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Partito Radicale Giorgio - 6 febbraio 2001
L'inglese? Com'è povero e imbastardito
Babele 2001/Aumentano le lingue minacciate di estinzione. Ma, per il Wwf, anche quella di Shakespeare ha grossi problemi

Il Messaggero 6/2/01

ANNA GUAITA

New York

L'ULTIMO allarme è venuto qualche settimana fa da Israele: "L'ebraico rischia il declino: l'inglese lo minaccia" scriveva il Jerusalem Post. La testimonianza è particolarmente bruciante perché l'ebraico è stato finora indicato come il più fulgente esempio di lingua in via di estinzione salvata per la collottola e riportata a nuova e fiorente vitalità. Se anche questa lingua, alle spalle della quale c'è una forte volontà politica e religiosa, perde colpi davanti all'uber-English, che cosa ne sarà delle seimila lingue che nel mondo arrancano a fatica? Le previsioni degli specialisti sono pessime: uno studio commissionato dall'associazione ambientalista World Wildlife Fund in collaborazione con gruppi per la difesa dei diritti umani rivela che almeno la metà di esse è destinata a cadere nel dimenticatoio, o (nella migliore delle ipotesi) a sopravvivere negli archivi delle facoltà di linguistica delle varie università.

Le lingua cambiano e talvolta muoiono, questa non è una novità. Nei secoli, questa selezione darwiniana ha segnato il destino di tanti altri idiomi umani. Il fenomeno che il mondo si trova davanti oggi è mille volte più grave perché mille volte più veloce: il ritmo con cui le lingue scompaiono si è moltiplicato esponenzialmente, non è più un naturale sviluppo della civiltà umana, è un elettroshock.

Negli ultimi anni ci si è resi conto che l'omogeneizzazione delle culture è la conseguenza logica della globalizzazione. E l'omogeneizzazione avviene sul modello delle culture forti e dominanti: "Per farsi sentire, i deboli devono parlare la lingua dei forti. Ma più i deboli parlano la lingua dei forti, più la lingua dei deboli perde autorità e influenza" spiega Miguel Leon Portilla, lo storico messicano che sta lottando per salvare alcune lingue indigene del suo paese.

Solo 250 delle 6 mila lingue ancora esistenti al mondo sono parlate da più di un milione di persone e possono continuare a dormire sonni tranquilli. Circa 4 mila sono idiomi locali, sconosciuti fuori dai confini di piccole regioni: ad esempio, lo Yup'ik è parlato da 22 mila Inuit nell'Alaska occidentale, il Karen da una minoranza tailandese di 41 mila persone, il Sanbum da 147 mila in Kenya. Poi c'è un gruppetto di lingue parlate da minuscole minoranze di poche centinaia di persone, e la loro esistenza è segnata: "Una lingua continua a vivere se ci sono bambini che la imparano - spiega Michael Krauss, direttore dell'Alaska Native Language Center - se è utile per comunicare con altre persone. Sennò diventa lettera morta". E di quelle morte, può capitare che non rimanga traccia, che non rimangano grammatiche o testi scritti. Negli Stati Uniti ad esempio, dove prima dell'arrivo dell'uomo bianco c'erano centinaia di lingue indigene, tre quarti di esse sono andate perse: quando nel 1996 il vecchio capo Nuvola Tem

pestosa morì si portò con sé la lingua della sua tribù, i Sioux Catawba. La tribù vive ancora, ma la sua lingua è morta.

Lo studio del Wwf aggiunge un nuovo elemento di preoccupazione a questo già triste panorama: ogni lingua che scompare si porta via anche la "conoscenza ecologica" che quel particolare gruppo umano ha accumulato attraverso secoli di coesistenza con la natura. Il fenomeno è ovviamente grave nel caso di culture indigene, come quelle amazzoniche, in cui la "sapienza naturale" è tramandata oralmente: "La scomparsa di questi idiomi pone fine alla trasmissione di una ricca e spesso insostituibile conoscenza degli ecosistemi locali" spiega Gonzalo Oviedo, del Wwf.

Ma anche la lingua dei forti non è così soddisfatta di quel che avviene sul fronte linguistico. Il cosiddetto uber-English, la "lingua franca" che oggi si parla nel mondo non è l'inglese di Shakespeare. Semmai corrisponde allo Special English, una versione-Bignami adottata subito dopo la seconda guerra mondiale dalla stazione radio Voice of America per le sue trasmissioni propagandistiche dirette a tutto il mondo. L'arco espressivo dello Special English si esaurisce in appena 1.500 parole, contro le 750 mila della lingua inglese colta.

Ed è destinato a peggiorare progressivamente. Più è usato come lingua franca, più l'inglese si scarnifica. Entro pochi anni, notano i linguisti, l'inglese mondiale non farà più differenza fra plurali e singolari, lascerà cadere l'aspirazione della h, userà un solo tempo. E assumerà pian pianino caratteri diversi nei diversi angoli del mondo. In un certo senso, nasceranno dialetti inglesi locali, sul modello dello spanglish o del pidgin. Lo spanglish è un linguaggio a metà fra lo spagnolo e l'inglese parlato dai ragazzi di origini latinoamericane negli Stati Uniti. Il pidgin è un dialetto su struttura inglese sviluppato dagli abitanti delle isole Hawaii. E' importante sapere che chi parla spanglish non capisce il pidgin: sono due tipi di inglese oramai talmente imbastarditi da sembrare lingue diverse.

Esiste un modo per evitare il massacro continuo delle lingue e il trionfo di un inglese troppo povero per soddisfare il bisogno espressivo dell'uomo? Negli ultimi anni sono nate varie associazioni per ridare forza alle lingue a rischio. Alcuni esperimenti sono degni di nota. In Honduras la lingua miskito è stata salvata dall'estinzione grazie alla scolarizzazione bilingue nelle scuole della regione. Lo stesso sta avvenendo in Alaska con lo Yup'ik e in Camerun con le lingue locali che erano state cancellate dai colonizzatori francesi e inglesi. In Lettonia gli abitanti della Livonia sono riusciti a dare nuova vita al livone: era stato dichiarato estinto nel 1777, e oggi lo parlano più di duemila lettoni. Sono poche e rare iniziative, ma sono un successo. E la voce è corsa. In Internet, ovviamente. In inglese, ovviamente. Ma era importante che tutti capissero.

 
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