Il decreto sulle tossicodipendenze è nato nel gennaio del 1993, grazie all'azione di Marco Pannella e dei parlamentari Riformatori, con il governo Amato. Doveva essere il decreto sulla "riduzione del danno", cioè sulla riforma laica delle politiche sulla droga nel nostro Paese. Ma il decreto si è trasformato via via, con i governi Berlusconi e Dini, nel decreto-manifesto della "antiriduzione del danno". Pochi giorni fa è giunto infatti alla sua 20a reiterazione attraverso una decina di versioni diverse dalle quali è progressivamente scomparso qualsiasi accenno alla riduzione del danno dopo le importanti aperture determinate dal referendum e dalla conferenza nazionale sulla droga di Palermo del giugno 1993, nella quale l'allora ministro degli Affari Sociali Contri si impegnò per il rispetto dell'esito referendario e diede pubblicamente atto al Cora del suo impegno per l'avvio anche in Italia delle politiche di riduzione del danno.
Il risultato prodotto in tutto questo tempo dalle successive reiterazioni è stato quello di fare precipitare nella completa incertezza e assenza di diritto tutte le politiche e tutti gli interventi sulla droga in Italia.
L'attuale impostazione del decreto, dovuta al ministro "tecnico" Ossicini, è centrata non solo sul rifiuto di ogni innovazione e sperimentazione, ma anche sull'equivoco assolutamente antiscientifico secondo il quale tutto, anche i semplici esercizi di moralismo, può essere definito "riduzione del danno". Invece di preoccuparsi di definire obiettivi e criteri scientifici della riduzione del danno, Ossicini ha accettato supinamente il diktat proibizionista.
Di quanto ottenuto con il referendum del 1993, dunque, quasi nulla è stato attuato: se da una parte meno consumatori di droghe illegali finiscono in carcere, dall'altra continuano a verificarsi fermi di polizia, di giovani, a volte giovanissimi, presunti consumatori di cannabis. I ragazzi vengono, in genere, rilasciati dopo qualche giorno, avendo subito il sequestro di denaro e di eventuali quantità di derivati di cannabis indica. L'accusa mossa in genere è di "detenzione e spaccio" o "concorso in spaccio".
Resta poi aperta tutta la questione della libertà terapeutica dei medici e non esistono dati ufficiali sull'utilizzo dei finanziamenti statali antidroga.
Intanto, in Italia, nel 1995, sono aumentati in maniera sensibile i morti per overdose, si mantengono livelli inquietanti di infezione da HIV fra la popolazione tossicodipendente e rimangono esclusi da ogni forma di assistenza coloro che, essendo tossicodipendenti, non fanno voto di astinenza: oltre al proibizionismo sulle sostanze, permane il proibizionismo sulle cure. E il rapporto annuale del Governo appare sciatto, carente e di difficile reperibilità per gli organi di informazione e gli stessi studiosi come denunciato dal Cora nel mese di aprile.
Se però le politiche si giudicano dai risultati, e lo scenario è quello che sappiamo, perché il Governo - nel quale sono presenti antiproibizionisti dichiarati - non riconosce le urgenze e non sfrutta questa occasione per dichiarare ed ammettere la bancarotta delle politiche sulla droga nel nostro paese e per tornare a quella prima, parziale ma importante, svolta contenuta nel decreto nella sua versione originaria, nel rispetto di quanto voluto dalla maggioranza degli italiani con il referendum del 1993?