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Partito Radicale Lapo - 16 marzo 2001
L'inglese nuoce gravemente alla salute?

Ad un anno dalla ricerca che dimostrava la difficoltà neurologica dei popoli latini ad apprendere la lingua di Shakespear un nuovo studio scientifico, di prossima pubblicazione sull'anglofono "Science", getta ombre sulla politica pro inglese dei Ministeri della pubblica istruzione di mezza Europa.

Questa nuova ricerca ha infatti mostrato che i bambini che studiano l'inglese hanno il doppio di probabilità di diventare dislessici rispetto a coloro i quali apprendono l'italiano.

Ma la cosa più interessante emersa da questo studio condotto da ricercatori inglesi, italiani e francesi è il legame tra ortografia, fonetica e dislessia. Un dato interessante soprattutto se si pensa, per esempio, che l'esperanto, le cui qualità di orientamento linguistico sono ormai appurate, ha praticamente un rapporto uno a uno tra suoni e modalità di rappresentazione (rapporto che sarebbe la principale causa individuata dagli scienziati del maggior numero di casi di dislessia tra gli studenti della lingua inglese).

Insomma se proprio si vuol insegnare ai nostri pargoli la lingua della perfida Albione che almeno si avverta i genitori dei rischi che corrono le loro amate creature (magari facendo scrivere sui libri di testo frasi del tipo: "Attenzione lo studio prematuro di questa lingua può indurre dislessia").

Oppure si adottino dei metodi didattici non invasivi, come quello di Paderborn, di orientamento linguistico tramite l'esperanto. Metodo che secondo uno studio pubblicato in una circolare del Ministero della pubblica istruzione ha anche il vantaggio non indifferente di far apprendere meglio ed in meno tempo le lingue straniere (per l'inglese, per esempio il guadagno di tempo è tra il 30 e 40% rispetto ai metodi tradizionali).

Lapo Orlandi

"Esperanto" Radikala Asocio

Segretario aggiunto

I risultati di questa ricerca sono stati anticipati dal Corriere della Sera di oggi:

Annuncio al San Raffaele: disturbi linguistici provocati da ortografia e fonetica complicate

"Inglese troppo difficile, favorisce la dislessia"

MILANO - Imparare a leggere e a scrivere in inglese è più difficile che imparare a leggere e a scrivere in italiano. Lo dimostra uno studio pubblicato su Science sulla dislessia, la malattia che colpisce due milioni di bambini italiani che presentano difficoltà nell'apprendimento della lingua scritta. Questione di ortografia e fonetica, spiegano gli studiosi che hanno dato l'annuncio al San Raffaele di Milano. Sia l'inglese sia il francese (ma soprattutto il primo) sono infatti lingue con un'ortografia e una dizione irregolare: parole molto simili possono essere pronunciate in modo molto diverso. L'italiano, invece, si legge come si scrive. Così nei Paesi anglosassoni il numero di bambini dislessici è doppio rispetto all'Italia: 8% contro 4%. A pagina 19

D. Monti

Lo studio pubblicato su "Science": ecco perché nel mondo anglosassone colpisce l'8% dei bambini

Parlare inglese favorisce la dislessia

E' un problema di ortografia: l'italiano dimezza la frequenza del disturbo

MILANO - Imparare a leggere e a scrivere in inglese è più difficile che imparare a leggere e a scrivere in italiano. Lo dimostra uno studio, che sarà pubblicato sul prossimo numero di Science , elaborato a più mani da ricercatori inglesi, francesi e italiani dell'Istituto scientifico San Raffaele di Milano. Questione di ortografia, spiegano gli studiosi. Sia l'inglese che il francese (ma soprattutto il primo) sono infatti lingue con un'ortografia irregolare: parole molto simili, possono essere pronunciate in modo molto diverso. Da qui nascono le difficoltà: in inglese ci sono più di mille modi per rappresentare 40 suoni usando diverse combinazioni di lettere. L'italiano, invece, si legge come si scrive: 33 combinazioni di lettere bastano a rappresentare 25 suoni. Conseguenza? Nei Paesi anglosassoni il numero di bambini dislessici, vale a dire con difficoltà di lettura e di scrittura, è doppio rispetto all'Italia: 8% contro 4% (che, per il nostro Paese, significa quasi due milioni di casi).

LA MALATTIA - E' partendo da questa constatazione, e quindi risalendo il percorso a ritroso, che gli studiosi sono arrivati alle loro conclusioni. Si tratta di una delle ricerche più approfondite condotte fino ad oggi sulla dislessia, importante non solo perché dimostra che questo disturbo dell'apprendimento è strettamente legato all'ortografia (più l'ortografia di una lingua è irregolare, più il disturbo si manifesta), ma anche perché sgombra il campo da un equivoco: che la dislessia possa avere origine da un deficit di intelligenza o da una mancanza di applicazione da parte del bambino, che non impara a leggere perché non si impegna abbastanza nello studio. Tutto falso, dice ora il professor Ferruccio Fazio, direttore dell'Istituto di neuroscienze e bioimmagini del Cnr presso il San Raffaele: "Il nostro studio ha dimostrato l'esistenza di una base biologica della dislessia - spiega -: il cervello dei bambini dislessici presenta, cioè, delle alterazioni nel suo funzionamento. Mentre i soggetti normali, quan

do leggono, aumentano il flusso di sangue in alcune aree cerebrali, attivandole, questo processo non avviene nei soggetti dislessici". Così quello che Fazio chiama il "circuito della lettura" non si chiude e il bambino dislessico fatica a scrivere e a riconoscere le parole scritte. Ma perché il meccanismo si inceppa? "Sulle cause esistono ipotesi, ma nessuna certezza - riprende il neurologo -. Il nostro studio ci ha permesso di localizzare le alterazioni, ma qui si ferma. E' verosimile che all'origine possa esserci una degenerazione dei neurotrasmettitori cerebrali (cioè delle sostanze chimiche della trasmissione nervosa, ndr ), ma il tema è ancora tutto da approfondire". La ricerca del San Raffaele rappresenta dunque solo una tappa: "Quando riusciremo a capire le cause della dislessia - guarda avanti il professore - potremo mettere a punto anche una cura farmacologica che oggi non esiste".

LA CURA - Nell'attesa, per i bambini dislessici l'unico aiuto può venire infatti da particolari strategie educative che "aggirano" la loro difficoltà di leggere e scrivere puntando tutto sulla lingua parlata, dove non hanno alcun tipo di problema (gli inglesi come gli italiani). Ma questo sistema paracadute funziona ad una condizione: che la malattia venga diagnosticata precocemente. Accade sempre, professore? "Purtroppo no: la dislessia molto spesso non viene riconosciuta - risponde Fazio -. I bambini dislessici, che sono tanti, vengono molto spesso e per lungo tempo scambiati per bambini poco intelligenti o che non si applicano nello studio. Così la situazione degenera. Eppure basterebbero semplicissimi test neuropsicologici per far venire a galla la realtà. La scuola sta facendo qualcosa, ma non è abbastanza: i docenti non sanno quasi niente di questo problema. Rivolgo un appello al ministero dell'Istruzione: qualche seminario ben fatto nelle scuole potrebbe facilitare la comprensione della malattia e qui

ndi favorire l'inserimento di molti bambini dislessici, che potrebbero avere una vita normale".

 
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