo da "Der

Spiegel" e, piano piano, da vari altri media

europei. Negli USA, gli organi di stampa e i

politici hanno cominciato a parlare di un

ipotetico imminente conflitto solo nei primi

giorni di febbraio.

Appena dopo il capodanno ortodosso e' scoppiata

una crisi all'interno del governo montenegrino,

la cui scintilla e' stata il divieto alla chiesa

ortodossa autocefala montenegrina, da parte

delle autorita' governative, di celebrare

pubblicamente la festivita' nel centro di

Podgorica, mentre alla chiesa ortodossa serba

(il cui metropolita Amfilohije e' in ottimi

rapporti con il criminale Arkan [si veda piu'

sotto] e gode dei favori del partito di

Djukanovic) e' stato invece consentito. Uno dei

partner di coalizione del DPS di Djukanovic, lo

SDP (Partito Socialdemocratico), una delle forze

piu' favorevoli all'indipendenza, ha minacciato

di uscire dall'esecutivo per protesta. Inoltre,

nello stesso periodo il ministro degli esteri

Branko Perovic ha dovuto dare le dimissioni a

causa delle inchieste sulle sue collusioni con

la mafia aperte dalla magistratura italiana. La

crisi e' stata parzialmente risolta a fine

gennaio con un rimpasto di governo, i cui esiti

danno un'idea delle lotte, ancora lungi dal

risolversi, ai vertici del regime montenegrino,

come rileva il settimanale di Podgorica

"Monitor" nell'articolo di Zoran Radulovic

pubblicato il 4 febbraio 2000. Sono in

particolare due gli avvicendamenti ai vertici

dei ministeri che danno la misura di tale

situazione irrisolta: il ministro degli esteri

Perovic e' stato sostituito da Branko Lukovac,

che dopo la disgregazione della Jugoslavia

socialista si era dimesso in segno di protesta

contro le tendenze revansciste di Belgrado,

mentre a ministro per la religione (una carica

delicata, vista la spaccatura tra chiesa serba e

montenegrina che si riflette anche ai vertici di

Podgorica) e' stato nominato un

ultranazionalista della prima ora, Budimir

Dubak, noto per la sua partecipazione, in

passato, a importanti manifestazioni a sostegno

delle politiche di Milosevic. Ecco cosa scrive

"Monitor" in merito al rimpasto: "La nomina di

Dubak a ministro per la religione porta a

chiedersi chi decide la composizione del

governo, il premier Vujanovic, o il metropolita

della chiesa ortodossa serba Amfilohije [di cui

Dubak e' un sostenitore]? Il fatto che si sia

atteso svariati giorni al fine di ottenere la

benedizione del metropolita, senza il quale

Dubak non voleva accettare la carica di

ministro, nonche' l'incapacita' del premier di

trovare, nell'attuale situazione di conflitto

all'interno della coalizione (e all'interno del

suo partito, il DPS), un'altra soluzione - hanno

dimostrato la significativa limitazione dello

spazio di manovra di cui dispone l'esecutivo

montenegrino. E' risultato chiaro, quindi, che

programmare i cambiamenti e' molto piu' facile

che realizzarli. E questo e' dovuto soprattutto

alla lotta silenziosa che e' in corso

all'interno del DPS per il controllo del partito

e delle istituzioni statali. I centri di potere

del partito che fanno riferimento a Djukanovic e

Marovic non sono riusciti nel corso della

riunione del loro direttivo, tenutasi il giorno

prima del rimpasto e durata ben sei ore, a

concordare i punti di vista sui "cambiamenti

radicali" promessi. Dei cambiamenti

significativi comporterebbero anche

sconvolgimenti all'interno del partito e la

perdita di un monopolio costruito pazientemente

per anni. Per questo all'improvviso si e' spento

ogni desiderio di svolte effettive. La lotta che

ora e' cominciata continuera' anche dopo il

rimpasto e ne risentiranno, a giudicare da

tutto, soprattutto i popolari [il Partito

Popolare forma con il DPS e lo SPD la coalizione

di governo], che hanno sopravvalutato le loro

forze [...] o si sono eccessivamente avvicinati

a una delle ali del DPS".

Negli stessi giorni in cui a Podgorica si apriva

la crisi di governo, dopo le temute celebrazioni

del capodanno ortodosso, e in cui in Albania si

diffondevano le voci sull'imminente scoppio di

un conflitto aperto tra Serbia e Montenegro, a

Belgrado, il 15 gennaio, veniva ucciso Arkan.

