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Radio Radicale Roberto - 23 ottobre 1996
ATTUAZIONE DEL RISULTATO REFERENDARIO

Il risultato referendario - abolendo, da una parte, le sanzioni penali per il consumo di droghe proibite e il "meccanismo" della dose media giornaliera e liberalizzando, dall'altra, le possibilità di cura delle dipendenze con farmaci sostitutivi - non si limitò ad incrinare "l'assetto punizionistico" che la legislazione italiana assunse con la legge 162/90 (essendo invece quello propriamente proibizionistico caratteristico della stessa legge 685/75) ma introdusse elementi di contraddizione nello stesso impianto della legislazione. Queste contraddizioni, in linea di principio, consentirebbero interpretazioni "miti" delle norme relative al consumo, ma hanno nello stesso tempo consentito applicazioni "dure" della normativa.

Il combinato disposto dell'abrogazione dell'art.76 della 162/90 - sanzioni penali per il consumo - e della dose media giornaliera, dovrebbero preservare i consumatori di droghe, indipendentemente dalla quantità e dalla qualità della sostanza detenuta, dall'ingresso nel circuito penale, laddove non sia provato un comportamento di spaccio. La stessa Corte Costituzionale ha riconosciuto che il referendum ha "isolato la posizione del tossicodipendente (ed anche del tossicofilo) rendendo tale soggetto destinatario soltanto di sanzioni amministrative... e non anche di sanzione penale" (sentenza 296/96).

Al contrario, in via giurisprudenziale (tanto della magistratura ordinaria quanto di quella costituzionale) e con la silenziosa complicità dei governi che si sono via via succeduti, si è reintrodotto - di fatto - il criterio della dose media giornaliera: chiunque detiene droga in quantità eccedente la necessità per pochi, pochissimi giorni, ha oggi non solo la probabilità, ma la certezza di essere condannato a norma dell'art.73: lo spaccio viene non solo presunto, ma "provato" in ragione della quantità di droga detenuta. Di fatto è come se il referendum non si fosse mai tenuto. E rispetto a questo problema gravissimo - di rispetto delle leggi e dei diritti dei cittadini così come di politica giudiziaria - né il Governo né il Parlamento hanno ritenuto di intervenire.

Analoghe contraddizioni emergono in ordine ai problemi della libertà terapeutica, dei diritti alle cure, delle linee di politica sanitaria delle tossicodipendenze.

Il referendum, intervenendo sulla legislazione esistente, ha consentito a tutti i medici la possibilità di curare tossicodipendenti con farmaci sostitutivi (di fatto con l'unico farmaco sostitutivo consentito: il metadone). In realtà questo potere rimane oltremodo astratto, perché alla liberalizzazione delle "possibilità" di cura (peraltro nuovamente compromessa dai vincoli burocratici introdotti nell'ultima versione del decreto sulla cosiddetta "riduzione del danno") non ha corrisposto una liberalizzazione dei sistemi di cura. Alcuni farmaci sperimentati in passato (morfina) sono interdetti; altri (buprenorfina) sono "in via di sperimentazione" e quindi non disponibili e non prescrivibili per la cura delle tossicodipendenze. Il principio cardine della politica sanitaria in tema di tossicodipendenze è tuttora costituito sia dalla somma del rifiuto ideologico verso le terapie sostitutive e farmacologiche in senso lato, che dal "blocco" burocratico rispetto a tutte le sperimentazioni.

Dato tutto questo appare evidente che l'attuazione del risultato referendario, dovrebbe comportare:

1) una riscrittura dell'art.75 del DPR 309/90 che chiarisca, inequivocabilmente, l'irrilevanza della quantità e qualità della droga detenuta ai fini della contestazione del reato di spaccio;

2) la modifica dello stesso art.75 per ricomprendere anche la coltivazione delle piante di cannabis (analogamente a quanto avviene per l'acquisto o l'importazione) fra le condotte propedeutiche alla detenzione per uso personale e quindi assoggettabili alle sole sanzioni amministrative.

Ad oggi, ope legis, è stabilito che la coltivazione, anche quando sia limitata a poche piantine, sia condotta sanzionabile solo a norma dell'art.73, nella presunzione che sia, di per sé, riferibile solo ad una intenzione di spaccio o di cessione (anche quando i fatti dimostrino manifestamente il contrario). La ratio della norma ha già trovato riscontro in sentenze della Consulta che hanno rigettato alcune questioni di legittimità costituzionale sollevate in ordine a questo aspetto dell'art. 73.

Una disciplina esclusivamente penale della coltivazione è dunque oltremodo irragionevole: in primo luogo perché l'esperienza dimostra che la coltivazione di cannabis in piccole quantità (quando non sia puramente simbolica) è finalizzata davvero ad un consumo personale o di gruppo (e non alla cessione a terzi od allo spaccio); in secondo luogo perché, in questo modo, la normativa sanziona duramente l'unica condotta propedeutica al consumo che non implichi arricchimento per la criminalità, creando un circuito di circolazione e consumo delle sostanze parallelo a quello dello spaccio organizzato;

3) una diversa disciplina normativa del cosiddetto consumo di gruppo, per ricomprenderlo fra i comportamenti assoggettabili alle sole sanzioni amministrative. Tale condotta viene oggi fatta "scivolare" verso la sfera di applicazione dell'art.73, pur essendo, inequivocabilmente, fattispecie riferibile all'art.75;

4) la separazione della cessione gratuita di droghe dalle condotte disciplinate a norma dell'art.73.

