In un'intervista a Repubblica del 21 febbraio il Consigliere italiano della Banca Centrale Europea, Padoa Schioppa, ammette che le barriere linguistiche in Europa rappresentano uno dei maggiori ostacoli alla libera circolazione dei lavoratori ed in definitiva allo sviluppo economico di tipo "americano":
"E difficile parlare della New Economy americana senza evocare la flessibilità del mercato del lavoro, la facilità di assumere e di licenziare, l'alta mobilità, il flusso di immigrazione qualificata.
"E questo è l'aspetto più difficile da applicare in Europa. Le differenze culturali sono profonde. La società americana è fatta di immigrati. Si fonda sull' idea che se qui le cose ti vanno male forse non è colpa tua, puoi sempre avere la forza di partire altrove, di trovare un posto dove ti andranno meglio. C'è un elemento dinamico che fa parte del Dna di quella nazione: spostarti dal Michigan alla California non è un trauma, se tuo nonno è venuto fin qui dalla Calabria. In Europa poi contro la mobilità giocano ostacoli strutturali - dalla lingua al mercato immobiliare - e anche gli interessi organizzati che la contrastano"."
Ecco il testo integrale dell'intervista dove il Consigliere della BCE illustra una ricetta economica simile a quella proposta da anni in Italia dai radicali:
"Cgil, Cisl e Uil sono vecchie imparino dal modello Usa"
Tommaso Padoa-Schioppa, consigliere italiano della Bce, striglia i sindacati
dal nostro inviato FEDERICO RAMPINI
FRANCOFORTE - Il miracolo della Nuova Economia americana impone all'Europa una lezione di umiltà. Anche se le ricette non si possono trasporre meccanicamente, abbiamo molto da imparare. Lo afferma uno dei guardiani dell'Euro, al vertice della Banca centrale europea. In questa intervista a Repubblica, Tommaso Padoa Schioppa individua tra i fattori di successo del modello americano la flessibilità del lavoro e aggiunge: da noi contro la mobilità giocano ostacoli strutturali e interessi organizzati, come un sindacalismo sempre più concentrato tra gli anziani, arroccato nella conservazione, che penalizza gli interessi dei giovani. Il banchiere centrale europeo analizza poi le conseguenze del fenomeno Internet su produttività e inflazione, per concludere: fra cent' anni gli storici definiranno quest'epoca come una vera rivoluzione industriale.
Il miracolo americano è sotto gli occhi di tutti: nove anni di crescita non-inflazionistica, la piena occupazione, il boom delle nuove tecnologie. Eppure in Europa molti sono scettici, non si rassegnano all'idea che quello sia un modello da seguire.
"L'anti-americanismo strisciante che si sente sul nostro continente è inopportuno. Gli Stati Uniti sono stati capaci di un dinamismo quale nessuno si aspettava dal paese più ricco del mondo. Abbiamo molto da imparare, pur sapendo che nessuna ricetta può essere trasposta meccanicamente. Ma certo non siamo noi a poter dare lezioni. Quel che è accaduto in America negli anni Novanta ha sfatato miti, idee consolidate, dottrine economiche autorevoli. Per la mia generazione gli Stati Uniti erano il paese leader, ma il loro vantaggio sembrava destinato ad assottigliarsi. E così è stato effettivamente, fino agli anni Ottanta: la distanza con Europa e Giappone si accorciava. Poi di colpo, quando nessuno ci credeva il corridore che era in testa ha fatto un altro scatto e ha allungato la distanza. Neppure la teoria economica lo aveva previsto. Ricordo per esempio le teorie di un grande pensatore come Schumpeter, sull'inevitabile declino dell'economia di mercato... Quel che è accaduto negli ultimi anni deve renderci umil
i".
Se dovesse sintetizzare con un'immagine semplice l'effetto rivoluzionario di Internet, cosa direbbe?
"Userei un aneddoto fra tanti possibili: l'esempio del noto esperto legale newyorkese che ha lasciato Manhattan e si è trasferito nella sua casa di campagna. Non ha perso i contatti con i suoi clienti, anzi, ha allargato la cerchia; né gli manca l'accesso a tutte le banche dati o alle biblioteche giuridiche. In compenso i suoi costi logistici sono crollati, l'uso del suo tempo è più efficiente di prima. Se proiettato sull'intero sistema economico questo episodio dà l'idea degli effetti di Internet, la cui diffusione è ben lungi dall'essere completata. Collegando i produttori direttamente fra loro, o il produttore con il consumatore finale, la rivoluzione Internet si trasmetterà a ondate su tutta la catena industriale e distributiva".
E difficile parlare della New Economy americana senza evocare la flessibilità del mercato del lavoro, la facilità di assumere e di licenziare, l'alta mobilità, il flusso di immigrazione qualificata.
"E questo è l'aspetto più difficile da applicare in Europa. Le differenze culturali sono profonde. La società americana è fatta di immigrati. Si fonda sull' idea che se qui le cose ti vanno male forse non è colpa tua, puoi sempre avere la forza di partire altrove, di trovare un posto dove ti andranno meglio. C'è un elemento dinamico che fa parte del Dna di quella nazione: spostarti dal Michigan alla California non è un trauma, se tuo nonno è venuto fin qui dalla Calabria. In Europa poi contro la mobilità giocano ostacoli strutturali - dalla lingua al mercato immobiliare - e anche gli interessi organizzati che la contrastano".
