Radicali.it - sito ufficiale di Radicali Italiani
Notizie Radicali, il giornale telematico di Radicali Italiani
cerca [dal 1999]


i testi dal 1955 al 1998

  RSS
lun 28 apr. 2025
[ cerca in archivio ] ARCHIVIO STORICO RADICALE
Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Maura - 11 agosto 2000
Re: Oggi ho visitato il carcere di Regina Coeli

"L'assurda pretesa di reinserimento in un assurdo inserimento"

Questa mattina sono entrata nel carcere di Regina Coeli.

Io (come accompagnatrice e cittadina curiosa), Sergio D'Elia, (segretario generale dell'associazione Nessuno Tocchi Caino, contro la pena di morte nel mondo), Marco Cappato, (Eurodeputato Radicale), Daniele Capezzone, (responsabile dell'informazione al Partito Radicale), Avi (militante innamorato del pensiero radicale, italo-francese, da poco iscritto al PR) e il simpatico senatore Piero Milio, (l'unico rappresentante al Parlamento Italiano per la lista Bonino).

Dopo un colloquio preliminare con il vicedirettore del carcere siamo entrati nel cuore dello stabile, da dove si snodano i bracci, 6 mi pare. Ad accompagnarci c'era una curiosa Vicedirettrice e alcuni agenti di custodia.

La prima sensazione che ho provato è stata di soffocamento.

Sulle pareti di questo cuore centrale stavano due grandi quadri, rappresentanti la Madonna e Gesù in croce, con la sua faccia sofferente e rassegnata.

La stessa espressione che ho letto sulle faccie dei detenuti.

Primo braccio: una serie di celle di 1m e 40 di larghezza per 3m e 20 di lunghezza dove convivono fino a 4 o 5 persone, (in alcune celle c'erano fino a 9 persone!), di differente provenienza geografica, di differenti stati di salute (spesso malati infetti da HIV insieme a persone "sane"), con differenti situazioni penali (assassini con spacciatori, per esempio).

Siamo entrati nelle celle, abbiamo parlato con i detenuti. Molti non hanno la possibilità di telefonare ai propri familiari se non su richiesta (molti non sapevano che è possibile fare tale richiesta).

Nel primo braccio, ci dicono, i detenuti vengono tenuti provvisoriamente, per poi essere smistati negli altri bracci, forse più vivibili di questo.

La vicedirettrice del carcere (davvero curiosa nel suo vestitino fiorato e le sue scarpette rosa) ci spiega, molto sommariamente, come si verifica tale smistamento. Non è molto chiaro dopo quanti giorni vengono trasferiti; dai suoi troppi sorrisi e dal suo linguaggio un po' troppo formale intuisco che forse lo smistamento non avviene proprio.

La cosa che mi ha più impressionato è lo stato dei servizi sanitari. Non ho visto docce, molti buchi al posto delle comuni tazze, rozzi e sporchi lavandini e, in molte celle, il bagno e la cucina sono in un'unica stanza (per meglio dire loculo). Molti detenuti hanno "diritto" a mezz'ora di permesso al giorno per andare in cortile. I più "fortunati", due ore.

Repressione nella repressione.

Braccio n.8: dove matti e detenuti puniti per reati sessuali si ritrovano "felicemente" insieme. Le celle singole dei più matti sono composte di un letto fissato al pavimento, niente lenzuola, bagni ancora più fatiscenti degli altri.

Vedo molti giovani detenuti e molti stranieri. Alcuni di loro mi dicono di stare bene, evidentemente raffrontano il bene attuale con la situazione drammatica del loro paese d'origine.

Visitiamo anche la biblioteca: una piccola stanza, occupata quasi interamente da un grande tavolo da ping pong, gestita da due algerini volontari che si dividono i turni. In tutte le celle ci sono televisioni, pressocchè assente la radio, che può essere acquistata dai detenuti ma può essere ascoltata solo in cuffia e, in genere, è permesso sintonizzarsi solo sulla frequenza AM piuttosto che FM. Il mondo di internet qui non arriva e probabilmente non arriverà mai (nemmeno il direttore del carcere ne possiede uno).

Ho visto anche la stanza per lo studio dove ci sono banchi uno sopra l'altro.

"Inutilizzata?" chiedo al mio compagno di visite Avi. Lui, un po' sconcertato mi dice "forse rispettano la chiusura dell'anno scolastico!". Cerchiamo di sdrammatizzare.

