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Conferenza Partito radicale
Partito Radicale Artur - 28 dicembre 2000
Un pezzo molto toccante scritto da Artur Zheji in ricordo di Antonio Russo

Roma 23.dicembre 2000

Lettera di auguri per l'Aldilà.

Destinatario: Antonio Russo.

Senza sonno. Mille pensieri per la testa. Fantasmi che mi visitano e bussano con tocco leggero. Fantasmi che cerco disperatamente incontrare. Ricordi freschissimi che pungono e sanguinano. Amici che se ne vanno per sempre. Pezzi di me stesso che vengono seppelliti con loro. Perdono nel buio i mille sorrisi e battute fatte. Scherzando con la morte che sembrava lontana, almeno più distante che dietro la porta, caro Antonio. E' vero, ci siamo persi di vista ultimamente, ma ho sempre conservato cose buone da ricordare, miku im. Avevo appena iniziato di insegnarti un poco d'albanese, ed era una gioia sentirti quando tornavi dal Kossovo, ed esaltavi in albanese:

"Si je mir'? Unè shum' mir' jam, rroftè uçk!"

Fratello italiano, (quante volte ti chiamavo cosi?!), io 'fratellone' albanese (il mio sopra nome preferito da te) ti saluto e ti auguro Buon Natale!

Bugiardo! Non sei stato di parola! Quante volte mi avevi promesso che tornavi vivo, quante volte ti ho detto di prendere sul serio i merdoni figli di puttana, iene di regimi corrotti che ammazzano dietro le spalle come è di mestiere per quei miserabili?

"Ho la pellaccia dura a prova di pallottola!" rispondevi da incosciente.

Fratellino

Io continuo a vivere lo stesso in questo mondo che non ci piaceva e che continua a non piacermi. E che è diventata meno vivibile senza di te, e la tua voce spesso rauca dal tabacco e dalla grappa generosa per i spiriti stanchi dalle lotte disperate.

Camminavi con passo leggero e con lo sguardo acuto lanciato in avanti come una pantera che protegge i suoi cuccioli indifesi. Inferocito contro i mostri armati di fucile scoprivi con coraggio il tuo petto stretto. Una gabbia soffocante per un grande cuore che scoppiava dalla rabbia quando vedevi e toccavi la vita spezzata dei kosovari. E la pantera piangeva mentre seppelliva i suoi cuccioli morti e mordeva l'aria fredda con le sue grida di scandalo e di "J'accuse!", che a malapena penetravano i salotti imbottiti di vanità e servilismo di un certo giornalismo in doppio petto, profumatamente pagato per non fare quello che facevi tu, fratellino italiano, anzi, napoletano.

Ti ricordi quando ti scambiavano per albanese e me per borghesoccio romano? Che risate, quante "va a fa in " abbiamo strillato con sfogo liberatorio per certa gente dal cervello avariato.

"Ei, albanese schifoso figlio di buona donna, saluta con rispetto i "dentro" comunitari, tu sei extra! Ti cacceremo via se non ci porti rispetto!"

"Siete dentro o ce l'avete dentro in quel posto?!" rispondevi tu ridendo come pazzo, svuotando un bicchiere di bitter.

Era una pazzia di uomini liberi, che se ne fregava del mondo dei soldi e dei ipocritici delle buone maniere del cazzo! Di certi esseri troppo puliti fuori e troppo vuoti dentro.

"Te la taglieranno quel codino ribelle i serbi Antò!"

"Che ci provino pure. Io gli taglio il pisello!"

Ed andavi con aria da passeggio, di nuovo dritto nel inferno della pulizia etnica. Da persona semplice, senza guarda spalle e senza i permessi del governo criminale che snobbavi.

Ricordo la tua voce da pantera ferita quando denunciavi il massacro di Raçak. Decine di vittime trucidate. Colpevoli solo di essere albanesi, albanesi in terra loro. Sparavano come un mitra le tue accuse, vanificando i finti racconti vellutati di un certo Remondino, che girava il Kosovo con guide di regime e pilotate da Belgrado. E oggi Sandro Provvisionato che non c'è mai stato a Raçak, scrive mascalzonate da due soldi, adottando la tesi di Belgrado che il massacro di Raçak era una messa in scena. Offendendo gratuitamente i morti ed i vivi.

Ma lasciamo perdere! Non vorrei neanche menzionare certa misera gente quando parlo con te, piccolo grande cittadino di un mondo che non c'è.

Hai protetto da solo la verità per undici giorni serrato nel buio di una città lager in guerra. Per difendere quello che ti era sacro: il testimoniare.

Accendevi la luce della tua candela durante i bombardamenti ed attaccato alla cornetta del telefono che per miracolo respirava come un essere vivente raccontavi per ore notizie. Fatti raccapriccianti, di sangue e fuoco.

Alla tua morte, Pristina ha pianto di dolore.

E nessuno capiva per il momento che anche tu eri una notizia vivente, la tua candela, il tuo telefono, il tuo non mangiare per giorni, il tuo pazzo coraggio suicida, il tuo sarcasmo e la tua rabbia, la tua nobile tristezza.

Una voce tremante e solitaria dal deserto del odio, perché il deserto non trionfi. Perché l'odio fermasse i suoi passi e la sua opera da becchino.

Incorreggibile cercatore di guai veri e mai appagati veramente.

C'è chi cerca l'oro, c'è chi, come te fratellino, che cerca di trovare anche nella lontana Cecenia, la verità che non si compra e non si vende. I cadaveri di piccoli angeli ceceni, bruciati vivi di giorno e seppelliti nel buio della notte e del silenzio.

"I bambini no, i bambini non si toccano!" dicevi sempre.

Ancora oggi i ristoratori kosovari ti ricordano circondato di bambini. Orfani o scalzi venditori di sigarette, piccoli cristi seduti da veri signori nel tuo tavolo 'scandaloso', con tanto di primo, secondo e dolce. Con camerieri sbalorditi e nervosi, come in certi vecchi film, che si proiettano ancora, giorno dopo giorno, come una realtà in bianco e nero, in altri posti.

Instancabile vagabondo in cerca di deserti dove si muore di pallottole, di bombe e di armi chimiche, per la volontà criminale di alcuni.

Dopo il Kossovo, la Cecenia, la Morte, il Trionfo del Male.

Amico mio dal codino ribelle, dagli occhi d'aquila anima sensibile e fiera non sei più con noi. Noi condannati di vivere, con la tua morte nel cuore.

Piango e mi sento orfano. E si, tu l'orfanello di una volta ti sei vendicato. Il tuo fratello pancione dalla barba dura, piange.

Da solo si intende, da solo con te.

Addio e buon Natale, Antò, piccolo grande cittadino di un mondo che non c'è.

 
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