E' facilmente comprensibile che la cessione gratuita non è, nella stragrande maggioranza dei casi, fenomeno criminale (cioè legato ai circuiti criminali di spaccio), e, di per sé, non accresce neppure la quantità complessiva di droga in circolazione, essendo quasi sempre un passaggio da "consumatore a consumatore", cioè una ridistribuzione interna ai punti terminali (i consumatori appunto) del mercato.

Stando invece alla disciplina vigente su consumo di gruppo o cessione gratuita, si giunge invece a paradossi di questo tipo: se due amici vanno insieme a comprare due spinelli e li fumano insieme senza passarseli o scambiarseli, possono essere assoggettati alle sole sanzioni amministrative; se invece vanno insieme a comprare gli spinelli, ma li acquista uno solo di loro per poi dividerli con l'altro l'acquirente (il primo "terminale") tanto sub specie 1), quanto sub specie 2) può legittimamente essere incriminato a norma dell'art. 73, mentre l'altro (il secondo "terminale") può essere assoggettato alle sole sanzioni amministrative;

5) l'abrogazione della norma (di cui all'art. 1, comma 3 del DL 476/96) che impedisce di ricorrere al Fondo nazionale di intervento per la lotta alla droga per il finanziamento dei programmi di riduzione del danno che comportino il ricorso alla terapia metadonica, laddove questi programmi non siano interamente gestiti dalle unità sanitarie locali.

Questa norma è un capolavoro dell'assurdo: da una parte "concede" a tutti i medici la prescrizione del metadone all'interno di programmi riabilitativi, dall'altra la disincentiva e, di fatto, la impedisce, all'interno dei programmi di riduzione del danno (di strada, a bassa soglia, ecc.): proprio quelli che esigono un maggiore ricorso a trattamenti farmacologici massicci;

6) l'introduzione di procedure di sperimentazione dei farmaci e delle cure, seguendo il principio del consenso informato del paziente, e quello della possibilità, per il medico, di fornire, anche al di fuori delle "autorizzazioni burocratiche", prove documentali in ordine alla validità delle terapie sperimentate; sarebbe sufficiente emanare nuovamente il (nel frattempo decaduto e non reiterato) DL 161/96 (estendendone la sfera di applicazione alla cura delle dipendenze) che fissava tali procedure all'art 2 comma 2.

Esistono poi altre riforme, che, senza rappresentare in senso stretto una attuazione del risultato referendario (cioè un "riportare" a forza di legge, come è dovuto e necessario, quanto il referendum ha stabilito), ne rappresenterebbero un logico compimento:

7) l'abrogazione delle sanzioni amministrative per il consumo di droghe illegali.

L'intero sistema sanzionatorio sopravvissuto alle abrogazioni referendarie dimostra di non avere alcuna rilevanza in ordine al controllo delle dipendenze ed al raccordo dei consumatori di droghe con i servizi. Lo "stigma" di disvalore imposto ai consumatori attraverso le sanzioni amministrative non sembra funzionare da disincentivo rispetto al consumo di droghe e continua al contrario a rappresentare l'aspetto più gravemente persecutorio e controproducente della normativa italiana sulle droghe. Non vi è dubbio che il costo sociale connesso al consumo di droghe è accresciuto, e non già ridotto, dall'imposizione di sanzioni (sospensione della patente, del passaporto, ecc.) che "complicano" la vita dei consumatori di droghe. Oggi le sanzioni amministrative non sono dunque un deterrente (ancorché ingiusto): sono una piccola "gogna" che lo Stato impone ai "devianti";

8) l'istituzione di un diritto dei tossicodipendenti a cure "d'elezione" e non obbligate.

Oggi i tossicodipendenti sono "oggetti" di cure: i Sert (che, per anni in via di diritto ed oggi di fatto, hanno esercitato un vero e proprio monopolio delle cure) continuano, nella stragrande maggioranza dei casi, a condizionare la "presa in carico" al rispetto da parte del tossicodipendente di una "precettistica" severa e rigida. Sono all'ordine del giorno i casi di tossicodipendenti che, in caso di recidiva, si vedono sospesi i trattamenti e mantengono con il Sert solo un rapporto burocratico.

I Sert sembrano quasi ovunque avere più uno statuto pedagogico-educativo che sanitario: sono luoghi di rieducazione (non a caso parlano di riabilitazione) e non di cura.

E' dunque necessario formalizzare il diritto degli utenti dei Sert ad una offerta terapeutica compatibile con il proprio stato, le proprie possibilità e le proprie scelte, secondo le stesse regole che valgono per tutti gli altri utenti dei servizi sanitari;

9) la "rivoluzione" nell'assistenza medica delle tossicodipendenze nelle strutture carcerarie. Ad oggi solo il 3% dei tossicodipendenti detenuti usufruisce di trattamenti metadonici sostitutivi pur costituendo, fra l'intera popolazione tossicodipendente, la parte più "vulnerabile", quella la cui vita è stata maggiormente compromessa dall'uso di droghe illegali, quella caratterizzata da maggiori livelli di recidività, pur rappresentando, insomma, dal punto di vista scientifico, quella più bisognosa di trattamenti farmacologici massicci e di interventi di prevenzione e normalizzazione sanitaria.

 
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