"La Stampa" di oggi ci informa di una polemica sul Financial Times fra l'ex portavoce del Dipartimento di Stato americano, James Rubin, e il ministro degli Esteri, Lamberto Dini su quanto avvenne durante i negoziati di Rambouillet sul Kosovo, nel febbraio 1999. Dini è accusato da Rubin di essere filo-serbo; nella sua replica, Dini afferma, tra l'altro che " Al contrario da quanto Mr. Rubin ci fa credere i kosovari non hanno mai accettato il testo sottoposto perché mantennero sempre la loro riserva sulla necessità di un esplicito cenno di un referendum sull'indipendenza se invece lo avessero accettato sarebbe stata solo Belgrado la responsabile del fallimento del negoziato ".
Le affermazioni di Dini sono gravi e non corrispondono a verità. Riporto quanto scritto sulla rivista "Limes" (n. 2/99), non certo accusabile di posizioni filo-kosovare: " il 18 marzo solo i kosovari Thaçi, Ibrahim Rugosa e Rexhep Qosja sottoscrivono l'accordo. I serbi sono già tornati a Belgrado. Fra i tre garanti, Majorskij (il negoziatore russo, ndr) rifiuterà di apporre la sua firma in calce. Ma era di gran lunga troppo tardi per lui per insistere ancora una volta su un aspetto su cui Belgrado avrebbe potuto puntare, se solo avesse voluto negoziare sul serio: dividere l'accordo in due parti. Prima concludere e sigillare davvero l'intesa politica, quindi discuterne l' <> anche militare. Ma, voltando le spalle a Majorskij, sono stati proprio i serbi a chiedere che tutto fosse unito in un solo pacchetto, che sapevano di non poter sottoscrivere a causa degli aspetti militari. In questo modo, impoliticamente, Milutinovic e Milosevic hanno rinunciato a cercare di sfruttare a fondo le divisioni fra i membri anche occidentali del Gruppo di contatto. Forse, per non dover affrontare davvero il nodo della rinuncia <> del Kosovo al tavolo delle trattative..".