Molte fonti hanno sottolineato i buoni rapporti

che Arkan intratteneva in passato con il regime

di Djukanovic/Bulatovic e come ultimamente egli

sembrasse avere optato per il primo, anche se i

legami del noto criminale con il regime serbo

sono stati senz'altro molto piu' intensi e

costanti. Il fatto e' che spesso si dimentica

come Djukanovic sia stato fino al 1997, insieme

a Momir Bulatovic, uno dei piu' ligi sostenitori

delle politiche scioviniste e militariste di

Milosevic. Il giornalista Milka Tadic, in un

articolo pubblicato da "IWPR Report" il 18

gennaio 2000, ricorda come all'inizio degli anni

'90 Arkan fosse intervenuto in Montenegro per

proteggere da manifestazioni antimilitariste il

metropolita della chiesa ortodossa serba

Amfilohije, sostenuto ancor oggi dal partito di

Djukanovic. Il giornalista dell'agenzia AIM,

Branko Vojicic, ripercorre altri momenti dei

favori di cui Arkan ha goduto, in passato e

recentemente, in Montenegro. Innanzitutto,

quando nel 1997 vi sono state le cruciali

elezioni presidenziali che hanno visto

Djukanovic opporsi al candidato Bulatovic, il

partito di Arkan aveva dato pubblicamente il suo

sostegno al primo. Negli ultimi due anni, il

comandante delle "Tigri" ha continuato a

sostenere Djukanovic, arrivando addirittura a

paragonarlo all'eroe e poeta nazionale Njegos.

Vojicic riporta alcuni esempi di come il

giornale montenegrino "Pobjeda", sempre

strettamente controllato dal governo, scrivesse

in passato di Arkan. Nel settembre del 1991,

"Pobjeda" scriveva che la sua Guardia era

formata da serbi non schierati politicamente

provenienti dal Montenegro e dalla Serbia e che

il loro scopo era quello di "difendere la

serbita', il culto di San Sava, la famiglia e

l'unione tra i serbi". Il 9 dicembre 1992

"Pobjeda" pubblicava un'intervista ad Arkan, nel

quale quest'ultimo affermava: "Salutatemi i

valorosi fratelli montenegrini e dite loro che

Dubrovnik [assediata allora da unita'

montenegrine - N.d.T.] deve essere nostra o di

dio. Questa estate verro' a Dubrovnik ad

ascoltare il suono della 'gusla'. E poi con i

miei soldati ci riprenderemo Scutari". Infine,

il giornalista della AIM formula qualche

commento: "Il Montenegro si e' impegnato a

collaborare con il Tribunale dell'Aja, e quindi

a consegnargli coloro che sono accusati.

Tuttavia, nel corso degli ultimi due anni Arkan

ha soggiornato svariate volte in questa

repubblica. L'ultima volta che si e' recato a

Podgorica e' stato all'inizio di dicembre

dell'anno scorso [per una partita della sua

squadra "Obilic"]. Ha passeggiato

tranquillamente per le vie di Podgorica ed e'

stato ospite del noto hotel "Crna Gora", il

luogo di ritrovo preferito dell'e'lite di

governo montenegrina [...]. E' possibile che il

motivo fondamentale dell'uccisione di Arkan

siano stati i suoi contatti segreti con la

giustizia belga e indirettamente con il

Tribunale dell'Aja. Ma e' altrettanto possibile

che anche la sua vicinanza al vertice statale

montenegrino nel corso degli ultimi due anni e

mezzo (dalla divisione al vertice del DPS) sia

stata una delle gocce che hanno fatto traboccare

il vaso. [...] Secondo fonti informate, inoltre, Arkan era l'uomo

attraverso il quale la polizia montenegrina riusciva ad avere una

"radiografia" delle possibili azioni di Belgrado. [...] L'uccisione di

Arkan potrebbe essere a suo modo un avvertimento: il regolamento

finale dei conti e' cominciato con tutti. E con ogni mezzo" (AIM

Podgorica, 18 gennaio 2000).