Prima di andarcene la sorridentissima vicedirettrice ci porta a visitare il braccio in fase di restauro, di cui sembra andare molto fiera.

Praticamente le celle sono uguale alle altre (come dimensioni), con l'aggiunta di un altro spazietto per la cucina, bianche di vernice appena passata, pulite, insomma.

La vicedirettrice ci assicura che ogni cella sarà destinata ad un massimo di due detenuti (crederci mi riesce difficile visto il sovraffolamento sempre crescente).

Non volevano che si facessero domande di tipo giuridico, riferite a processi e simili.

Non volevano che facessimo troppe domande, in generale.

Non hanno permesso la ripresa televisiva (due cameramen del tg3 volevano fare delle riprese, ma hanno dovuto aspettarci fuori).

La sensazione che ho provato quando sono uscita era quella di essere entrata in una grande pattumiera, dove vengono gettati i rifiuti di questa società, legalmente malata. Si parla di reinserimento del detenuto nella società.

Mi chiedo come può reinserirsi una persona che si trova a vivere un periodo a Regina Coeli piuttosto che a Rebibbia (che mi dicono non molto diverso, seppur un poco più spazioso), dopo aver sopportato situazioni di convivenza che non è nemmeno sopravvivenza, quanto un essere costretti a vivere nell'assurdo, nella tristezza di una cella da condividere con più persone, dove solo il letto può garantirti un minimo di autonomia, senza la possibilità di prendere aria per più di due ore al giorno (apprendiamo, ripeto, meno, anche solo mezz'ora), celle senza luce, per tante e tante ore del giorno.

Una situazione che mi sa di disumanità. Non esagero, è quello che ho visto e soprattutto odorato e percepito.

Quando sono uscita, c'era il sole ed era piacevole scaldarsi e pensare quanto la libertà vada difesa, coccolata, amata, come una compagna imprevedibile e coraggiosa. E quello che ho visto mi rimane dentro come una domanda a cui non riesco a trovare risposta se non un' accusa, al nostro sistema giudiziario: tenere in una situazione simile un detenuto in attesa di giudizio (e sono il 40% della popolazione carceraria), è un atto irresponsabile, cattivo, ragionevolmente e umanamente inaccettabile.

I radicali sono gli unici a denunciare queste situazioni, constatando di persona, invece che discuterne da lontano e senza una vera assunzione di responsabilità, come fanno la maggior parte dei nostri politici.

Vediamo se e come verranno risolte queste situazioni di illegalità e di non rispetto totale della persona umana. Vediamo quali soluzioni prevedono i nostri politici che ad agosto non sono costretti a restare in una cella di pochi metri, senza luce ed aria, senza nemmeno un albero nei dintorni da poter guardare con pacata nostalgia. I detenuti non sono solo la "feccia" della società cosiddetta "perbene", essi sono persone come noi, che fanno degli sbagli come potrebbero fare ognuno di noi.

Per alcuni di questi sbagli lo Stato decide di punire (giustamente, per alcuni casi; alcuni tuttavia, non per la maggioranza, vittime spesso di leggi ingiuste, oltre a quelle proibizioniste) e, a parole, si propone di rieducare questi disadattati, per un felice reinserimento nella libera (?) società.

Ma da quel poco che ho potuto osservare (non riuscivo a sorridere come la vicedirettrice!) non mi sembra che i detenuti abbiano questa reale possibilità di educarsi o rieducarsi per divenire dei cittadini modello, grazie anche e soprattutto all'esperienza carceraria chi è che avrebbe voglia di leggere in una piccola stanza con poca luce e poca aria e piena di gente problematica e giustamente infelice?

Aspettando il ritorno dalle vacanze dei nostri politici, i radicali continueranno le loro visite ispettive con successive denunciare, nell'attesa di una risposta istituzionale un po' più democraticamente lucida e ragionevole, piuttosto che assurda o inefficace come spesso si manifesta la nostra democrazia, di cui le carceri ne sono spiacevole espressione.

E se l'opinione pubblica non sente questi problemi è perché non li vede io ho visto, mi sono fatta una opinione e attraverso le parole spero di far vedere anche a chi non sa, o non vuole sapere.

 
Argomenti correlati:
stampa questo documento invia questa pagina per mail