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Notizie CORA
Radio Radicale Roberto - 4 luglio 1997
DROGA: IL CAOS ITALIANO E LE RESPONSABILITA' DELL'ULIVO
di Marco Cappato, Tesoriere del CORA (Coordinamento radicale antiproibizionista)

L'OPINIONE, 4 luglio 1997

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"Il Governo dell'Ulivo sara' il Governo della legalizzazione delle droghe leggere".

Lo promise Franco Corleone poco dopo esser stato nominato Sottosegretario alla Giustizia. Ma le reazioni delle varie componenti della maggioranza, a partire dallo stesso Romano Prodi, non furono delle piu' calorose.

Tanto basto' alla Ministra per gli Affari Sociali Livia Turco per abbassare notevolmente il tiro e puntare alla "depenalizzazione", cioe' ad evitare il ricorso al carcere per i tossicodipendenti condannati per reati minori. E c'erano buone ragioni per credere che l'obiettivo sarebbe stato raggiunto senza troppi problemi, visto che si trattava di un impegno preso a nome del Governo, relativo piu' alla politica carceraria che non a quella sulle droghe.

Rimaneva da stabilire un piccolo dettaglio: a chi sarebbe spettata la responsabilita' politica di depenalizzare? Era disposto il Governo a richiedere su questo punto la compattezza delle forze di maggioranza? Un dettaglio capace non solo di bloccare la riforma, ma ha anche di scatenare una situazione di totale incertezza del diritto che va sempre piu' degenerando verso il caos.

L'episodio piu' clamoroso risale al 16 giugno scorso, quando la Corte di Cassazione sentenzia che e' punibile da 8 a 20 anni di reclusione chi passa uno spinello ad un amico. La stessa Corte di Cassazione aveva espresso sentenze diametralmente opposte nel corso dei mesi precedenti. Che cosa sta succedendo?

Sta succedendo che in Italia non esiste una politica sulle droghe ben definita. Accade che ciascun tribunale, magistrato, Procura, Carabiniere, Prefetto e chiunque altri abbia a che fare con dei "casi di droghe" (consumate, cedute, spacciate, detenute e tutte le altre fattispecie, probabilmente infinite, determinate dal rapporto tra i cittadini e le sostanze proibite) segue una sua propria linea, spesso in contraddizione con le altre.

Ma fin qui nulla di nuovo. Sin dall'entrata in vigore dell'attuale legge Craxi-Jervolino-Vassalli e' spettato alla "Giustizia" il compito di adattare la parola d'ordine ideologica e indiscriminata della "guerra alla droga" alla complessita' dei casi concreti che sempre piu' intasavano i tribunali. Persino un proibizionista rigoroso come Vincenzo Muccioli riconobbe che le misure detentive previste da quella legge potevano costituire un ostacolo all'opera di recupero dei cittadini tossicodipendenti.

Oggi pero' alla "Giustizia" si chiede qualcosa di diverso e di piu' pericoloso.

Terrorizzato alla sola idea che l'insieme della questione droga passi all'esame del Parlamento (non sia mai che ci voglia un'altra cena a casa Letta per partorire un "semiproibizionismo debole" che metta tutti d'accordo), il Governo non ha ancora proposto alcuna modifica legislativa nemmeno per la prospettiva minima di depenalizzazione. Ecco quindi che da qualche mese e' stata caricata sulle spalle della giustizia la responsabilita' non soltanto dell'applicazione di una legge criminogena, ma persino della riforma "di fatto" di tale legge, puntando tutto sul carattere fondante del nostro Stato post-fascista, cioe' sulla possibilita' di travolgere la certezza del diritto piegando le leggi alle esigenze del potere.

Ma la sentenza del 16 giugno, nella sua legittimissima assurdita', mostra fino a che punto il Governo abbia fatto male i suoi calcoli. La macchina amministrativa della giustizia, lanciata per anni a gran velocita' sulla strada della repressione violenta delle liberta' individuali, delle garanzie e dei diritti dei cittadini, non puo' essere fermata con un semplice contrordine sussurrato a mezza voce nei corridoi di palazzo o ai convegni di Magistratura Democratica. La cultura inquisitoria, illiberale e oggettivamente, quando non soggettivamente, alleata della criminalita' organizzata, condiziona profondamente i riflessi di uno Stato dove la prepotenza delle burocrazie si e' sostituita da tempo al potere legale delle istituzioni. La macchina in corsa non risponde ai comandi, soprattutto se per una volta la direzione voluta contiene anche elementi di ragionevolezza.

Per restituire all'Italia una politica sulle droghe il Governo ha come unica possibilita' quella di scegliere una linea chiara e di sottoporla all'esame del Parlamento.

Il Paese ha gia' dimostrato di essere pronto in occasione della sola riforma resasi finora possibile, cioe' quella realizzata dal referendum del '93 che abrogo' le sanzioni penali per il semplice consumo. L'occasione di voltare davvero pagina non manca, visto che in Parlamento attende invano di essere discussa una proposta di legge di iniziativa popolare per la legalizzazione dei derivati della cannabis depositata dal CORA due legislature fa.

Se invece i partiti, anche quelli guidati da chi "gia' negli anni 70 era per la legalizzazione" e che da vent'anni non muove un dito per ottenerla, non hanno alcuna intenzione di abbandonare il fronte di una repressione fallimentare e liberticida, almeno si lasci che i magistrati facciano il loro lavoro. Sarebbe un elemento di chiarezza per tutti, soprattutto per chi, come Rita Bernardini, Benedetto Della Vedova, Marco Pannella, Vittorio Pezzuto, Mimmo Pinto e Paolo Vigevano, ha scelto di violare questa legge e di affrontare i processi proprio per potere affermare l'urgenza di una legge migliore.

 
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