A fine gennaio la corte costituzionale federale jugoslava ha

dichiarato illegale l'amnistia concessa in Montenegro a tutti i

coscritti che si erano rifiutati di combattere in Kosovo nell'esercito

jugoslavo. L'amnistia era stata votata l'anno scorso dal parlamento

montenegrino e riguardava tutti coloro che si erano rifiutati di

rispondere alla chiamata alle armi, o avevano disertato dall'esercito,

nel periodo dal 1 giugno 1998 al 31 giugno 1999. In realta', da un

punto di vista costituzionale, la legge e' difficilmente applicabile e

stando alla lettera della costituzione l'esercito federale avrebbe

sempre potuto arrestare i renitenti e i disertori, cosa che non ha

fatto fino alla fine di gennaio quando, in coincidenza con la

sentenza della corte costituzionale, la polizia militare federale ha

cominciato perquisizioni e battute in varie zone del Montenegro per

cercare le persone da arrestare. In molti casi sono stati denunciati

maltrattamenti. Si tratta di

uno sviluppo che preoccupa direttamente un gran numero di

famiglie montenegrine, perche' secondo

le statistiche sono circa 15.000 i montenegrini

renitenti o disertori coperti dall'amnistia (AIM

Podgorica, 29 gennaio 2000).

Il 21 gennaio la Reuters ha pubblicato un

servizio da Londra del suo "diplomatic editor",

Paul Taylor, che di norma scrive i pezzi

politicamente piu' rilevanti. Nel servizio

Taylor riferisce che un "alto diplomatico NATO"

ha dichiarato che "il Montenegro non deve

attendersi che gli Stati Uniti o la NATO

interverranno per salvarlo se dichiarera'

l'indipendenza dalla Jugoslavia, scatenando un

confronto con la Serbia". Il diplomatico,

prosegue Taylor, ha affermato che "l'Occidente

reagirebbe piu' probabilmente limitandosi a

rafforzare le sanzioni economiche contro la

Serbia, nel caso in cui Milosevic dovesse

lanciare un attacco contro la repubblica".

Secondo il giornalista della Reuters,

"Djukanovic si trova ad affrontare pressioni

interne sempre piu' forti per indire un

referendum sull'indipendenza". Il diplomatico

NATO anonimo citato dalla Reuters ha proseguito

dicendo che "il dilemma che stiamo affrontando

e' quello di come agire per prevenire una prova

di forza [...] [Djukanovic] dovra' stare molto

attento a non provocare una prova di forza,

perche' non potra' contare su un salvataggio da

parte degli USA o dei suoi alleati". Taylor nota

che si e' trattato del secondo avvertimento di

tale tono nel corso della settimana, il primo

essendo stato quello dell'alto inviato

occidentale in Bosnia, Wolfgang Petritsch,

secondo il quale ogni mossa

verso l'indipendenza scatenerebbe una guerra. Il

diplomatico NATO

citato da Taylor, tuttavia, conclude affermando

di non vedere nuvole di tempesta a breve termine

in Montenegro, perche' entrambe le parti sono

consce dei rischi (Reuters, 21 gennaio 2000).

Successivamente, le dichiarazioni riguardo ai

possibili scenari di

un precipitare della situazione in Montenegro

non si sono piu'

contate. Da quella di un altro funzionario

anonimo della NATO, citato dall'agenzia SENSE,

secondo cui l'Alleanza "segue la situazione e

non si fara' cogliere

impreparata", alle raccomandazioni fatte da Gran

Bretagna e USA,

rispettivamente al presidente Djukanovic e al

premier Vujanovic, affinche' non facciano in

questo momento mosse verso l'indipendenza, alla

dichiarazione del capo

della CIA Tenet, secondo cui un confronto tra

Milosevic e Djukanovic e'

quasi inevitabile - "sia Milosevic che

Djukanovic cercheranno di evitare un confronto

serio, per ora, ma sara' difficile evitare una

prova di forza finale, che

ritengo avverra' in primavera" (AFP, 3 febbraio

2000).