I sindacati?
"Sì, i sindacati. Sono colpito quando osservo il tipo di sindacalizzazione dei grandi organismi pubblici o parastatali. Lì si tocca il paradosso di una militanza sindacale sempre più concentrata tra gli anziani, e magari i gradi più alti della professione (perché per anzianità hanno fatto carriera). Questo porta a un sindacalismo arroccato nella conservazione, che penalizza gli interessi dei giovani. Credo che le centrali sindacali dovrebbero preoccuparsene. In quanto ai giovani, però, che la smettano di rassegnarsi al ruolo di vittime designate: la generazione di chi oggi ha trent'anni è padrona del futuro".
Uno degli ingredienti della New Economy americana è l'efficienza dei mercati finanziari. C'è qualche strumento che noi Europei dobbiamo imitare?
"Un esempio è il sistema di finanziamento dei cosiddetti start-ups, le aziende neonate. Il venture capital all'americana è un felice incrocio tra banca e assicurazione. Finanzia innumerveoli iniziative, ben sapendo che molte falliranno, ma le poche che avranno successo ripagheranno le perdite delle altre. Si fonda sulla statistica dei grandi numeri, come l'assicurazione. Un altro esempio è il rapporto tra mercato finanziario, ricerca e università, che in America funziona molto bene. Non a caso i poli di sviluppo tecnologici fioriscono attorno alle migliori università californiane o del Massachusetts, e molte imprese di successo sono nate nell'ambiente universitario".
Di fronte all'euforìa delle Borse per i titoli della New Economy (Internet e tecnologici) si affrontano due scuole di pensiero: c'è chi vede una bolla speculativa, e chi teorizza invece la nascita di un Nuovo Paradigma economico, che sconvolge le regole e i valori del passato. Lei da che parte sta?
"Pur sapendo che è difficile dare una risposta netta in favore dell'una o dell'altra ipotesi, ho un pregiudizio favorevole al cosiddetto Nuovo Paradigma. Fra un secolo gli storici descriveranno questa nostra epoca come una nuova rivoluzione industriale? Io credo di sì. Anche se non so in quale momento preciso gli storici del futuro individueranno l'inizio di questa rivoluzione industriale: forse negli anni Novanta o forse prima, negli anni Ottanta. Ma ritengo che stiamo assistendo a un fatto nuovo, e di importanza primaria".
Che cosa le dà questa certezza? Qual è l'aspetto veramente rivoluzionario della Nuova Economia?
"Mi colpisce soprattutto il fatto che essa investe due fattori primordiali come l'informazione e la comunicazione. L'importanza è del tutto analoga a quella che ebbero nel passato rivoluzioni tecnologiche nei trasporti (la ferrovia, l'aereo), o invenzioni-scoperte di nuove forze motrici (la macchina a vapore, l'elettricità, il motore a scoppio). Informazione e comunicazione sono componenti essenziali di tutti i processi economici e sociali. Forse, se oggi qualcuno scoprisse una nuova fonte di energia, avrebbe effetti meno sconvolgenti di una rivoluzione che investe la conoscenza: perché questa si colloca al centro del centro dell'economia. Il che non esclude che vi siano anche elementi di bolla speculativa, di confusione".
Quali sono questi elementi di confusione? Dove vede i pericoli di euforìa speculativa?
"Si vedono società quotate con prezzi altissimi, che non hanno mai fatto profitti. Delle due l'una: o le Borse valutano che queste società stanno investendo velocemente in funzione di un mercato che si espande, e quindi i profitti non mancheranno; oppure i mercati stanno prendendo un abbaglio. Nel primo caso siamo di fronte al Nuovo Paradigma, nel secondo è una bolla. Non mi stupirei, guardando ai titoli tecnologici, che alcuni ricadano nella prima categoria e altri nella seconda. Il tempo dirà quali aziende hanno imboccato una strada giusta, e quali sono salite sul treno di una tendenza senza avere un potenziale di rendimento. E una caratteristica simile alle rivoluzioni industriali del passato. Quanta gente costruiva automobili in maniera artigianale all'inizio del Novecento? Di quei nomi ne rimangono pochi: Ford, Daimler, Fiat. Chi avesse guardato alla proliferazione di produttori di auto cent'anni fa, non poteva conoscere i nomi dei vincitori. L' insuccesso di alcune iniziative imprenditoriali è compatib
ile col successo della novità tecnologica".
Si dice: in America la New Economy ha debellato l'inflazione. Grazie alle nuove tecnologie i guadagni di produttività sono tali che la crescita economica può proseguire a oltranza senza infiammare i prezzi. E realistico?
"L'inflazione viene raffreddata non dall'alta produttività, ma dagli incrementi di produttività. E importante cogliere la differenza, per capire se l'alta crescita economica sia compatibile con una bassa inflazione. Quando una nuova tecnologia viene introdotta nelle aziende, la produttività del lavoro aumenta per sempre, ma il processo di miglioramento non dura all'infinito. Se c'è un fatto nuovo che accresce la produttività in maniera significativa, questo fa salire la crescita potenziale e non-inflazionistica dell'economia per il periodo nel quale la produttività cresce. Per quel periodo, ma non oltre, allontana la soglia oltre la quale la crescita diventa pericolosa per la stabilità dei prezzi".