Come sottrarsi alla colonizzazione dell'ingleseLA STAMPA, CULTURA Domenica 28 Gennaio 2001
Michele Perriera
QUALCHE tempo fa, su queste pagine, manifestavo il mio malumore verso la progressiva invadenza della lingua inglese. E maledicevo, non tanto scherzosamente, l'attuale civiltà che, pressata dal potere economico e militare americano, sembra quasi inebriata dall'esserne linguisticamente colonizzata. Tutto fa pensare, dicevo, che presto l'italiano, il francese, lo spagnolo, il tedesco e quante altre lingue si parlano nel mondo saranno relegate al ruolo di dialetti. E me ne dispiacevo, senza troppe fisime. Del resto, denunciando come perversa l'universale ossessione anglofona, non intendevo certo rispolverare l'ottusità nazionalistica d'altri tempi: invocavo piuttosto un vero e libertario cosmopolitismo, che avesse gli smaglianti connotati dell'arcobaleno. Sono certo tuttavia che molti lettori abbiano supposto che io fossi costipato dalla nostalgia e dalla vana speranza di fermare il corso della storia. D'altra parte io stesso prendevo su di me il rischio di parlare al vento. Sapendo però che il vento, se spazza
le cose e le idee, le fa comunque viaggiare; e non è poi così certo che le disperda per sempre. Di fatto il mio malumore è stato amorevolmente accolto da un numero sorprendentemente nutrito di lettori, molti dei quali mi hanno voluto scrivere per condividere con me la speranza che si possa ancora resistere alla tirannia della lingua inglese. Una lingua cioè che - pur essendo bella, vivace, sbrigativa e solerte - non può certo vantare un diritto di invasione che sia fondato su importanti ragioni morali e culturali. Una particolare simpatia verso i miei argomenti hanno voluto manifestare i sostenitori dell'ESPERANTO, la Rinternazionale- lingua artificiale che da un centinaio d'anni viene sostenuta e coltivata da molte appassionate minoranze. Alcuni di loro mi scrivono più o meno: RE' bello che lei abbia contestato il crescente imperialismo della lingua inglese. Ma se si ferma a questo, lei rischia di intonare un dolce canto funerario. Manca nel suo articolo un'alternativa concreta e convincente. Poiché l'odier
na civiltà deve disporre di una lingua che renda internazionale la comunicazione, si tratta di indicare in che modo questo può avvenire senza decretare la supremazia di una cultura sulle altre. Ebbene, noi pensiamo che la soluzione stia nella universale adozione dell'ESPERANTO. Si tratta infatti di un linguaggio esplicitamente strumentale, che non cancellerà mai le lingue "naturali", anzi rimanderà puntualmente ad esse, come particolari e insostituibili testimonianze di cultura vissuta-. Conoscevo da molto tempo, com'è ovvio, l'esistenza del movimento esperantista e il vigore con cui sostiene la necessità che l'ESPERANTO si insegni nelle scuole. E confesso di aver sempre guardato con simpatia ma con un certo scetticismo a una proposta che, mi dicevo, non reggerà mai all'urto della storia. Ma ora che avverto sempre più vicina l'occupazione anglofona della Terra e leggo la passione e le ragioni degli esperantisti che mi hanno scritto, sono tentato di credere che forse l'ESPERANTO è una buona soluzione. Vale la
pena di rifletterci, almeno. Tutti, intendo, da tutte le parti del mondo. Certo, per quanto attiene a noi italiani, non è forse inopportuno ricordarsi che la nostra migliore tradizione culturale ha un valore morale inestimabile ed esso non può rischiare di essere sepolto dalla invasione linguistica di una cultura commercialmente più forte. Ma anche le lingue più Rpovere- meritano non solo di conservare ma di lasciare emergere la loro differenza con pari Rdiritto naturale- dell'inglese. Perché questa Reguaglianza dei diversi linguaggi naturali- splenda in tutta la sua democrazia, occorre forse che la lingua comune a tutti non sia naturale; sia invece l'esito di una pura convenzione. Questa convenzionalità farebbe della lingua artificiale nient'altro che una lingua virtuale: essa, per quanto utile ed efficace, non avrebbe un corpo vero, il quale continuerebbe a battere col cuore delle diverse lingue naturali. Riflettiamoci, almeno. Senza pigrizia e senza lasciarsi incantare dalla seduzione del più forte.