Il quotidiano di Belgrado "Danas" e il

settimanale montenegrino "Monitor" hanno

affrontato in due loro articoli pubblicati tra

fine gennaio e i primi di febbraio la gravissima

situazione economica e sociale in cui versa il

Montenegro. Lo stesso "Danas" aveva pubblicato

un breve, ma efficace articolo nello scorso

dicembre, che rimane completamente attuale: "La

recente introduzione del marco tedesco come

valuta parallela ha provocato dei veri e propri

sconvolgimenti tettonici nel livello di vita dei

cittadini. I prezzi sono drasticamente saliti,

il marco ha messo a nudo la miseria sociale che

il governo ha cercato di nascondere con promesse

demagogiche, e' cominciata una serie di scioperi

dei lavoratori dei quali ormai si era persa

memoria, centinaia di autocarri con merce

provenienti dalla Serbia vengono trattenuti per

giorni dalla polizia serba al confine serbo-montenegrino [la

settimana scorsa e' scattato un ulteriore inasprimento del blocco

delle merci verso il Montenegro da parte della Serbia, trasformatosi

quasi in un embargo], mentre l'opposizione approfitta della

situazione per prendere nuovo slancio contro il governo e chiedere

elezioni e un referendum sullo status statale-giuridico del

Montenegro... Perfino l'Unione dei Sindacati Indipendenti del

Montenegro, del quale si afferma che e' una cinghia di trasmissione

del governo, ha dichiarato che sara' costretta a indire uno sciopero

generale se non verra' arrestato il rapido immiserimento dei

lavoratori. Il sindacato ha esplicitamente accusato il governo di

avere contribuito alla miseria che ha colpito la popolazione. Dopo

l'introduzione del sistema a doppia valuta, tutti i commercianti

hanno aumentato i prezzi, e in questo sono stati aiutati dal

governo, che ha aumentato il prezzo della benzina, dell'energia

elettrica e dei servizi postali, afferma il sindacato. Ironia ancora piu'

grande, al sindacato ora ritengono che lo stipendio minimo in

Montenegro dovrebbe essere di 82 marchi, una cifra mensile che

per la famiglia media di quattro persone e' appena sufficiente a

comprare giornalmente due pagnotte e due litri di latte! Il sindacato

non spiega chi mai si adatterebbe a vivere in una tale miseria. [Ma]

a dare una risposta a questa spiacevole domanda dovrebbe

essere in realta' il governo, per il quale ormai il marco tedesco e'

diventato l'opposizione piu' forte. E forse

anche un pericolo ancora piu' grande delle

milizie e della parapolizia delle quali ha

parlato il generale Perisic" ("Danas", 1

dicembre 1999). La situazione nel frattempo

non e' certo migliorata. Lo stesso "Danas"

scrive il

22-23 gennaio 2000 che "il cosiddetto 'paniere'

comprendente i 43 generi di prima

necessita' indispensabili per la sopravvivenza

di una

famiglia media di quattro persone, in ottobre

aveva un costo pari a 3,25 stipendi medi, mentre

a meta' dicembre per lo stesso paniere ci

volevano 3,66 stipendi medi, vale a

dire 550 marchi. Se a questo paniere di spesa si

aggiungono le voci recentemente rincarate, come

quelle relative all'affitto, ai servizi comunali-

igienici, all'energia elettrica e al

riscaldamento, nonche' per il telefono, per i

fabbisogni culturali e scolastici fondamentali,

per il trasporto, l'abbigliamento e simili, il

prezzo del 'paniere di spesa' arriva a piu' di

800 marchi tedeschi! [...] Riuscira' in una tale

situazione il Montenegro a introdurre una nuova,

propria valuta che, secondo le visioni di alcuni

esperti finanziari, costituirebbe l'unica vera

soluzione? Non lo si sa, ma e' sicuro che

affinche' sia possibile e' necessario un

"piccolo" presupposto -

un'economia robusta. Il Montenegro in questo

momento si trova nella

disperazione generale. Per questo, sia con il

dinaro che senza di esso, sia con la banca

centrale che con il consiglio valutario, ogni

ottimismo [come quello espresso

da Djukanovic] e' del tutto irrealistico". Il

settimanale

"Monitor" del 4 febbraio 2000 scrive che "la

produzione industriale [del Montenegro] arriva

appena al 40% del livello del 1989. In molti

settori dell'industria i livelli sono di gran

lunga inferiori, addirittura meno del 10%.

[Inoltre], secondo dati dell'Unione dei

Sindacati, il numero dei posti di lavoro negli

ultimi dieci anni e' diminuito del 30% e la

disoccupazione, rispetto al numero complessivo

degli occupati, e' arrivata a quasi il 60%. Il

livello di occupazione effettivo, in realta', e'

decisamente inferiore, come conferma tra le

altre cose il dato secondo cui circa 20.000

lavoratori (formalmente occupati) sono in ferie

forzate. [...] Se si tiene conto del fatto che

il governo nella sua politica economica non

prende nemmeno in considerazione la creazione di

nuovi posti di lavoro e che non ci sono mezzi

per la riqualificazione ad altri settori di

lavoro, si puo' essere sicuri che il problema

della disoccupazione effettiva continuera' a

essere una delle caratteristiche chiave del

panorama sociale montenegrino".

