Con la condanna di Marco Pannella, la lotta politica antiproibizionista ha imboccato anche la strada "giudiziaria". Che sia la strada piu' logica lo confermano i dati ufficiali dei processi e delle detenzioni per violazione della legge sulla droga. Grazie alla droga proibita, infatti, i tribunali e le galere sono divenute affollatissime terre di nessuno, stipate di disperazioni e di follie.
E' proprio nell'amministrazione della giustizia che si misura quanto il proibizionismo sia costretto a combattere quotidianamente con i mostri che esso stesso produce ed alimenta. A peggiorare il quadro concorrono, poi, gli errori di una strategia della repressione che persegue tutte le sostanze in maniera indifferenziata, disperdendo e dilapidando energie e risorse.
Le azioni compiute da Pannella e dagli altri militanti antiproibizionisti, dunque, non rispondono solo al principio della lotta nonviolenta che impone a chi vuole riformare una legge - e ne avverta la gravita' o l'insostenibile ingiustizia - di violarla pubblicamente, autodenunciandosi e subendone le conseguenze, offrendo in questo modo una incisiva "rappresentazione" dei danni che essa riversa sulla societa' e sui cittadini.
Queste azioni rispondono, innanzitutto, ad un "principio di realta'" che obbliga a riconoscere che il terreno in cui il proibizionismo esercita le proprie virtu', celebra i propri fasti e consuma i propri fallimenti sono, senza ombra di dubbio, i tribunali e le galere: li' c'e' la realta', li' ci sono i risultati, li' c'e' "il punto di caduta" di una intera politica. E tutti i protagonisti ne sono insieme ostaggi e vittime: i detenuti e i carcerieri, i giudici e i giudicati.
C'e' un Parlamento, un mondo politico, un intellettuale che sia capace di qualcosa d'altro che non sia il commento di rito sulla impressionante "contabilita'" delle vittime a cui si riduce essere la politica sulla droga?