Chiudiamo questo panorama sul Montenegro con

alcuni brani del commento di Esad Kocan,

pubblicato dal settimanale "Monitor" nel suo ultimo numero: "[...] In

una cosa i vertici montenegrini sono assolutamente coerenti: dal

loro arrivo al potere hanno sempre trattato il Montenegro come

parte di un contesto estraneo. Durante i lunghi anni di guerra, lo

hanno trattato come ala portante dell'epopea milosevicana e, dopo

la sconfitta, come strumento ausiliario per scalzarne il potere. Cosi'

come Milosevic a suo tempo ha allegramente sfruttato i servizi dei

'condottieri' montenegrini, oggi questa funzione servizievole viene

favorita dai potenti circoli dell'Occidente. Quasi nessuno di coloro

che giungono nel nostro paese, quando si comincia a parlare dei

destini del Montenegro, si astiene dal porre la domanda fatale: e

cosa succedera' con Milosevic, cosa succedera' con l'opposizione

serba? Di fronte ai divani cosi' comodi sui quali si svolgono queste

conversazioni, di fronte agli obiettivi cosi' altisonanti che vengono

formulati, uno si sente un po' imbarazzato a porre la domanda del

tutto terrena: e, mi si perdoni, cosa succedera' a me? Ma non tutte

le speranze sono perdute. Il governo montenegrino, a

testimonianza della sua completa disponibilita' a essere parte della

schiera di vassalli ribelli dell'ex impero di Milosevic, ha proposto

una Piattaforma per la ridefinizione dei rapporti all'interno della

federazione jugoslava. E qui [...] regna la confusione piu' completa.

L'opposizione a Belgrado continua incessantemente a ripetere che

il Montenegro deve essere paziente - bisogna solo aspettare che,

unendo le forze, si arrivi

alla caduta di Milosevic, e si vedra' brillare

il sole per tutti. Riguardo alla Piattaforma,

invece, tace. Questo piccolo particolare e'

stata fatto rilevare questa settimana dal

vicepresidente del governo e presidente del

Partito Popolare, Novak Kilibarda. 'Evitare di

affrontare la Piattaforma, o nominarla solo

distrattamente, ha la conseguenza di generare

dubbi sul fatto che le forze democratiche serbe,

dopo la rimozione del regime di Slobodan

Milosevic, faranno piazza pulita del pericolo

unitarista che minaccia il Montenegro da parte

serba'. [...] [Non ha mancato di fare sentire

la propria voce] nemmeno il Partito Popolare

Socialista (SNP, il partito di Momir Bulatovic),

meta' dell'anima del quale si e' fatta sentire a

Belgrado, nella Camera delle Nazioni,

promettendo che la federazione jugoslava verra'

difesa e protetta e che il Montenegro non sara'

mai... schipetaro. L'altra meta' dell'anima del

SNP sta in agguato per afferrare il momento piu'

adatto per saltare giu' dall'ala di Milosevic e

accodarsi al piu' vasto movimento di riforma:

per la federazione jugoslava, per la pace

nazionale e, se necessario, per una Piattaforma

leggermente addomesticata. La cosa piu'

importante e' che il DPS attraverso tutte le

bufere e le tempeste e' riuscito a conservare lo

status di partito della moderazione e del

compromesso. Lo stesso era avvenuto durante gli

anni della produzione organizzata di caos. Da

una parte c'erano gli 'estremisti', che

combattevano contro i crimini di guerra,

dall'altra i piu' aperti esecutori di tali

crimini di guerra. In mezzo a loro, come esempio

supremo di moderazione, svettava il DPS, sordo

alle sofferenze altrui, ai destini della gente,

a tutto quello che non era la conservazione del

proprio potere. Ora sono arrivati i tempi

dell'oblio organizzato. [...] La Piattaforma del

governo montenegrino non e' nient'altro che un

riparo dalle tempeste, mirata a una sicura e

durevole conservazione del potere. [...]

("Monitor", 4 febbraio 2000).

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